Le dimensioni quantitative del lavoro atipico. Tra il 2000 e il 2003, l’occupazione para-subordinata è cresciuta del 28,8%, a fronte di un incremento dell’occupazione complessiva del 4,6%. Il lavoro “atipico” infatti si è sviluppato sia nell’ambito del lavoro dipendente (contratti part-time, lavoro interinale, contratti stagionali, apprendistato, formazione lavoro, ecc.) che in quello del lavoro non dipendente (contratti di collaborazione coordinata e continuativa, contratti occasionali ed altre forme di lavoro autonomo parasubordinato, come le associazioni in partecipazione) ed è stato accompagnato generalmente da una progressiva riduzione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
Nel 2003, gli occupati a tempo indeterminato sono stati, complessivamente, 14 milioni e 464mila. Di questi, il 7% (oltre 1 milione di unità) era occupato a tempo parziale. Tra il 2000 e il 2003, gli occupati a tempo indeterminato part-time sono cresciuti del 16,3%. Contrariamente a quanto registrato nel lavoro standard (indeterminato full time), in cui la componente femminile rappresenta appena il 36,5% dei 13.449.000 occupati con questa modalità, la stragrande maggioranza dei lavoratori a tempo indeterminato a regime part-time (881mila, l’86,8%) è donna, a fronte di un dato maschile di 134mila unità.
Sempre nel 2003, i lavoratori a tempo determinato sono stati 1 milione e 583mila (il 3,5% in più rispetto al 2000). Di questi, 463mila (il 29,3% del complesso) era impiegato part-time e 1 milione e 120mila (70,7%) a tempo pieno. L’assunzione a tempo determinato part-time ha riguardato tuttavia una quota di donne nettamente superiore a quella maschile: il 37,7%, contro il 20,5%. Le donne rappresentano anche in questo caso la componente principale del lavoro part-time (il 65,7% degli occupati a tempo determinato a tempo parziale), mentre tra i dipendenti a tempo determinato full-time si registra una prevalenza di uomini con il 55,2%.
Nel 2003, i beneficiari di contratti a causa mista (apprendistato o formazione lavoro), sono stati 651.648, il 15,2% in meno rispetto al 2000. La contrazione, pari al 39,9% in relazione ai contratti di formazione lavoro, non ha riguardato i contratti di apprendistato, cresciuti, nell’arco dello stesso periodo, dell’1,5%. Tra il 2000 e il 2003 i Cfl (destinati ad essere sostituiti dai nuovi Cil) sono diminuiti progressivamente ed hanno registrato il decremento più importante nel biennio 2002/2003 (-8,1%). I dati relativi all’apprendistato hanno registrato, diversamente, una crescita annua a tassi decrescenti: +9,3% nel 2000, +3,7% nel 2001, +2,7% l’anno successivo, fino alla variazione di segno negativo registrata nel 2003 (-4,7%).
Il lavoro interinale ha registrato un vero e proprio boom dal 1997, ma una crescita esponenziale di questi contratti si è avuta in particolare tra il 1999 e il 2000: i lavoratori interinali sono passati da 194.835 a 472.260, registrando un incremento del 143,4%. Negli anni successivi il numero dei lavoratori interinali è aumentato progressivamente fino a raggiungere, nel 2003, il milione di unità: il 63,3% in più rispetto all’anno precedente ed il 111,7% in più rispetto al 2000. Contrariamente a quanto rilevato per il complesso dell’occupazione standard atipica, i lavoratori interinali sono soprattutto uomini (il 57,3%).
Tra il 1999 ed il 2003 si è assistito ad un incremento progressivo e a tassi crescenti del lavoro para-subordinato, che dopo aver registrato una crescita del 5,1% tra il 1999 e il 2000, ha raggiunto le 578.700 unità nel 2001 (+7,2% rispetto all’anno precedente) ed ha registrato un’ulteriore impennata sia nel 2002 (+8,3% rispetto al 2001), che nel 2003, anno in cui i para-subordinati sono cresciuti di un ulteriore 11%. L’incremento progressivo dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa appare ancora più straordinario se confrontato con il parallelo andamento dell’occupazione. Tra il 2000 ed il 2003 gli occupati sono passati da 21 milioni e 80mila unità a 22 milioni e 54mila unità, registrando un incremento percentuale del 4,6%, a fronte di un incremento dei lavoratori para-subordinati, nello stesso periodo, del 28,8%. Considerando il solo biennio 2002-2003, il lavoro para-subordinato è cresciuto 11 volte di più dell’occupazione totale, che ha registrato un incremento di appena un punto percentuale. L’incidenza del lavoro para-subordinato sulla nuova occupazione totale creata nel 2003 (225.000 unità) è enorme, pari al 30,5% del complesso. La crescita dell’occupazione flessibile si è accompagnata ad una riduzione della disoccupazione femminile ma ad un incremento dell’occupazione femminile atipica. È significativo il fatto che le donne che lavorano a tempo parziale per scelta siano appena il 30,4% del complesso. Per il 42,5% il regime part-time è, al contrario, una necessità, dovuta a vincoli e impedimenti al tempo pieno, mentre per il 27,1% si tratta di un “ripiego”.
L’incidenza dei contratti atipici sul complesso dell’occupazione standard e dell’occupazione totale. Il lavoro standard atipico copre ben il 16,2% dell’occupazione di tipo subordinato. In particolare, dei 16.047.000 occupati dipendenti, il 6,3% è impiegato a tempo indeterminato ma parziale, il 7% lavora a tempo determinato full time ed il 2,9% è assunto a tempo determinato e a regime part-time. Il peso del lavoro interinale (38,5%) e dei contratti a causa mista (25,1%) sull’occupazione subordinata atipica è enorme, pari al 63,6% del complesso. In rapporto all’occupazione totale (22 milioni e 54mila unità), è possibile osservare come poco meno di 12 occupati su 100 (l’11,8%) siano lavoratori subordinati impiegati con contratti atipici (a tempo indeterminato part-time o con contratti a termine), di cui il 4,5% interinali ed il 2,9% con contratti a causa mista. A questi vanno aggiunti i lavoratori para-subordinati, che pesano sull’occupazione totale per il 3,1%. Nel complesso, dunque, almeno il 14,9% dell’occupazione (circa 3 milioni e 300mila persone) è atipica, senza considerare i lavoratori occasionali, per i quali non si dispone di dati.
Inoltre, il 52,3% della nuova occupazione creata nel 2003 è attribuibile al lavoro atipico, di tipo subordinato (21,8%) o parasubordinato (30,5%). Dei 225mila posti di lavoro in più creati nel 2003, infatti, 29mila (il 12,9%) sono a tempo indeterminato part-time, 20mila (l’8,9%) a tempo determinato e 68.700 (il 30,5%) collaborazioni coordinate e continuative.
Una parte estremamente maggioritaria dei lavoratori atipici lavora per un solo datore di lavoro e svolge la propria attività presso la sede dell’azienda per cui lavora, dove è tenuto a recarsi quotidianamente. Lungi dal caratterizzare una fase temporanea della propria vita lavorativa, l’atipicità è per la maggior parte dei collaboratori una condizione che dura da molto tempo, senza riuscire a sfociare in un rapporto di lavoro stabile.
Non è dunque attraverso una stabilizzazione del rapporto di lavoro, tramite la trasformazione del contratto atipico in uno di tipo subordinato, che l’impresa ha voluto dare continuità al rapporto instauratosi con il collaboratore, quanto attraverso il rinnovo continuo di contratti atipici. L’anomalia del lavoro atipico o della modalità di ricorso alle diverse forme di lavoro non standard sta proprio in questo modus operandi, che, se da una parte consente all’azienda di continuare ad avvalersi di una risorsa già “collaudata”, senza dover pagare i costi aggiuntivi derivanti dalla stabilizzazione, dall’altra impedisce al collaboratore di godere dei diritti spettanti ad un lavoratore che svolge un lavoro di tipo dipendente, intrappolandolo in una condizione di precarietà, lavorativa ed esistenziale.
Il carattere transitorio ed instabile dei rapporti di lavoro ha messo in crisi il modello flessibile, rendendo estremamente difficile l’accumulazione di esperienze e competenze trasferibili e organizzabili in una prospettiva di carriera. La frammentarietà dei percorsi lavorativi consente un’identità professionale del tutto provvisoria e l’individuo si trova sempre più spesso nella condizione di ricominciare ogni volta da capo.
L’irregolarità e la discontinuità dei rapporti di lavoro minano alla base la possibilità dei lavoratori di progettare ed operare delle scelte di vita di medio-lungo periodo. L’assenza di adeguate misure di tutela sociale (in materia di maternità, malattia, previdenza, formazione e aggiornamento) e di garanzie sindacali (norme antilicenziamento, diritto di sciopero) e la mancanza di controlli adeguati contribuiscono a rendere ancor più incerta la dimensione del lavoro atipico, alimentando il senso di insicurezza dei lavoratori e favorendo un uso distorto di questi strumenti di flessibilizzazione.