Dopo un’apparente apertura generata dal miracolo economico del secondo dopoguerra nel nostro Paese si è affermato un trend di progressivo irrigidimento delle gerarchie. Incrociando la classe occupazionale di partenza dei padri con quella raggiunta dai figli in virtù della propria attività lavorativa: gli spostamenti, perlopiù ascrivibili a mutamenti della struttura del mercato del lavoro, non sono tali da giustificare l’appellativo di “società aperta”, sia in ascesa che in discesa. Se si considera che i mutamenti di classe occupazionale tra padri e figli, quando verificatisi, avvengono principalmente in direzione di classi “contigue”, quella italiana si delinea come una società sostanzialmente immobile, caratterizzata da una scarsa permeabilità tra classi sociali. L’ascesa sociale appare quindi assai difficoltosa per quanti provengono da ceti medio-bassi; difficoltà che ulteriormente si aggrava qualora si restringa l’analisi alla sola popolazione femminile, il cui accesso alla classe borghese di vertice appare difficoltoso anche quando risulti essere la classe occupazionale paterna. L’immobilismo sociale è un fenomeno tanto più imponente quando più ci si allontana dal Nord per dirigersi verso il Sud del nostro Paese. I dati non fanno che confermare l’impressione diffusa di una società statica e scarsamente meritocratica, dove chi gode di posizioni di privilegio cerca in ogni modo di difendere quell’affermazione sociale che spesso viene percepita come un diritto acquisito a vantaggio proprio e della propria discendenza. La mobilità in cifre. La probabilità di rientrare nella classe borghese aumenta all’aumentare della vicinanza tra questa classe e la classe occupazionale paterna (si va dal 34% in caso di classe borghese, al 4,7% nel caso di classe operaia agricola). Mutamenti di classe occupazionale tra padre e figlio, quando presenti, avvengono solitamente a vantaggio di classi contigue, escludendo però la piccola borghesia agricola e la classe operaia agricola. La percentuale di permanenza di figli di padri borghesi nella stessa classe occupazionale appare nettamente superiore là dove vengano presi in considerazione i soli individui di sesso maschile: se questi permangono nella classe borghese per ben il 40,3% dei casi, nel caso delle donne capita solo nel 25,2%; il 47,7% di esse confluisce infatti nella classe media impiegatizia (contro il 24,2% degli uomini), il 12,6% nella piccola borghesia urbana (contro il 19,7%) e il 13,8% nella classe operaia urbana (a fronte di un 14,2%). La probabilità di permanere nella classe borghese di provenienza è inferiore al Nord rispetto al Centro e al Sud (32,9%, 33,9% e 37,2%); i figli di appartenenti alla classe media impiegatizia mantengono la medesima classe occupazionale paterna maggiormente al Sud (53,6% contro il 48,7% del Centro ed il 47,1% del Nord). Maggior immobilismo nella classe operaia urbana settentrionale. Questo fenomeno è ascrivibile perlopiù alla struttura del mercato del lavoro: se la percentuale di coloro che confluiscono, indipendentemente dalla classe sociale di origine, nel settore industriale ammonta a ben il 34,8% della popolazione nel Nord, questa cade in maniera rilevante nel Centro e nel Sud con percentuali del 29,8% e 28,8%. Il fattore istruzione. Le percentuali di spostamento verso l’alto nella scala sociale sono direttamente correlate al grado d’istruzione raggiunto dall’occupato nel proprio percorso formativo. Difficilmente il figlio di un operaio approderà nel ceto borghese, ma questo è tanto più vero quanto più è basso il suo titolo di studio; se per un laureato o diplomato ci sono il 22% di possibilità di raggiungere tale status, una persona che si affaccia nel mercato del lavoro vede crollare al 2,5% le proprie possibilità se in possesso di sola licenza media e al 2,3% se ha solo conseguito la licenza elementare. Un andamento di segno opposto si ha prendendo in considerazione la classe operaia urbana: solo circa 14 laureati/diplomati su dieci vi appartengono, là dove le possibilità si alzano ad una su due per coloro che sono in possesso di licenza media od elementare. Mobilità infragenerazionale. Essa è rappresentata dai percorsi occupazionali individuali nel corso della vita lavorativa. Il posizionamento iniziale nelle classi sociali più alte è decisamente resistente a modifiche, resistenza che scema a mano a mano che si scende lungo la piramide sociale: se il 76,9% di coloro che conquistano un primo impiego “borghese” tende a mantenerne uno nella stessa classe nel corso della propria vita attiva, lo stesso avviene nel 72% dei casi per chi si colloca nella classe media impiegatizia, nel 59,8% per chi trova un’occupazione nella piccola borghesia urbana, nel 62% per coloro che si inseriscono nella piccola borghesia agricola ed infine nel 59,3% e 43,4% per chi inizia a svolgere attività nelle classi operaia urbana e agricola. L’approdo nella classe borghese, dopo una fase iniziale di stazionamento in un’altra classe occupazionale, avverrà con maggiore probabilità là dove si provenga dalla classe media impiegatizia (12,8%) o piccola borghesia urbana (11,6%); in tutti gli altri casi sembra invece essere un’impresa difficilmente realizzabile nel corso di una carriera (e comunque mai superiore al 4,5%). Traiettorie sociali. Integrando l’analisi della mobilità intergenerazionale con quella della mobilità intragenerazionale, è possibile costruire 5 diverse traiettorie sociali. La categoria che raccoglie la percentuale maggiore di occupati è quella dei “mobili all’entrata nella vita attiva” (36,4%), seguita a ruota da quella degli “immobili” (27,6%); seguono – ma con grande distacco – quelle dei “mobili all’inizio e nel corso della vita attiva” (14,6%), dei “mobili nel corso della vita attiva” (12,5%) e dei “mobili con ritorno alle origini” (8,8%): il 36,4% del campione preso in esame, quindi, è attualmente occupato nella stessa classe occupazionale paterna.
“OUTLOOK” Uno sguardo fuori regione
Rubrica di scienze economiche e sociali
a cura di Rosario Palese
(ISSN 1722-3148)