L’auspicio odierno è, quindi, di veder salvaguardare le residue “vetuste foreste”. Non certo vorremmo il loro nuovo sfruttamento commerciale, in un panorama ambientale segnato da una potente lobby della motosega, mentre sono noti gli effetti dei cambiamenti climatici globali sul fondamentale ruolo equilibratore che rivestono i boschi dell’Appennino meridionale per contrastare gli effetti locali del clima a queste latitudini. La cosiddetta filiera del legno inventa un nuovo combustibile denominato “pellets”, se di piccole dimensioni, che prende il nome di “cippato vergine” se di maggiore dimensione.L’opportunità di questa trasformazione viene offerta dagli incentivi pubblici per l’uso di energie alternative che guardano allo sfruttamento industriale delle foreste considerate “serbatoio di CO2” in alternativa alle fonti fossili ed al petrolio.
L’utilizzo del pellets e del cippato vergine avviene in grandi centrali a biomassa (se ne sono previste sino a 40 MW di potenza), costruite ovunque nel sud da grandi imprese energetiche e in piccole caldaie domestiche, nonostante l’allacciamento al gas che ha reso possibile la ricomposizione delle estensioni forestali in Italia distrutte nell’ottocento ma anche dal taglio forestale illegale che ancora viene praticato nei continenti americani, europei ed asiatici che rifornisce legno all’occidente industrializzato. Scomparsa la tradizionale impresa boschiva, nata dalla ottocentesca “saga della carbonella”, per molti decenni considerata in Italia il combustibile dei poveri, le industrie energetiche fanno affidamento sui laureati e laureandi nel settore forestale che hanno incrementato una domanda specializzata di lavoro ed una legislazione regionale che lega, con una sorta di catena distruttiva, il compenso professionale allo sfruttamento intensivo e produttivo delle foreste. Il nuovo martello forestale con il simbolo delle istituzioni regionali ha sostituito quello storico in dotazione al Corpo Forestale dello Stato relegato a cimelio, delineando, in questo passaggio, anche una diversa finalità. Per giustificare socialmente o per “compensare” il taglio forestale all’interno del Demanio ricadente anche all’interno di aree protette, in alcune regioni come la Basilicata, notoriamente ricca di boschi, si sono stilate classifiche dei “poveri” (o piuttosto nuovi clienti della politica?) che possono accedere gratuitamente ai benefici derivanti dal taglio del bosco. Preoccupa il ricorso a questi metodi, per certi borbonici, con cui le istituzioni tenderebbero a giustificare dal punto di vista sociologico i tagli forestali, in assenza di moderne politiche per le aree protette e di quelle forestali, oggi esautorate per fare spazio allo sfruttamento industriale del bosco. Non è infatti raro veder “martellati” e poi segati alberi secolari, all’interno delle aree protette e nel demanio regionale ereditato dallo Stato proprio per gli scopi di tutela. La classificazione di “deperiente” o “legna secca” viene troppo spesso abusata per giustificare interventi di ben più vasta portata. Si apprende così che sono oltre 540 i “bisognosi” residenti autorizzati a far legna nella Foresta Demaniale Regionale di Lagopesole (171 beneficiari), nella Foresta Demaniale Regionale Grancia Caterina (49 beneficiari per legna secca ed in piedi), nella Foresta Demaniale Regionale Fossa Cupa (88 beneficiari tra le varie categorie di prelievo), nella Foresta Demaniale di Rifreddo (90 beneficiari tra varie forme di prelievo), nella Foresta Demaniale Regionale Bosco Grande (140 beneficiari). Gratuitamente e per quantità imprecisate di legname secco, in piedi e concesso in altre forme, questi poveri o presunti tali contribuiranno ad avvallare la nuova svendita del patrimonio forestale di ben più gravi proporzioni a vantaggio delle industrie energetiche in un capitalismo neo-feudale. Per le foreste sono stati redatti ed approvati Piani di Assestamento Forestale (che sono pur sempre piani economici di taglio, ché ne dicano i laureati in scienze forestali!) assegnati in lotti per il taglio alle imprese che, non si sa se hanno versato nelle casse dei Comuni o in quelle regionali, i relativi importi di concessione. O forse si è concesso gratuitamente il taglio dei boschi deperienti, così come si è fatto per gli estrattori fluviali per il servizio reso alla collettività per aver ripristinato l’officiosità fluviale, un termine che definisce l’operazione d’ufficio gratuita finalizzata a toglier pietre dall’alveo ostruito dei fiumi? Dietro queste pubbliche “officiosità” vi si potrebbero vedere altri scopi, certamente non di beneficenza!. Le Foreste Demaniali Regionali, pari a circa 14.000 ettari in Basilicata, secondo la Lr.28/94 in materia di aree protette dovevano costituire il Demanio Naturalistico Regionale per la successiva istituzione di Aree Protette. In alcuni casi, come nel Comune di Orsomarso, nel parco nazionale del Pollino, in cambio di poche decine di migliaia di euro all’anno, i boschi della Valle del Lao, saranno affidati dal Comune in gestione a società del nord specializzate per la produzione di bio-pellets per la vicina mega centrale del Mercure o destinati ad usi definiti ecologici.
Questa operazione viene giustificata per far quadrare il bilancio in rosso di un comune dell’Appennino che deve lottare contro lo spopolamento, mentre la gestione di un parco nazionale che esiste solo sulla carta non provvede ad indennizzare il mancato taglio, così come consentirebbe di fare la legge nazionale in materia di aree protette, incentivando l’uso sociale del bosco, inteso come bene collettivo.Ed allora, come si giustifica l’accademico ricorso ai censimenti dei boschi vetusti, agli inutili elenchi di specie rare e minacciate ed alla tutela dei parchi declamata solo sulla carta? Potremo ancora annoverare nei boschi dell’Appennino le ormai sparute e secolari querce, testimonianza di quello che una volta costituivano i “boschi veri”, cancellati per sempre non solo dalle carte forestali? Spariranno anche i rari e meravigliosi aceri ricci, gli endemici acer lobelii, gli ombrosi faggi e le profumate roveri, testimonianza delle diversità biologica del nostro Appennino e polmone verde del Mediterraneo?