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L’insostenibile leggerezza dell’essere

Ci sono concetti sui quali difficilmente ci soffermiamo per cercare di estrapolarne la vera essenza. Uno di questi è quello di “leggerezza”. Poi ci capita sotto il naso un libro, il cui titolo: “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, ci confonde un po’ le idee e ci incuriosisce. E’ con un pizzico di perplessa curiosità, allora, che ci catapultiamo in una Praga di fine anni Sessanta per vivere da incantati “spettatori” la storia di Tomas, Tereza, Franz e Sabina, i principali protagonisti del più celebre romanzo di Milan Kundera. Si, da spettatori! Perché “L’insostenibile leggerezza dell’essere” dà l’impressione al lettore di assistere ad una rappresentazione teatrale in cui però gli attori entrano in scena “senza aver mai provato”, consci che “l’uomo vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni” e che la vita non è altro che uno “schizzo di nulla”. Kundera concentra nella narrazione storia, letteratura e filosofia, riuscendo in maniera formidabile a descrivere l’inesorabile scorrere della vita e l’impossibilità di essere leggeri. “Einmal ist keinmal”: quello che avviene soltanto una volta è come se non fosse mai avvenuto. La leggerezza dunque non è altro che una “magnifica illusione”, illusione che si concretizza perfettamente in un’opera del famoso architetto-designer svizzero Le Corbusier: un tavolo con un piano di cristallo appoggiato su gambe di metallo nere. La percezione visiva dell’oggetto è quella di un piano leggero su un sostegno estremamente pesante, ma provando a sollevare i due oggetti si scopre che le gambe sono fatte di una lega leggerissima mentre il cristallo risulta essere molto pesante. “L’insostenibile leggerezza dell’essere” è un romanzo da leggere tutto d’un fiato, avvincente e riflessivo che può riscontrare nel lettore assenso o disapprovazione ma senz’altro non lasciarlo indifferente. Condividete l’affermazione: “se l’uomo può vivere solo una vita, è come se non vivesse affatto”?