Essere giovani oggi. Il processo di emancipazione, cui i giovani degli anni Sessanta hanno dato luogo, è stato un processo di stampo valoriale: andava costruita un’identità nuova che facesse riferimento a nuovi miti e a valori in contrapposizione all’identità degli adulti, ovvero di coloro che un posto in società lo avevano già conquistato. Sono trascorsi circa cinquanta anni da allora e i giovani oggi si trovano a dover fare i conti con un processo di emancipazione di natura differente e, perlopiù, di stampo economico. Se prima, infatti, si è lottato per imporre il proprio modo di vedere il mondo, oggi i giovani lottano per l’indipendenza economica e per tutto ciò che a quest’ultima è strettamente connesso: il vivere da soli, la costruzione del proprio nucleo familiare, una sicura posizione professionale. Essere giovani negli anni Sessanta e Settanta era un valore da difendere, significava avere un’identità da diffondere e da proteggere. Essere giovani oggi significa accettare di partecipare ad una sfida: quella relativa alla conquista di un proprio ruolo in società.
Una nuova forma di disuguaglianza, che la società si trova oggi ad affrontare, è quella generazionale: le opportunità per i giovani sono fortemente differenti rispetto al passato e a quelle dei loro genitori. La loro situazione, inoltre, è condizionata dalla scarsa possibilità di poter disporre delle ricchezze accumulate dai propri genitori, sia perché i risparmi familiari spesse volte vengono utilizzati per far fronte ad impreviste difficoltà economiche, sia perché la speranza di vita media si è allungata nel recente periodo, incidendo conseguentemente sul calo degli indici di mortalità.
Nell’arco di soli 4 anni (dal 2003 al 2006) gli uomini hanno visto aumentare la propria speranza di vita alla nascita di circa un anno (da 77,2 a 78,3), così come del resto la popolazione di sesso femminile (da 82,8 a 83,9). In 30 anni (1974-2004) la speranza di vita ha subìto una significativa dilatazione per entrambi i sessi, maschile (da 69,6 a 77,9) e femminile (da 75,9 a 83,7). Un uomo al Nord passa dai 68,7 anni del 1974 ai 78 del 2004; nell’arco di 30 anni, dunque, la sua speranza di vita è aumentata di ben 9,2 anni contro una media nazionale pari a 8 anni. Le donne vivono comunque un significativo aumento nella speranza di vita quantificabile in 8,2 anni nell’arco di 30 anni contro una media nazionale del 7,6. Al Centro l’aumento è nell’ordine di 7,3 anni per i maschi e 6,7 per le femmine, mentre al Mezzogiorno l’aumento è di 7,8 anni per le femmine e di 7,2 per i maschi. In generale, considerando il dato nazionale, la speranza di vita degli italiani è aumentata dal 1974 al 2004 di 8,3 anni per i maschi e di 7,8 anni per le femmine.
Il numero di morti in Italia nel periodo 1999-2004 è diminuito significativamente, passando dai 567.741 del 1999 ai 545.051 del 2004. Tale tendenza rende maggior valore alla tesi avanzata, relativamente al fenomeno di emancipazione giovanile da un punto di vista economico e all’impossibilità da parte dei giovani di poter contare sulla sicurezza economica data dal diritto all’eredità. L’andamento del risparmio familiare. La parte di reddito destinata a non essere consumata può andare a costituire parte della ricchezza da trasferire successivamente in eredità. Se le famiglie risparmiano meno, allora si registrerà una conseguente diminuzione nella ricchezza destinata ad essere trasferita ai propri figli o, comunque, ai propri eredi. Nel periodo 1996-2006 un generale calo della propensione al risparmio nelle famiglie italiane confermerebbe, dunque, la tesi avanzata. La propensione al risparmio è calcolata come rapporto tra il risparmio lordo e il reddito disponibile lordo. La capacità di risparmiare è andata via via assottigliandosi: se nel 1996 ci si attestava su un valore di 19,1 nel 2001 esso è sceso a 13,6 per passare al 12,1 del 2006. Secondo le elaborazioni dell’Eurispes in soli 5 anni (2001-2005) le famiglie italiane hanno ridotto il loro risparmio annuo di circa il 40%, passando dai 106 miliardi del 2001 ai 64 del 2005. Le famiglie piuttosto preferiscono la liquidità: dal 2001 al 2005 si è registrato un aumento pari al 30% per quanto riguarda la liquidità trattenuta. Tale scelta, però, si è dimostrata controproducente per le famiglie stesse a causa dell’effetto congiunto dell’inflazione e dei bassi tassi di interesse. I nuovi giovani. Non a caso, sono 7 milioni e 368mila i giovani, celibi e nubili, con un’età compresa tra i 18 e i 34 anni, che nel 2006 vivono ancora insieme ad un genitore. Questo è vero soprattutto per i 25-29enni: il 59,1% dei giovani inclusi in questa fascia d’età vive ancora in famiglia e sono, soprattutto, maschi. Partendo dalla fase in cui il giovane conclude il percorso formativo e accede al primo impiego, tra i 20 e i 25 anni, solo il 40% ha un’occupazione, contro una percentuale molto più alta nel resto dei paesi europei (60% circa). I salari di ingresso, inoltre, sono tra i più bassi della Comunità Europea.
“OUTLOOK” Uno sguardo fuori regione
Rubrica di scienze economiche e sociali
a cura di Rosario Palese
(ISSN 1722-3148)