Una competitività in chiaroscuro.
Si può tracciare un quadro in chiaroscuro del grado di competitività raggiunto dal sistema produttivo italiano. Le ombre si addensano sul calo della produttività, del quale si lamentano le associazioni datoriali; sulla pressione fiscale; sulla stasi degli investimenti pubblici e la paralisi delle infrastrutture; sull’abbandono della lotta alla burocrazia. Illumina il quadro il boom dell’export, a dispetto del supereuro, e merito delle centinaia di medie e piccole aziende che hanno stravinto nel 2007 sui mercati globali. L’Italia comincia a collocarsi meglio nella divisione internazionale del lavoro. La nostra industria (inclusi i servizi aperti alle transazioni internazionali quali il turismo e il suo indotto) deve e può riposizionarsi nei segmenti e settori produttivi di maggiore qualità, in modo da garantirsi – rispetto alle produzioni dei paesi emergenti – differenziali di prezzo corrispondenti ai differenziali retributivi, oppure questi ultimi dovranno prima o poi adeguarsi alla riduzione dei prezzi salvo la delocalizzazione delle produzioni o la chiusura delle imprese. Se questo è il problema, non servono politiche di sostegno della domanda, che sarebbero del resto incompatibili con il riequilibrio del disavanzo pubblico e ora anche dei conti con l’estero, ma un’azione di grande respiro volta a favorire il riposizionamento competitivo dell’industria e dei servizi esposti alla concorrenza internazionale. Tale azione dovrebbe mirare, in particolare, alla diffusione della ricerca applicata e dell’innovazione tecnologica anche mediante progetti mirati allo sviluppo di attività strategiche (nell’ambito dell’energia, della difesa, della salute, dell’Ict, etc.), a promuovere la crescita delle grandi imprese tecnologicamente avanzate, a razionalizzare e stabilizzare il quadro normativo per quanto concerne in particolare il mercato del lavoro e il prelievo fiscale. E, inoltre, è diventato improcrastinabile avviare dei processi di riforma per rendere più competitivi i mercati interni dei servizi privati, accrescere l’efficienza dei servizi pubblici (istruzione, giustizia, procedure di autorizzazione, etc.), ed accelerare la realizzazione delle infrastrutture (anche con un maggior ricorso al project financing). Non manca lavoro per le nostre alte diplomazie commerciali: pur rispettando le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, va promossa una politica commerciale che tenga maggiormente conto della specificità italiana. Nonostante ciò, la presenza di imprese all’estero non rispecchia fedelmente le nostre potenzialità, soprattutto rispetto alla ricerca del Made in Italy sul mercato internazionale. Gli economisti utilizzano il Total factor productivity (Tfp) per misurare l’efficienza nell’utilizzo dei capitali. I fattori considerati sono: livello di ricerca e sviluppo, flessibilità del mercato del lavoro, efficienza della Pubblica amministrazione e utilizzo di Information technology. La stagione positiva che ha conosciuto l’export italiano nel 2007, cresciuto quasi del 12% (settembre 2007), affonda le proprie radici nel miglioramento di almeno due (risorse e sviluppo, uso di tecnologia) dei quattro fattori del Tfp che stanno trasformando in profondità il tessuto imprenditoriale del Paese. Il riflesso del nuovo vigore delle esportazioni sullo sviluppo del Prodotto interno del Paese non è da sottovalutare. Il livello di Ricerca e Sviluppo. Tra il 2005 e il 2006 è aumentata significativamente la percentuale di imprese italiane con programmi di ricerca e di sviluppo, passate dal 10% al 18% sul totale nazionale. Tuttavia, il personale addetto al settore R&S è risultato in calo, dal 22,2% al 20,3. Le imprese di grandi dimensioni investono circa l’8% del loro fatturato, le piccole e medie il 5% mentre nel caso delle micro-imprese italiane il livello di investimento cala al 4%. La quota di aiuti destinati alla ricerca ha subìto un calo: dal 20,7% del 2005 al 19,6% del 2006. Sempre quasi il doppio del 2002, quando la spesa per R&S era solo il 10,1% delle erogazioni. Il costo e la flessibilità del lavoro. Il recupero di competitività in atto del sistema produttivo italiano ha il suo tallone d’Achille nel ristagno della produttività, che è rimasta ferma al livello di dieci anni fa a fronte di incrementi del 15% in Germania e dell’11% in Francia. Non è quindi imputabile all’aumento del costo del lavoro per occupato, che nell’arco dell’ultimo decennio è mediamente diminuito del 2% in termini reali. Il divario in termini di produttività, unitamente alla maggiore inflazione, ha comportato per l’Italia un aumento del costo del lavoro per unità di prodotto superiore di 11 punti alla Francia e di quasi 30 alla Germania. La qualità del fattore lavoro. La condizione più importante per tornare a crescere è l’aumento della qualità del fattore lavoro. Lo sviluppo del capitale umano quale risultante dell’istruzione, della formazione continua e dell’arricchimento professionale nel lavoro è una determinante fondamentale per la crescita del Paese. Il livello medio di istruzione in Italia è invece sistematicamente inferiore a quello europeo e ancor di più a quello degli Stati Uniti, anche se negli ultimi anni il divario ha iniziato a restringersi. Ciononostante, un’ampia percentuale di occupati (16,5%), soprattutto giovani, appare sottoinquadrata. L’internazionalizzazione. Dopo un lungo periodo di perdite di quote sui mercati internazionali, le esportazioni italiane hanno dato segnali di ripresa. Era già successo nel corso del 2006 con le esportazioni di beni in volume cresciute del 4,4%, rispetto a una crescita media dello 0,6% nel decennio precedente; quelle in valore sono cresciute del 10,8%. Nel 2007 le esportazioni sono cresciute del 12% (l’ultimo dato è quello di settembre: 265 miliardi di export in nove mesi). È importante segnalare che la sostenuta ripresa dell’export si connota per una accentuata eterogeneità settoriale che non è riconducibile alla separazione tra tradizionali e avanzati (ad esempio, alla forte contrazione degli elettrodomestici si contrappone una ripresa delle macchine industriali). Un altro aspetto da considerare nella valutazione sulle performance dell’export italiano è l’incidenza del fattore dimensionale nel contributo alla crescita di quote registrato. Sono state le imprese di maggiori dimensioni e con maggior capitale umano ed apparati e servizi di supporto più evoluti, a sostenere le quote di mercato italiane nei recenti difficili anni per le nostre esportazioni. Nel 2007 diversi investimenti nell’ordine delle centinaia di milioni di euro hanno fatto registrare un salto di livello all’internazionalizzazione dell’impresa italiana. L’Italia, da sempre in ritardo nei processi di internazionalizzazione, nel 2007 potrebbe almeno aver ridotto la distanza dagli altri paesi industrializzati. Nei primi undici mesi del 2007, le acquisizioni sono state 108 per un valore di 57 miliardi di euro, quasi il quadruplo del 2006 (Kpmg Corporate Finance). L’operazione di gran lunga più rilevante è stata la conquista della spagnola Endesa da parte di Enel per un valore di 28,5 miliardi di euro.

“OUTLOOK” Uno sguardo fuori regione
Rubrica di scienze economiche e sociali
a cura di Rosario Palese
(ISSN 1722-3148)

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