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[ ANNO III – DICEMBRE 2007 – NUMERO 53 ] COSTRUIRE PONTI O ERIGERE MURI? LA SECONDA GENERAZIONE DI IMMIGRATI

Nell’anno scolastico 2005/2006 sono stati 424.683 gli alunni stranieri presenti nelle scuole italiane, con un’incidenza del 4,8% sul totale degli alunni. Per quanto riguarda i paesi di origine ai primi posti si trovano Albania (16,3% degli alunni), Marocco (14%), Romania (12,4%) e Cina (5,2%).
I giovani stranieri si trovano a vivere immersi in continue ambivalenze attraversando ogni giorno una pluralità di dimensioni e di riferimenti culturali. Il discorso del loro benessere/malessere, si concentra molto su quelle che sono le dinamiche identitarie e di appartenenza che li vede protagonisti nell’essere costruttori di ponti o di muri. Ponti tra due culture, tra due tradizioni, tra due religioni, oppure barricate difensive o protettive della propria appartenenza reale o immaginaria, in quanto costruita ad hoc per ritrovare saldi ancoraggi identitari e punti di riferimento.
Ecco allora il misurarsi con la tradizione, in termini di scelta di appartenenza e di identità, nei due fondamentali ambienti di vita: la famiglia e la società. Ecco che i giovani si incontrano/scontrano con gli adulti e con i coetanei e il raggiungimento di un equilibrio, cioè quella dimensione che può garantire al ragazzo/a un riconoscimento in famiglia e nella società, non è affatto scontato e soprattutto indolore.
Il rapporto con i genitori è un elemento importante per capire la singolarità di questa generazione di giovani figli di migranti, poiché è proprio in famiglia che la gestione plurale dei processi di identificazione comincia ad essere messa in atto, ed è sempre in famiglia che questi tentativi possono essere appoggiati o frustrati.
Le tradizioni culturali e familiari possono subire interpretazioni inedite, in cui i giovani cercano di risolvere le incompatibilità tra il rispetto di tradizioni antiche e il loro bisogno di libertà, un’operazione che per certi versi può essere facilitata dal contesto sempre più transnazionale in cui si trovano a vivere. Tutto questo porta a una trasformazione dello scenario delle relazioni familiari che da sempre sono un ambito centrale per la formazione dei processi di identificazione degli adolescenti.
Generalmente i giovani cercano di recuperare le tradizioni e le appartenenze della cultura di origine reinterpretandole e ricostruendo in esse un senso capace di farli riappropriare delle loro origini, partendo però dal contesto in cui vivono ora.

Le problematiche legate al genere.
Il percepire diversamente – genitori e figli – non solo la cultura in cui oggi la famiglia è immersa ma anche la cultura di origine, essendo i figli spesso orientati e capaci di una elasticità interpretativa che non contraddistingue la generazione dei padri, fanno sì che tra genitori e figli vi sia oltre alla classica distanza generazionale una certa distanza culturale capace di mettere in crisi i rapporti stessi. Per i figli la negoziazione della libertà rimane uno degli aspetti più problematici della convivenza con i genitori. L’appartenere o il sentire di appartenere alla stessa tradizione culturale non porta infatti necessariamente a una condivisione rispetto a ciò che è giusto o sbagliato rispetto al tema della libertà individuale, della libertà e uguaglianza di genere, delle regole dell’affettività e della scelta del partner. Tutto questo si evidenzia bene oggi nella vita della seconda generazione che vive in Italia e che sente la necessità di presentare le tradizioni della cultura d’origine attraverso un discorso che le renda utili e compatibili con l’autonomia individuale.
Le situazioni di conflitto e di tensione sembrano essere maggiormente frequenti tra genitori e figlie, riuscendo meglio i figli a combinare più facilmente il loro bisogno di libertà di adolescenti con il rispetto dei precetti, di volta in volta religiosi, o morali, o con le regole e prescrizioni culturali richieste dai genitori. I rapporti con le figlie adolescenti, infatti, sarebbero quelli più a rischio, poiché su di esse si concentrerebbero le maggiori tensioni e i maggiori contrasti legati alle aspettative sociali e culturali della famiglia, in termini di mantenimento dei ruoli tradizionali. Le principali aree critiche su cui verte il conflitto tra genitori e figli sono: le amicizie; le prime relazioni sentimentali; le diverse concezioni rispetto alle differenza di genere; i gradi di autonomia e di libertà che gli uni e gli altri ritengono legittimi avere rispetto all’età; la gestione del tempo extrascolastico; le strategie e i percorsi di inserimento nel nuovo paese in termini di avvicinamento a valori, comportamenti, pratiche e consumi.
La fuga da casa può essere la reazione a sofferenze, disagi emotivi e abusi. Le motivazioni che direttamente spingono o indirettamente costringono un minore a fuggire da casa sono generalmente legate a condizioni di disagio socio-educativo, a situazioni affettive conflittuali, a condizioni familiari conflittuali, ad un desiderio di affermazione della propria identità. Le fughe da casa da parte di adolescenti, pur trattandosi spesso di fughe dimostrative o comunque temporanee, rappresentano un fenomeno rilevante ed in crescita all’interno delle problematicità dell’età evolutiva.
La fuga da casa risulta essere un gesto frequente tra i minori stranieri, generalmente sono adolescenti maschi (per lo più del Nord-Africa) e femmine (in prevalenza dell’Africa Subsahariana, del Sud America, della Romania, vi sono però anche casi che riguardano ragazze del Marocco) che utilizzano la fuga come ultimo mezzo a loro disposizione per esprimere una sofferenza, un disagio relazionale vissuto in ambito familiare.
Le principali motivazioni riportate dai minori stranieri come scatenanti la fuga da casa sono: paura della reazione genitoriale rispetto ad un esito scolastico negativo; ribellione rispetto a differenze educative in riferimento al genere; reazione ad atti di abuso fisico (percosse) o psicologico (urla, minacce verbali) perpetrati da uno o entrambi i genitori; imposizione di vincoli e di pratiche legate alla religione e alla cultura di appartenenza non condivise dai figli; reazioni a proibizioni legate alla frequentazione di giovani fidanzati/e italiani/e; reazione alla minaccia di essere riportati nel paese d’origine rispetto al quale il minore sente un senso di appartenenza inferiore in rapporto a quello sperimentato nei confronti del contesto culturale in cui vive e si è inserito. Nella grande maggioranza dei casi i genitori risultano avere scarsa consapevolezza del disagio e della sofferenza che hanno spinto i loro figli alla fuga. In queste situazioni si evidenzia la difficoltà dei genitori a immedesimarsi nei figli in relazione alle loro essere “tra due mondi”.

Il gruppo dei pari.
I bambini e i giovani stranieri possono vivere con maggiore difficoltà la relazione con i coetanei, l’inserimento all’interno del gruppo dei pari può essere più complicato a causa di un bagaglio di tradizioni, abitudini, giochi, gesti, espressioni linguistiche diverse.
In tali situazioni, in cui la difficoltà relazionale si basa su una diversità somatica, etnica, religiosa, culturale, linguistica, ecc., raramente i minori riescono a individuare la famiglia e i genitori come risorsa, per diverse ragioni. Alcuni ragazzi tendono a non coinvolgere le famiglie d’origine per evitare di preoccupare o di far soffrire i genitori, già gravati da un difficile percorso di inserimento nel paese di accoglienza; o perché sono proprio loro “la diversità” che li separa dai compagni; altri ancora non comunicano ai genitori la situazione per una ragione molto diversa, poiché attribuiscono proprio a loro la colpa delle difficoltà e delle sofferenze. Vi possano essere un rifiuto e una negazione totale della propria origine o, al contrario, un recupero e una valorizzazione della propria appartenenza decidendo però di vivere esclusivamente nell’ambito della comunità di origine. Un’altra decisione “drastica” è quella di fare parte dell’universo dei “diversi”, decidendo di legarsi esclusivamente a ragazzi/e stranieri, non necessariamente della propria origine, dove il legame non è dato dall’appartenere a una determinata cultura ma piuttosto il non appartenere alla cultura di maggioranza. A volte vi è, invece, l’avvicinamento a ragazzi italiani o stranieri che condividono l’essere ai margini o l’essere diversi dagli altri: tale vicinanza dà ai ragazzi la possibilità di condividere gli stessi vissuti di isolamento e di sostenersi reciprocamente, aumentando, però, la distanza che li separa dal resto del gruppo, esasperando così la situazione di emarginazione.

“OUTLOOK” Uno sguardo fuori regione
Rubrica di scienze economiche e sociali
a cura di Rosario Palese
(ISSN 1722-3148)