“I viaggi perduti” (edizioni Materiali Musicali) sono un progetto per
suoni, immagini e parole ideato da Luciano Del Sette insieme a Michela
Gesualdo e che vede coinvolti, tra gli altri, gli Avion Travel, David
Riondino, Ginevra De Marco, i Radiodervish, Daniele Sepe, Marco
Baliani, Marco Paolini, l’Orchestra di Porta Palazzo e i lucani Rocco
De Rosa, Canio Lo Guercio. Un’operazione di un certo spessore estetico
che, però, va molto oltre il recinto della musica, della letteratura,
del teatro, del cinema. “I viaggi perduti” sono, appunto, un tragitto
in tredici tappe per inseguire quei posti che “appena ieri potevi
sognare e raggiungere” senza particolari ostacoli o turbamenti e che
ora sono diventati punti geografici pericolosi, minacciosi (e
minacciati). Sono diventati dei buchi neri del pianeta terra, teatri
del dolore possibilmente da cancellare dai propri itinerari. “I viaggi
perduti” sono approdi incresciosi che mettono l’uomo davanti alle sue
codarde crudeltà e alle incontrollabili catastrofi della natura. Dalla
Bosnia-Erzegovina al Libano all’Iran, dall’ Iraq al Kurdistan
all’Afghanistan, dalla Birmania al Ruanda al Sahara, da New York a New
Orleans ad Haiti si compie secondo Luciano Del Sette un itinerario
“per ricordare, restituire alla memoria, raccontare di un mondo dove le
geografie anche umane somigliano sempre di più a varabili impazzite e
la speranza all’utopia”. Ad ognuna delle tredici soste il progetto di
Del Sette e Gesualdo allega un testo e un pezzo musicale. Sarebbe
giusto citarli tutti per i significanti toccanti di cui sono investite
le parole e per la bellezza dei brani, ma non si vuol togliere nulla
alle altre performances se qui segnaliamo la tanta grazia con cui
Ginevra De Marco canta “Madre Severa”, Rocco De Rosa che con “Alibi”
mette alla prova il suo talento, i Radiodervish che si esibiscono con
un”Ave Maria “ strepitosa ed originale, l’Orchestra di Porta Palazzo
che si cimenta in “Sarkha”, un grido sommerso di sofferenza e di
speranza nelle lingue swahili, marocchina ed edo. Ma anche le parole
dei monologhi sono esche per un ascolto attento che non ammette
distrazione, infatti Massimo Zambroni denuncia oppressioni che
“staccano la carne dalle ossa”, Sonia Bergamasco stende un velo pietoso
su un giornalismo inutile, che informa velocemente di tutto e quindi di
niente, David Riondino parla di luoghi favolosi che scompaiono “senza
remissione”, mentre Adolfo Margiotta condanna le guerre in cui
muoiono sempre chi non le ha volute o non ne ha compreso le
motivazioni. Ma la vera chicca del progetto di Del Sette e Gesualdo
sta dentro un frammento del cortometraggio dove si vede l’ultima scena
girata a Mostar, nell’ex Jugoslavia, da Gian Maria Volonté prima della
morte sul set del film “Lo sguardo di Ulisse” (1995) di Teo
Anghelopulos. Un film in chiara sintonia con la trattazione dei
“Viaggi perduti”, in quanto invita l’uomo salvare il proprio universo e
condanna la cultura della morte e della distruzione.
[Recensione di Mimmo Mastrangelo]