Eutanasia: favorevoli 7 italiani su 10.

L’Eurispes segnalava già dai primi anni Ottanta il cambiamento di tendenza all’interno della pubblica opinione sulla questione eutanasia e l’avvio di un dibattito tutt’ora aperto. Negli anni, l’Istituto è tornato più volte ad indagare sull’evoluzione di questo fenomeno chiedendo ai cittadini di esprimere la propria opinione su questa controversa tematica.
L’indagine condotta dall’Eurispes per il Rapporto Italia 2007, fa emergere un consenso generalizzato verso l’eutanasia, tanto che la maggioranza degli italiani, quasi 7 su dieci, ben il 68%, si dichiara favorevole a questa pratica. Coloro che si esprimono in maniera contraria rappresentano invece il 23,5% del totale, mentre è interessante evidenziare che uno su dieci (8,5%) non ha saputo o non ha voluto fornire una risposta in proposito.
Il prevalere di un atteggiamento aperto nei confronti dell’eutanasia nel nostro Paese deve far riflettere, soprattutto se si considera che rispetto allo scorso anno la schiera dei favorevoli è aumentata in maniera esponenziale, facendo registrare un incremento di ben 26 punti percentuali.
Confrontando questi risultati con quelli del sondaggio realizzato nel 1987 dall’Eurispes sempre su questo tema, la situazione si ribalta: in quell’anno, infatti, complessivamente il 40,8% era contrario all’eutanasia (in particolare, il 29,6% era contrario e l’11,2% la giudicava immorale), mentre soltanto il 24,5% era favorevole; il 18,3% si dichiarava favorevole solo in casi disperati (ovvero nel caso di una morte imminente e in condizioni molto dolorose).
Fautori e oppositori. Gli uomini sono favorevoli all’eutanasia in percentuale maggiore rispetto alle donne (70,4% a fronte del 65,7% del dato femminile). Allo stesso tempo, sono più numerosi gli uomini (24,2%) rispetto alle donne (22,9%) che esprimono un dissenso verso la pratica della “buona morte”. Le donne invece fanno registrare un alto tasso di mancate risposte (11,4% vs 5,4%).
La più alta percentuale di contrari all’eutanasia è rilevabile tra coloro che si sentono rappresentati dai partiti appartenenti all’area di centro (41,2%) e di destra o centro-destra (31,3%); quella dei favorevoli, invece, è rappresentata da coloro che si dichiarano di sinistra e centro-sinistra (78,1%).
Rispetto all’area geografica di appartenenza, più favorevoli all’eutanasia sono i cittadini residenti al Centro (con il 74,6%), seguiti da quelli del Nord (69,4%) e quindi del Sud e delle Isole (62,6%). I contrari mostrano percentuali simili nelle regioni settentrionali (25,6%) e in quelle meridionali (26,3%), mentre si riducono notevolmente in quelle centrali (14%).
L’eutanasia clandestina. Circa un italiano su quattro, il 26,3%, condivide l’ipotesi secondo cui, negli ospedali pubblici, pur essendo una pratica illegale, venga comunque praticata l’eutanasia per i casi irrisolvibili. Questa opinione è maggiormente diffusa tra i residenti delle regioni del Centro Italia (32,6%).
La pensa in maniera diversa complessivamente il 26,4% degli italiani secondo i quali nelle strutture sanitarie pubbliche non è in alcun modo praticata l’eutanasia clandestina.
Tuttavia, si registra una percentuale molto alta di intervistati (42%) che preferisce o non si sente in grado di assumere una posizione definita. La quota più elevata di “dubbiosi” risiede nelle regioni del Centro (46,6%) e del Sud (46%) del nostro Paese.
Se si parla di strutture sanitarie private, a confronto di quelle pubbliche, si rafforza l’opinione degli intervistati secondo cui l’eutanasia viene applicata clandestinamente. Nello specifico la percentuale di chi risponde affermativamente è pari al 30%, a fronte del 20,9% che non crede a questa eventualità. Rimane invariata invece la percentuale di coloro che preferiscono non prendere posizione e si limitano a rispondere di non sapere se l’eutanasia venga esercitata o meno (42,9%) nelle strutture private.
L’esistenza del fenomeno dell’eutanasia praticata in maniera clandestina viene confermata da quanti affermano di essere a conoscenza di persone che vi hanno fatto ricorso: ben il 6% degli intervistati. Tuttavia, la stragrande maggioranza (87,4%) sostiene di non aver conoscenza di episodi in tal senso, mentre il 6,7% degli interpellati ha preferito non rispondere alla domanda.
Le regioni centrali e settentrionali sono quelle in cui si registra la quota maggiore degli interpellati che sostengono di essere venuti a conoscenza di episodi di eutanasia clandestina praticata nella cerchia delle proprie conoscenze (rispettivamente l’8,3% al Centro e l’8,1% al Nord), mentre nel Meridione il dato si attesta al 2%.
Ma medici di famiglia o infermieri di fiducia sarebbero disposti ad aiutare in maniera riservata la famiglia che chiede l’eutanasia per un proprio congiunto? Risponde affermativamente a questa domanda un terzo circa degli intervistati (31,8%), mentre il 21,3% non crede a questa ipotesi. Rimane sempre elevato il numero di coloro che preferiscono astenersi dall’esprimere un giudizio (41%).
Per sondare l’atteggiamento e l’opinione degli italiani in merito all’introduzione dell’eutanasia infantile in Olanda, è stato chiesto agli intervistati in quale misura condividono questa disposizione. I risultati dividono sostanzialmente a metà il campione. In particolare, il 48,2% condivide poco (24,9%) e per nulla (23,3%) questa pratica, mentre nel complesso il 45,9% si dichiara abbastanza (35%) e molto (10,9%) a favore. Ha preferito non esprimere alcuna opinione il 5,9% degli intervistati. Gli elettori di sinistra e centro-sinistra sono i più favorevoli. In particolare, la disposizione olandese che ha autorizzato la pratica dell’eutanasia anche per i bambini al di sotto dei 12 anni, è abbastanza (45,4%) e molto (12,5%) condivisa complessivamente dal 57,9% degli elettori di sinistra e centro-sinistra.
Accanimento terapeutico: ancora molta disinformazione. Per verificare il livello di conoscenza sul tema dell’accanimento terapeutico, è stato chiesto agli intervistati di fornirne una definizione. Soltanto il 41% ha risposto in maniera corretta, ossia che l’accanimento terapeutico significa prestare cure che prolungano la vita di un paziente senza speranza di guarigione. Hanno risposto correttamente soprattutto gli abitanti del Centro (45,1%) e quelli del Sud Italia (43,4%). La percentuale di informati si attesta invece al 37,1% nel Nord, dove si registra tra l’altro il numero più elevato di mancate risposte (11%).
Il 32,2% degli italiani intende per accanimento terapeutico il tenere in vita artificialmente un individuo completamente ed irreversibilmente privo di coscienza. Infine il 15,4% crede che esercitare l’accanimento terapeutico vuol dire sottoporre un individuo a terapie che comportano sofferenza e menomazioni. Questa definizione è stata espressa soprattutto dagli abitanti delle regioni settentrionali (il 20,6% contro l’11,4% degli abitanti del Centro e del Sud).
Testamento biologico: estensione del consenso informato? Il testamento biologico è un documento che viene redatto per esprimere la propria volontà sulla possibilità di essere sottoposti a particolari trattamenti medici, o rifiutarli, nel caso in cui non si è in grado di darne comunicazione una volta sopravvenuta la malattia. Questo documento, considerato come una dichiarazione di volontà, non ha però valore giuridico-legale rispetto alla attuale normativa del nostro Paese. Attualmente è in corso la definizione di una legge sul testamento biologico condivisa da un ampio schieramento politico. I senatori della Commissione Igiene e Sanità si stanno infatti confrontando con diversi esperti del mondo della bioetica, della sanità e della giustizia.
La maggior parte degli italiani, il 66,2%, dichiara di aver sentito parlare, nell’ultimo anno, di testamento biologico a fronte del 28,5% di quanti sostengono di non conoscere l’argomento.
Gli elettori di sinistra e centro-sinistra sono i più informati su questa tematica (73,6%), seguono quelli di centro (63,4%) e di destra e centro-destra (62,9%). Per quanto riguarda invece la ripartizione geografica, la percentuale più elevata di informati si registra nelle regioni centrali (77,2% a fronte del 66,9% del Sud e delle Isole e del 60,5% del Nord).
La stragrande maggioranza degli italiani ha ben chiaro che cosa si intenda per testamento biologico: l’84% ha risposto infatti correttamente alla domanda sulla definizione di testamento biologico, ovvero le disposizioni lasciate prima della morte da un individuo in merito ai trattamenti sanitari a cui accetta di essere sottoposto in caso di coma irreversibile o in caso di gravi patologie.
Si registra, tuttavia, una percentuale (complessivamente pari al 12,5%) che confonde il testamento biologico con le disposizioni lasciate prima della morte in merito alla propria sepoltura o cremazione (5,3%) o con le decisioni prese dai congiunti in merito alla donazione degli organi di un defunto (7,2%).
Gli intervistati più informati in tema di testamento biologico, appartengono alle regioni centrali e meridionali. In particolare, la percentuale di chi ha risposto in maniera corretta è pari al 91,5% nel Mezzogiorno ed al 90% nel Centro (contro il 73,5% del dato registrato al Nord).
Nei confronti del recente disegno di legge sull’introduzione del testamento biologico, circa tre italiani su quattro, il 74,7%, esprimono un parere favorevole a fronte del 15% di coloro che si dichiarano in disaccordo.
Sono le donne ad essere più propense ad affidare al testamento biologico un valore giuridico (il 75,7% contro il 73,7% del dato maschile).
Tra gli elettori appartenenti ai partiti dell’area di sinistra o centro-sinistra (83,8%) è più sentita la necessità di regolamentare la scelta preventiva e individuale in materia di trattamenti sanitari. Sono invece coloro che si dichiarano di centro (25,2%) a manifestare con maggiore frequenza un’opinione contraria rispetto all’introduzione della legge.
In generale, però, la necessità di una regolamentazione convince la maggior parte di coloro che si schierano a destra e centro-destra (69,6%), ma anche coloro che aderiscono all’area di centro (66,4%).
Testamento biologico: il fiduciario. Allo stato attuale uno dei punti principali del dibattito sulla proposta di legge riguarda la figura del fiduciario, ossia della persona a cui spetterebbe il compito di verificare che quanto in precedenza firmato nel testamento biologico venga correttamente interpretato ed attuato. È stato quindi chiesto agli italiani se riporrebbero la loro fiducia in una persona cara o in quella con la quale hanno condiviso una parte significativa della propria vita affidandole questo ruolo particolare. Risponde affermativamente la stragrande maggioranza degli italiani, l’86,3%, contro il 9,1% degli intervistati che la pensa diversamente. Non ha voluto o saputo fornire una risposta al riguardo il 4,6% degli interpellati. Altra tematica emersa all’interno della proposta di legge sul testamento biologico è quella relativa ad eventuali contrasti che potrebbero insorgere tra i medici e il fiduciario sull’interpretazione della dichiarazione di volontà e quindi sulle decisioni da prendere. Per risolvere questi casi, il senatore Marino ha proposto l’istituzione di un collegio composto da un neurologo, uno psichiatra e un esperto sulla patologia in questione, con il compito di esprimere un parere vincolante e super partes.
A chi spetterebbe in ultimo la decisione di “staccare la spina” in caso di interpretazione non univoca del testamento? Il 32,7% degli italiani sostiene che la decisione spetterebbe al coniuge, mentre il 27% alla persona nella quale si è sempre riposta fiducia nel corso della vita. Soltanto il 13,7% del campione invece lascerebbe che a scegliere fosse un qualsiasi parente.
Una minore fiducia viene riposta invece nei confronti del Comitato etico dell’ospedale, indicato dall’11,9% degli interpellati, e ancor meno verso i magistrati (4,1%) o i medici della rianimazione (3,5%).
Disaggregando il dato per area geografica, si rileva che nel Sud e nelle Isole è maggiore la tendenza di lasciare al coniuge la decisione di staccare la spina (41,5% contro il 22,5 del Nord).
Nelle regioni settentrionali, invece, gli intervistati esprimono con maggiore forza la volontà di affidare l’eventuale decisione alla persona nella quale si è sempre riposta la fiducia (32,4% vs il 31,3% del Centro e il 18,4% del Sud e delle Isole) o ad un parente (21,7% a fronte del 9% del Sud e del 7,3% del Centro).
Nell’eventualità in cui un paziente si trovi in condizione di coma irreversibile, il 36,4% degli italiani ritiene giusto rispettare le disposizioni precedentemente lasciate dallo stesso. Per il 25,1% dovrebbe essere invece data ai parenti la possibilità di decidere se staccare o meno la spina, mentre il 23% lascerebbe questa scelta al coniuge del paziente.
Soltanto il 5,5% degli intervistati affiderebbe la decisione alle leggi vigenti in Italia, mentre la preferenza per i medici viene indicata solo nel 2,8% dei casi.
I risultati del sondaggio indicano che, nei casi dei malati terminali, il fronte di opposizione alla interruzione delle cure perde ulteriormente consensi a favore del riconoscimento dell’autodeterminazione per il singolo sulle scelte inerenti alla propria vita.
L’interruzione delle cure che mantengono in una condizione di vita biologica un paziente in coma irreversibile, infatti, rappresenta per circa la metà degli intervistati (48,7%) una scelta accettabile se rispecchia la volontà espressa dal paziente e per il 28,6% un atto di clemenza che risparmia inutili sofferenze.
Il 17,5% del campione, invece, condanna l’interruzione delle cure considerando l’azione in contrasto con la tutela della vita umana (12,9%) quando non un vero e proprio omicidio (4,6%).
Le scelte indicate dal campione si differenziano anche in base al genere di appartenenza. Soprattutto le donne ritengono l’interruzione delle cure che tengono in vita un paziente in coma irreversibile un atto di clemenza che risparmia inutili sofferenze (il 30,1% contro il 27% del dato maschile). Gli uomini invece sono più propensi a ritenere l’interruzione della terapia una scelta accettabile solo se rispecchia la volontà espressa precedentemente dal paziente (49,7% vs 47,8%).
Prendendo in considerazione l’area politica di appartenenza, si rileva che gli intervistati che si dichiarano di sinistra e di centro-sinistra sono più propensi a rispettare, in caso di coma irreversibile, la volontà precedentemente espressa dal paziente (53,3% a fronte del 48,3% degli intervistati di destra e del 39,7% di quelli dei partiti di centro). Sempre nello schieramento di sinistra si registra la percentuale più alta di coloro i quali considerano l’interruzione delle terapie un atto di clemenza che risparmia inutili sofferenze (35,2%).
Meno disponibili invece gli elettori dei partiti di centro che in misura maggiore giudicano l’interruzione delle cure una scelta non accettabile perché essa contrasterebbe con la tutela della vita umana (24,4% a fronte del 5,5% di chi si posiziona a sinistra).

“OUTLOOK” Uno sguardo fuori regione
Rubrica di scienze economiche e sociali
a cura di Rosario Palese
(ISSN 1722-3148)

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