Nel 2004, la lunghezza complessiva della rete stradale in Italia era pari a circa 668mila km, valore di poco superiore a quello della Germania; in Francia si sfiorava il milione di km, mentre molto più contenuta era l’estensione della rete nel Regno Unito. Il nostro Paese presenta una dotazione infrastrutturale intermedia: in particolare, l’estesa della rete per abitante è inferiore di quasi il 50% rispetto a quella d’Oltralpe, ma superiore a quella di Germania e Regno Unito.
Il trasporto rapido di massa. Per quanto riguarda le linee di metropolitane e le tramvie veloci (o metropolitane leggere), sia in termini di popolazione servita che di estensione della rete, la dotazione dell’Italia è decisamente inferiore agli altri paesi, con un’estesa complessiva inferiore ai 130 km. Dispongono di linee metropolitane Roma, Milano, Napoli, Genova e Catania. Sono previste per i prossimi anni nuove tratte di metropolitana a Brescia, Catania, Genova, Milano, Monza, Napoli, Perugia, Roma, Salerno e Torino. In Europa è la Germania a disporre della rete più estesa di trasporti rapidi di massa (717 km): molte di queste reti sono “metropolitane leggere” e derivano da ristrutturazioni di linee tranviarie preesistenti. In Gran Bretagna circa il 75% della rete è dislocato a Londra che dispone di dodici linee di metropolitana pesante per un estensione complessiva di 400 km. La rete di Parigi è tra le più avanzate d’Europa (14 linee per 210 km e 294 stazioni); in Francia reti di metropolitana sono presenti anche a Lione, Marsiglia, Lilla e Tolosa.
Ripartizione modale: Italia, Francia, Germania, Regno Unito (e Svizzera) a confronto. Gli italiani usano l’auto più degli altri europei? Non sembrerebbe. Infatti confrontando i valori percentuali relativi alla ripartizione modale in Italia ed all’Estero, si rileva l’esistenza di un quadro piuttosto omogeneo. In media vengono effettuati con l’auto l’85% degli spostamenti terrestri “motorizzati”, ossia esclusi quelli a piedi ed in bicicletta e quelli per mare ed in aereo; se nel Regno Unito si registra il valore massimo con l’87% dei percorsi compiuti utilizzando le vetture private, in Italia si scende all’83% che costituisce il valore minimo riscontrato. L’attuale ripartizione modale fra auto e trasporti collettivi non è frutto di evoluzione recente ma risale in larga misura a più di trent’anni fa: già nel 1970 l’auto soddisfaceva il 75% della domanda di trasporto in Europa a fronte dell’83% nel 2003. I dati relativi alla Gran Bretagna evidenziano che l’acquisizione di quote di traffico da parte dell’auto risale in larga misura al ventennio che va dal 1950 al 1970. Il livello di traffico stradale pro capite, dato dal rapporto fra percorrenza complessiva delle auto e numero di abitanti, varia fra i 6.526 km dell’Italia ed i 7.139 della Francia. Analoga a quella del trasporto passeggeri è la ripartizione modale del trasporto merci: la quota di trasporto su strada si colloca tra l’83% della Germania ed il 90% dell’Italia. In Svizzera la ferrovia detiene una quota di mercato significativamente più elevata, intorno al 30%: tale valore è però fortemente influenzato dal traffico di transito fra l’Italia ed gli altri paesi europei. La parte maggioritaria del traffico merci è costituita da veicoli di medio-piccole dimensioni, mentre i veicoli pesanti rappresentano una quota del traffico stradale complessivo, stimabile intorno al 2-4%. Occorre inoltre sottolineare come la maggior parte del traffico pesante (così come di quello passeggeri) si sviluppa su distanze medio-brevi dove la differenza di competitività fra vettore stradale e ferroviario è più marcata. In Italia, ad esempio, il 78% del traffico pesante sulla rete gestita dalla società Autostrade ha origine e destinazione nella stessa regione: qualora si togliessero dalla strada tutti i Tir che percorrono tratte superiori ai 500 km, la riduzione dei veicoli in transito risulterebbe pari allo 0,2%.
Il problema dell’inquinamento atmosferico. In base ai risultati di un sondaggio svolto in quattro paesi della Ue, la maggior parte dei cittadini ritiene che l’inquinamento atmosferico sia in progressivo aumento: tale opinione è condivisa da oltre la metà di tedeschi e olandesi e dal 90% degli abitanti di Francia e Gran Bretagna. La realtà è però assai diversa. Grazie agli sforzi compiuti in tutti i settori, dall’industria agli impianti di riscaldamento e al traffico, la qualità dell’aria nelle nostre città è oggi di gran lunga migliore rispetto a qualche decennio fa. A Milano, ad esempio, negli ultimi quindici anni il biossido di zolfo è passato da 79 a 12 g/m3 (-84%); gli ossidi di azoto sono diminuiti da 255 a 119 g/m3 (-53%); l’ossido di carbonio è stato abbattuto da 5,8 a 1,4 g/m3 (-76%); il particolato totale sospeso si è ridotto da 140 a 60 g/m3 (-57%) ed il PM10 da 75 a 50 g/m3 (-33%); il benzene è passato da 55 a 5 g/m3 (-90%). Si può affermare che ulteriori riduzioni dell’inquinamento atmosferico saranno di modesta entità se paragonati all’evoluzione di lungo periodo anche perché, pur in assenza di emissioni antropiche, si registrerebbe nell’atmosfera una concentrazione media “residua” di PM10 pari a circa 10-15 g/m3 dovuta a emissioni naturali. Una diversa ripartizione modale non potrà modificare, se non in misura marginale, l’evoluzione della qualità dell’aria e, per quanto concerne le emissioni del settore stradale, anche in futuro il fattore prevalente ai fini della riduzione delle emissioni rimarrà l’evoluzione tecnologica dei veicoli.
Gli incidenti stradali. Tra il 1970 ed il 2004, pur in presenza di un incremento del traffico superiore al 100%, il numero di decessi ha subìto una drastica riduzione. Il paese in cui si verifica un andamento maggiormente positivo è la Germania dove si registra un -73% di vittime di incidenti stradali; in Italia il numero di morti è stato pressoché dimezzato, passando dalle 11.000 del 1970 alle 5.625 vittime del 2004, con una riduzione del 57%. Confrontando i tassi di mortalità (rapporto fra numero di morti e traffico) nei diversi paesi, e fatto pari a 100 il tasso dell’Italia, i valori di Francia, Germania e Regno Unito sono pari rispettivamente a 87, 67 e 57: in altri termini, a parità di traffico e di ripartizione modale, il numero di morti oltre Manica è inferiore del 40% a quello del nostro Paese.
Riequilibrio modale. Meno strada e più ferrovia. A Bruxelles, Berlino, Londra, Parigi, Roma, è questo il principio che guida la politica dei trasporti nei paesi europei. Tuttavia, per quanto seducente e quasi universalmente condivisa, questa strategia ci obbliga a qualche riflessione. Come 100 anni fa sarebbe stato inimmaginabile un riequilibrio modale fra il treno – mezzo di trasporto che consumava più risorse, più rumoroso e, forse, più inquinante – ed il cavallo, così non sembra essere realistica la prospettiva di ridurre il traffico stradale in misura significativa sviluppando e incentivando, con l’utilizzo di risorse pubbliche, la ferrovia. Questa idea ispirata al buon senso si fonda tuttavia su un postulato smentito dai fatti: la possibilità di sostituire alla strada altri modi di trasporto. A meno che si adottino misure coercitive, l’esperienza dimostra che questo trasferimento non si è mai verificato. Infatti che si tratti di trasporto di persone o di merci, di percorsi interurbani o urbani, è quasi sempre impossibile alleggerire le strade trasferendo il traffico su infrastrutture diverse dalle strade stesse. Questo è il risultato prodotto sia dall’esame di singoli progetti che dal confronto fra paesi che, pur presentando livelli di dotazioni infrastrutturali di trasporto pubblico assai diversificate, sono accomunati da un’analoga ripartizione modale fra strada e ferrovia e fra mezzi individuali e trasporti collettivi. Il riequilibrio modale non costituisce neppure un rimedio efficace alla congestione, problema reale ma di dimensioni meno rilevanti di quanto non si ritenga abitualmente: per la maggior parte degli spostamenti, infatti, l’auto rimane il mezzo di gran lunga più veloce, pur in presenza di elevati livelli di traffico. Da ultimo occorre sottolineare come attraverso una politica di liberalizzazioni sia possibile ridurre in misura significativa la spesa pubblica corrente per i trasporti collettivi, a parità di servizio offerto.
Lo Stato e gli Enti locali destinano oggi ingenti risorse al settore del trasporto collettivo sia in ambito urbano, che in quello degli spostamenti a lunga percorrenza (treno ed aereo); il solo trasporto pubblico locale assorbe ogni anno oltre 4 miliardi di finanziamenti pubblici. La riforma del settore, che risale al 1997 e prevedeva il trasferimento della maggior parte delle competenze a livello locale ed introduceva la possibilità di ricorrere all’affidamento dei servizi tramite gara, non ha finora portato ai risultati auspicati in termini di miglioramento dell’efficienza. Gli Enti locali hanno continuato a tutelare gli interessi dei produttori dei servizi a scapito dei contribuenti. Per illustrare la gravità della situazione è forse sufficiente rammentare che il costo unitario di produzione dei servizi di trasporto pubblico locale su gomma in Italia è all’incirca tre volte superiore a quello che si registra nelle aree urbane della Gran Bretagna dove, a partire dalla metà degli anni Ottanta, è stato attuato un processo di liberalizzazione del settore che ha determinato una riduzione dei costi pari al 50%. L’elemento cardine del differenziale dei costi è dato dalla differenza del costo del lavoro (superiore del 60% nel nostro Paese rispetto al Regno Unito) e dal divario in termini di produttività, assai più modesta in Italia. L’introduzione di elementi di concorrenzialità nel settore rende necessaria la privatizzazione delle aziende attualmente controllate dagli Enti pubblici che, nella situazione attuale, ricoprono contemporaneamente il ruolo di arbitro e di giocatore.

“OUTLOOK” Uno sguardo fuori regione
Rubrica di scienze economiche e sociali
a cura di Rosario Palese
(ISSN 1722-3148)

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