In Italia le Pgm (Piante Geneticamente Modificate) sono attualmente coltivate solo a scopi sperimentali e di ricerca. La sperimentazione ha subito un forte calo negli ultimi anni: se nel 1994 e nel 1998 si sono toccati picchi di 55 sperimentazioni di Pgm, si è vieppiù scesi sino a toccare quota 2 nel 2001, si è risaliti nel 2002 ad 11 sperimentazioni per poi scendere ancora vertiginosamente nel 2003 con 1 e risalire nel 2004 toccando quota 3. Dal 1992 al 2004 fra le specie vegetali maggiormente oggetto di sperimentazione in Italia, quella del mais è la pianta maggiormente riprodotta (98% dei casi); seguono il pomodoro (48%), la barbabietola (39%), le piante (18%). Ad uno stesso 10% si attestano cicoria e melanzana.
In altri paesi le Pgm sono coltivate anche a scopi commerciali. Fra tutti spiccano gli Stati Uniti con 49,8 milioni di ettari coltivati; seguono l’Argentina con 17,1 milioni di ettari coltivati, il Brasile con 9,4, ed il Canada con 5,8 milioni di ettari coltivati. Fra le Pgm prodotte la soia è la più coltivata (54,4%); seguono il mais (21,2%), il cotone (9,8%) e la colza (4,6%).
Le piante transgeniche. Con ‘transgene’ viene definita la sequenza nucleotidica di DNA che viene introdotta ed espressa nelle cellule della pianta che si vuole modificare geneticamente, il prodotto espresso dal transgene può essere: una proteina; un RNA che non è tradotto in proteina ma serve a modulare l’espressione di un gene presente nella pianta o per indurre la degradazione di uno specifico RNA, ad esempio il genoma di un virus (silenziamento del RNA).
Il transgene può derivare da qualsiasi organismo, anche appartenente ad un altro regno, così come può essere un gene vegetale che dopo opportune modifiche è reinserito nella stessa pianta.
Panorama normativo. L’attuale normativa europea in materia di Organismi Geneticamente Modificati (OGM) è il risultato dell’incontro di una serie di atti normativi internazionali e degli avanzamenti scientifici ottenuti nel corso degli anni Novanta.
Per capirne la complessità e l’importanza è utile ricordare alcuni passaggi:
– nel 1990 è pubblicata la Direttiva n. 220 sull’ “Emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati” recepita in Italia con il decreto legislativo n. 92 del 3 marzo 1993;
– nel 1992 è stipulata la Convenzione per la Diversità Biologica (CDB) in occasione del Summit di Rio de Janeiro. All’interno della Convenzione è ripreso e validato il concetto di “Sviluppo sostenibile” e ribadita l’importanza della biodiversità per il futuro del pianeta;
– nel 1994 i paesi firmatari della CDB riconoscono la necessità di regolamentare l’uso e la movimentazione transfrontaliera di organismi geneticamente modificati e iniziano un lungo percorso che si concluderà il 29 febbraio del 2000 a Montreal con la firma da parte di 130 paesi, tra cui l’Italia, del Protocollo di Cartagena (ratificato in Italia nel 2004);
– nel 1998 è firmata la Convenzione di Aarhus, ratificata in Italia con la legge del marzo 2001 n.108, che riguarda l’accesso alle informazioni e la partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale;
– contemporaneamente, la Comunità Europea finanzia numerosi progetti di ricerca che hanno come oggetto principale la valutazione della sicurezza degli Ogm per l’alimentazione umana ed animale e degli impatti potenziali che potrebbero avere specificatamente per l’ambiente europeo;
– tra il 1998 e il 2001, l’atteggiamento preventivo e cautelativo di molti paesi membri della CE, tra cui l’Italia e l’Austria e di una parte della comunità scientifica, hanno portato ad una moratoria de facto all’ingresso di Ogm nel mercato della Comunità Europea e quindi al blocco della commercializzazione di questi prodotti.
Quanto descritto, assieme alle ricerche effettuate nel campo della biosicurezza e valutazione di impatto ambientale ed alla necessità di conciliare esigenze di un mercato globale, ha spinto la Comunità Europea a sviluppare una normativa più rispondente alle esigenze di chiarezza, di sicurezza ambientale e sanitaria. Il primo passo in questa direzione è la Direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 che disciplina la sperimentazione e la commercializzazione di qualsiasi organismo geneticamente modificato (piante, animali, microrganismi, etc.), e abroga la precedente Direttiva 90/220/CE. La nuova Direttiva riprende e ribadisce, facendoli propri, molti dei principi affermatisi in questi anni.
Ma il principio cardine, che sarà ripreso in ogni atto normativo riguardante gli Ogm, è l’approccio “caso per caso” da applicare sia nella fase di valutazione delle richieste di autorizzazione al rilascio deliberato, sia nella fase di analisi dei rischi e monitoraggio degli effetti potenziali. Tale principio permette di considerare i rischi ed i benefici del singolo Ogm rilasciato in specifiche condizioni ed in un determinato ambiente.
Valutazione dei potenziali effetti connessi al rilascio nell’ambiente di PGM. La sicurezza ambientale degli Ogm può essere valutata attraverso una corretta applicazione delle procedure di analisi di rischio. L’identificazione dei potenziali effetti negativi connessi al rilascio ambientale di Ogm avviene in fase di valutazione. Per effetti diretti si intendono gli effetti primari sulla salute umana o sull’ambiente derivanti dall’Ogm stesso (effetti tossici o allergenici sull’uomo o ad esempio l’effetto della tossina BT sugli organismi non bersaglio). Per effetti indiretti si intendono gli effetti sulla salute umana, animale o sull’ambiente dovuti ad eventi quali le interazioni con altri organismi o il trasferimento di materiale genetico (per esempio, la fecondazione di una pianta selvatica con una pianta GM). Per effetti immediati si intendono quegli effetti sulla salute umana o sull’ambiente osservati durante il periodo di rilascio dell’Ogm (per esempio l’insorgenza di fenomeni allergici in individui esposti all’Ogm). Infine per effetti differiti si intendono gli effetti sulla salute umana o sull’ambiente non osservabili durante il periodo di emissione dell’Ogm, ma che emergono in una fase successiva o al termine dell’emissione (ad esempio, la diffusione dei possibili ibridi, generati dall’incrocio tra piante GM e piante affini, che si potrebbero evolvere in nuove specie invasive di ecosistemi naturali a causa del vantaggio selettivo acquisito con il transgene).

“OUTLOOK” Uno sguardo fuori regione
Rubrica di scienze economiche e sociali
a cura di Rosario Palese
(ISSN 1722-3148)

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