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[ ANNO III – OTTOBRE 2007 – NUMERO 38 ] L’ITALIANO? POCO “CLEMENTE”!

Due italiani su tre (66%) si dichiarano contrari al provvedimento di clemenza. Soltanto il 14% condivide l’indulto nella forma in cui è stato realizzato, mentre un italiano su cinque ignora completamente l’argomento. Questo quando emerge dall’indagine condotta dall’Eurispes per sondare l’opinione degli italiani sul provvedimento di indulto approvato dal Parlamento nel 2006. Tra i contrari, quasi la metà, il 46,9%, dichiara la propria avversione verso ogni provvedimento di clemenza, indipendentemente dalle ragioni che lo motivano. L’altra metà (45,8%) si dimostra possibilista ma critica l’elevato numero di reati inclusi nel condono attuato nel 2006 oppure considera eccessivo lo sconto di pena di tre anni (6,8%).
Ma questo provvedimento era necessario per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri? Più della metà dei cittadini considera l’indulto per niente (43,6%) o poco indispensabile (14%), mentre solo il 5,6% lo condivide pienamente e il 16,9% lo fa con qualche riserva.
Cala la fiducia, aumenta il senso di insicurezza. Il 59,7% del campione ritiene che il provvedimento abbia influito negativamente sulla fiducia che i cittadini ripongono nella giustizia. Sul piano personale, una percentuale significativa di intervistati, il 37,3%, afferma che dopo l’indulto la propria fiducia nella giustizia è diminuita, anche se prevale la quota di chi la definisce invariata (40%); solo l’1,6% si dice più fiducioso nella giustizia. Il 59,2% degli intervistati ritiene inoltre che l’indulto, mettendo in libertà un alto numero di detenuti, anche autori di reati gravi, abbia generato seri problemi di sicurezza per i cittadini italiani. Ben il 60,5% degli intervistati non considera l’indulto un atto di umanità nei confronti dei detenuti: il 39,9% non è per niente d’accordo con questa affermazione, il 20,6% lo è poco, il 15,8% abbastanza e solo il 3,8% molto.
Per quanto riguarda invece l’attribuzione della responsabilità politica del condono, il 41,5% degli italiani riconosce correttamente il contributo di maggioranza e opposizione all’approvazione della legge. Il resto del campione si divide equamente tra coloro che imputano la decisione al Ministro Mastella (18,3%), coloro che la considerano il frutto dell’operato delle sole forze di Governo (18,9%) e coloro che non sanno o non vogliono rispondere (19,9%); solo l’1,4% attribuisce la responsabilità all’opposizione.
La stragrande maggioranza degli elettori di destra e centro-destra (78,9%) esprime una netta contrarietà al provvedimento. Tuttavia l’avversione riguarda anche gli elettori di centro (69,5%). Ed il 60% di coloro che si collocano nell’area di sinistra o di centro-sinistra: tra questi, il 60% avrebbe preferito che l’indulto fosse applicato solo ad alcune tipologie di reato. Da segnalare ancora la contrarietà a qualsiasi forma di clemenza da parte della metà degli italiani che rifiutano la collocazione in qualsivoglia schieramento. Un’avversione assoluta che riguarda oltre la metà degli elettori di centro e di destra e circa un terzo di chi si schiera a sinistra. La sfiducia nella giustizia ed il crescente senso di insicurezza che ne deriva riguardano gli elettori di tutti gli schieramenti politici, con percentuali che oscillano tra l’80% degli elettori di destra e di centro ed il 60% di quelli di sinistra. La questione del sovraffollamento delle carceri sembra interessare soltanto il 30% degli elettori di centro e poco più del 40% degli elettori di sinistra.
Una giustizia al collasso. La fotografia della condizione del sistema giustizia in Italia mostra un quadro sconcertante. La durata media dei processi è pari a 35 mesi per il giudizio di primo grado e a 65 mesi per quello d’Appello. È possibile attendere anche dieci anni per emettere una sentenza definitiva. Nel periodo 2001-2004 le cause civili giacenti davanti ai giudici di pace sono aumentate del 64%, quelle in Corte d’Appello del 122% e quelle in Corte di Cassazione del 33%. Le cause penali sono aumentate del 16% in istruttoria, del 60% in prima istanza, del 24% in Appello e del 4% in Cassazione. Ammontano a dieci milioni i processi pendenti, dei quali circa 4 milioni civili e 6 milioni penali. Mentre risultano 70mila condanne definitive non ancora eseguite. Il debito complessivo del Ministero della Giustizia ammonta a circa 250 milioni di euro. Negli ultimi 4 anni le risorse per la gestione ordinaria sono diminuite del 51,2%. La macchina della giustizia è gravemente indebitata ed i mezzi finanziari disponibili sono inadeguati al fabbisogno ordinario delle procure. I debiti accumulati nei confronti di aziende che si occupano per i tribunali di assistenza informatica, di verbalizzazione e di intercettazioni sono esorbitanti.
Un’altra anomalia tutta italiana si rintraccia nel numero spropositato di avvocati: quasi 200.000 (il Giappone con 120 milioni di abitanti ne ha 20.000 circa).
Il sistema giudiziario italiano, già carico di ritardi e incombenze ha subìto, non senza rimostranze, la nuova legge sull’indulto. Nel 2005 oltre l’80% delle condanne inflitte risultano pari o inferiori a tre anni di pena detentiva o a 10.000 euro di pena pecuniari. Ciò significa che 4/5 dei processi pendenti per reati commessi entro il 2 maggio 2006 si concluderanno, in caso di condanna, con la formula «pena interamente condonata». La mole di procedimenti che rientrano nell’indulto non può esser definita prima di cinque anni: sarebbe difficile individuare reati commessi entro il 2 maggio 2006 ma non ancora scoperti dall’Autorità giudiziaria. In ogni caso stiamo parlando di migliaia di potenziali beneficiari. Viene quindi denunciata da più parti la drammaticità della situazione e l’urgente necessità di un provvedimento di amnistia per evitare che possano essere aperti migliaia di processi destinati a chiudersi con condanne a pene estinte, quindi non eseguibili; con un enorme spreco di risorse umane e materiali.
L’impatto sul sistema penitenziario. L’Italia ha il secondo più alto tasso di affollamento carcerario dell’Unione europea. L’ultimo significativo indulto risale al 1990 e consentì la scarcerazione di circa 13.000 detenuti. Nel giugno del 1991 il numero di detenuti si era ridotto a 31.053, ma dal 1991 al 2005 è cresciuto in media di 2.000 unità, con picchi di 9.000 persone nel 1992. L’introduzione di nuove tipologie di reato ha certamente dato un contributo rilevante a tale crescita. Le norme contenute nella legge Fini-Giovanardi hanno esteso l’area penale per consumatori e possessori di sostanze stupefacenti. Le disposizioni della legge Bossi-Fini hanno stabilito l’arresto per extracomunitari che non ottemperano all’ordine di espulsione. Nel 2005 sono entrate in carcere con quest’accusa 11.300 persone, poi scarcerate in un arco di tempo massimo di 90 giorni.
L’incremento della popolazione carceraria tra il 1996 e il 2006 è stato del 25,3%. Al 31 luglio 2006, il giorno prima dell’entrata in vigore dell’indulto, la popolazione carceraria registrava 60.710 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 43.213 unità. Un esubero, quindi, di oltre 17mila persone; anche se il 40% dei detenuti risulta in attesa di giudizio. Gli stranieri erano 20.088, pari al 33,1% del totale. I tossicodipendenti 16.135 pari al 27,1%, gli alcooldipendenti 1.334. A distanza di un mese dall’entrata in vigore del provvedimento di clemenza, erano dunque stati scarcerati 16.568 detenuti (11.313 dei quali con pena residua inferiore ad un anno), compresi un migliaio di detenuti in semilibertà. Altri 7.178 sono stati scarcerati essendo in custodia cautelare nei mesi d’applicazione dell’indulto. Tra questi, fino al 15 novembre, 4.456 erano detenuti anche per un titolo di reato definitivo venuto meno con l’indulto, e 2.722 erano sottoposti unicamente alla custodia cautelare. Si tenga presente che in tutto il 2006, fino al 15 novembre, su 69.408 persone uscite in libertà per motivi diversi dall’indulto, ben 49.761 erano in stato di custodia cautelare. Ancora 17.423 i soggetti che erano già fuori dal carcere per i quali erano applicate misure alternative, cessate per effetto dell’indulto. Mentre ammontano a quasi 4.757 coloro che hanno usufruito del provvedimento di clemenza per uno o più titoli di detenzione, ma che sono rimasti in carcere per altre condanne. Sono 480 infine, i detenuti ammessi a misure alternative per effetto del condono.
Effetti positivi o semplici palliativi? Se la legge sull’indulto ha aumentato le difficoltà del sistema giudiziario, ha tuttavia alleggerito la pressione sull’apparato carcerario, riportando il numero di presenze in carcere entro la capienza regolamentare. La capienza, che era di 36.000 posti nel 2001, è passata a 42.000 nel 2003. Nell’anno in corso è fissata in 43.213 unità. Alla data del 15 novembre risultano 39.176 i detenuti ancora in carcere, circa 4 mila persone al di sotto del limite consentito. Bisogna anche considerare gli effetti positivi dell’indulto sui costi di mantenimento della popolazione carceraria: ogni detenuto costa allo Stato mediamente 120 euro al giorno. Si profila inoltre la possibilità di riequilibrare il numero dei detenuti in rapporto al personale di polizia penitenziaria. Purtroppo il limite maggiore di tali benefici è costituito dal fatto che potrebbero rivelarsi di breve durata. Al 9 novembre sono rientrati in carcere per misure dell’Autorità giudiziaria antecedenti o per aver commesso nuovi reati 1.570 persone, il 6,5% dei beneficiari. Una cifra considerata fisiologica dagli esperti, ma destinata a crescere perché, dei 37.175 affidati all’esecuzione esterna, solo 4.708 hanno usufruito della clemenza, mentre una parte consistente di “provenienti dalla libertà” non sono stati ancora esaminati. I reati commessi nel trimestre successivo all’approvazione dell’indulto nelle procure di Milano, Roma, Napoli e Palermo si mantengono con oscillazioni verso l’alto o verso il basso nella media dei reati registrati dal 2000 in avanti. Se però a Milano si è verificata una flessione significativa dei reati (da 21.315 dell’agosto-ottobre 2005 a 14.820 dello stesso periodo del 2006) ed a Roma e Palermo un aumento non allarmante, diversa è la situazione di Napoli. Nel capoluogo campano i reati sono infatti aumentati dai 24.394 dell’agosto-ottobre 2005 ai 44.034 del periodo corrispondente del 2006. Se sull’intero territorio nazionale si è dunque registrata una lieve flessione dei reati nel trimestre successivo all’indulto, nelle quattro metropoli più “critiche” dal punto di vista della criminalità urbana si è verificato nel complesso un incremento (da 82.770 reati a 100.334).

“OUTLOOK” Uno sguardo fuori regione
Rubrica di scienze economiche e sociali
a cura di Rosario Palese
(ISSN 1722-3148)