[Recensione di Mimmo Mastrangelo]

Si presentano sotto “l’étiquette” Studio Azzurro, il  quale più che un collettivo, meglio sarebbe definirlo un laboratorio-bottega delle arti multimediali che, nonostante non sia inglobato nel grande giro del mercato delle gallerie, è riuscito a dare una prospettiva internazionale alla videoarte e alla videoinstallazione prodotta nel nostro paese. Studio Azzurro è nato nel 1982 (Stefano Roveda si aggiunto nel 1995) e da allora, intervenendo anche sulle poetiche di cinema, teatro, danza e musica, avrà prodotto uno sterminato numero di opere purtroppo non molto note in Italia come magari lo sono in paesi come Giappone, Olanda, Germania. Ma grazie alla Feltrinelli (collana Real Cinema) si possono ora conoscere (o rivedere) in formato dvd  le riprese filmiche di sessanta opere. Un cofanetto a cui è allegato, per la curatela di Bruno Di Marino, “Tracce, sguardi e altri pensieri”, volume che, oltre a diversi saggi e recensioni, contiene una lunghissima intervista con Paolo Rosa. E’ sempre un po’ complicato  scorrere il percorso artistico di Studio Azzurro, in quanto di esso più che cercare una chiave di interpretazione si è più propensi a raccontarne il singolo evento artistico per come si presenta, per i  prodigiosi artifizi e le dinamiche estetiche che vi vengono agganciate. Tutto ciò, probabilmente, si spiega perché è un’arte quella di Rosa-Cirifino-Sangiorgi-Roveda che non chiede al pubblico solo di assistere, guardare, osservare passivamente,  ma di intervenire compartecipando ad un processo di interattività che può far mutare la percezione dell’opera. Sarebbe qui opportuno descrivere  tutto il marchingegno  dei ventiquattro monitor e dei dodici programmi video attrezzato per l’installazione “Il nuotatore” (1984), oppure  lo spettacolo stucchevole  di “Primo scavo” (1988), arredato con un cerchio di televisori da cui si prova a leggere la natura umana mischiando proiezioni del passato con quelle del futuro. Ci sarebbe da narrare nei dettagli le sovrapposizioni di immagini dell’opera videomusicale “Alexander Nevskij” (1987), oppure l’esperienza interattiva di “Tavoli” (1995) insieme  alle suggestioni  de “Il fuoco, l’acqua e l’ombra” (1998), lo spettacolo di danza e luci dedicato alla poetica di Tarkovskij e in cui, attraverso il movimento di alcuni danzatori, viene ricostruita la memoria di una natura che non c’è più. Ci sarebbe da mettere in cronaca “Il mnemonista” (2000), spettacolo teatrale ( con gli eccellenti Sandro Lombardi e Roberto Herlitzka) dove una mente prodigiosa incamera ogni stimolo dall’esterno senza riuscire a dimenticare nulla, ma volendo cercare una  sintesi dell’arte di Studio Azzurro, si può affermare che ogni  creazione è la sfida di superare le comuni coordinate temporali e spaziali. E’ l’asserzione di un’arte digitale che sostituisce una realtà smaterializzata  in continuo ricambio e in cui – come scrive Di Marino nell’introduzione  –  “il dispositivo non è solo un medium, un apparato tecnologico, un contenitore di immagini, un sistema di segni, ma diviene un sistema di segni, la forma simbolica che condiziona tutti gli elementi in gioco e instaura una nuova visione del mondo e delle cose”. Una visione che nel corso degli anni è stata segnata da alcune evoluzioni: dapprima si  è codificata la ricerca su quelle opere chiamate  videoambientazioni, consistenti nel generare, attraverso l’utilizzo di innumerevoli monitor, un semplice rapporto di dialogo tra video, ambiente fisico e spettatore. Successivamente, a partire dai primi anni ’90, con le installazioni di ambienti sensibili (fino alle recenti esperienze dei musei territoriali), Studio Azzurro ha puntato tutto sul concetto di interattività per agevolare un coinvolgimento più diretto del pubblico. Per i quattro artisti (e i numerosi collaboratori) “l’interattività riapre un dialogo, riconoscendo che un processo di creazione e d’informazione non è completo se non c’è un’assunzione di responsabilità anche da parte del fruitore, il quale diviene non più  solo spettatore, ma produttore di un’esperienza”. Meglio, lo spettatore diviene il coautore di immagini immateriali ma vive, di un mondo multimediale disposto lungo una frontiera dove ci può smarrire, ma che, allo stesso tempo, può permettere la sperimentazione di una cognizione-altra della realtà.

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