Assetti e trasformazioni del sistema produttivo. Un sistema economico costituito da oltre quattro milioni di imprese, circa una ogni 14 abitanti, rende l’Italia un caso unico in Europa. Il nostro Paese, infatti, concentra il 24% delle imprese dell’Unione europea a 15 membri. Questa incidenza, sfiora, però, il 25% per le aziende con meno di 10 addetti e supera di poco il 7% per quelle con oltre 250 addetti.
Il quadro che ne risulta è caratterizzato da una forte dicotomia tra piccole (fino a 20 addetti) e grandi imprese (oltre i 250): le prime concentrano gran parte dell’occupazione ed una percentuale molto più esigua di valore aggiunto, mentre le seconde contribuiscono all’occupazione con una percentuale minima e producono oltre il 30% della ricchezza nazionale. Inoltre, l’incidenza delle grandi imprese italiane è inferiore a quella di tutti gli altri paesi dell’Ue a 15.
Gli indicatori economici delle medie imprese (le classi da 20 a 49 e da 50 a 250 addetti) sono decisamente migliori di quelli delle piccole imprese e commensurabili a quelli delle grandi imprese. Inoltre, rispetto alle classi estreme, le medie imprese hanno una maggiore elasticità dovuta sia alla capacità di organizzarsi in forme di network, sia all’abilità di sfruttare le tipicità locali di cui sono portatrici.
Il punto di debolezza maggiore delle medie imprese italiane è rappresentato dagli investimenti nell’innovazione. Sono comunque numerosissime le medie imprese italiane leader mondiali in produzioni di nicchia, che contribuiscono a mantenere alto il valore del made in Italy.
L’inarrestabile crescita del terziario. Tra il 2000 e il 2005 il numero delle imprese è aumentato complessivamente del 7,4%. In questo stesso arco di tempo, i pesi relativi dei diversi settori si sono spostati in maniera significativa: l’incidenza dell’agricoltura, dell’industria e del commercio, considerata nella sua globalità, è diminuita. A tutto vantaggio dei servizi alle imprese e alle persone. Si tratta di un cambiamento nel senso della modernità, al quale si collega anche la terziarizzazione della nostra economia.
Una immagine precisa di questa trasformazione è data dal tasso di valore aggiunto relativo, ossia dal contributo di ciascun settore alla creazione della ricchezza complessiva di un paese. Esaminando le serie storiche dal 1980 al 2006 emerge che ad un calo progressivo e costante del ruolo dell’industria corrisponde un’altrettanto costante crescita del settore finanziario, assicurativo, immobiliare e dei servizi alle imprese, che ha generato un vero e proprio effetto di sostituzione nella creazione del valore aggiunto.
La ristrutturazione dimensionale. L’evoluzione settoriale sta procedendo di pari passo con una forma peculiare di ristrutturazione del tessuto produttivo che passa attraverso due direttrici: il rafforzamento della forma giuridica adottata dalle imprese e la ricerca di relazioni stabili con altre unità produttive (manifatturiere o terziarie).
Nel corso del 2006 si è ulteriormente accentuata la tendenza delle imprese a nascere (o a trasformarsi) ricorrendo a forme giuridiche più complesse, come quelle delle società di capitali.
Invece al percorso di crescita “relazionale”, legata ad una logica di controllo strategico delle filiere produttive, si deve la diffusione dei gruppi di impresa: all’inizio del 2004 se ne contavano poco meno di 71.300, cui fanno riferimento 170mila imprese (147.800 delle quali in posizione di controllata). Essi sono situati principalmente nel Nord-Ovest dove rappresentano oltre il 39% del totale: peraltro proprio in quest’area si colloca il maggior numero di aziende controllate da imprese estere (sono circa 7.500 i gruppi guidati da una capogruppo estera).
Un nuovo ruolo per le medie imprese. Le protagoniste del riposizionamento del sistema produttivo sui mercati internazionali sono in gran parte le imprese di medie dimensioni. Il loro peculiare modello organizzativo è basato sulla capacità di collegamento con altre aziende, sia attraverso il controllo proprietario (come nel caso dei gruppi), sia attraverso accordi produttivi o commerciali. Questo modello permette ad esse di avere un’estrema flessibilità produttiva, adatta in modo particolare a gestire produzioni di qualità destinate a segmenti di mercato di fascia media o alta, piuttosto che prodotti di massa.
La loro capacità competitiva è riscontrabile in tutti gli indicatori di redditività. Le medie imprese manifatturiere hanno fatto registrare ottimi risultati economici, decisamente migliori delle aziende di piccole dimensioni e al passo con i risultati delle grandi aziende italiane.
Dall’analisi delle performance economiche delle imprese italiane per classe dimensionale, emerge il peso delle medie imprese che sono, nel contempo, le più profittevoli (con una quota di profitti sul valore aggiunto pari al 33,8%) e quelle maggiormente orientate verso i mercati esteri (con una quota di esportazioni sul fatturato pari al 32%).
In gravi difficoltà versano, invece, le piccole e le micro-imprese, che non riescono a trovare uno sbocco sui mercati esteri e, in buona sostanza, non riescono a contrastare la concorrenza dei prodotti a basso costo che provengono dai mercati orientali.
Le medie imprese si caratterizzano anche per la capacità di controllare fortemente il mercato in cui operano attraverso l’applicazione del proprio knowhow nell’innovazione di prodotto. Utilizzando come parametro della propensione innovativa i brevetti dell’European Patent Office (EPO), si rileva che, tra il 1997 ed il 2003, il 16,5% delle medie imprese manifatturiere ha prodotto almeno un brevetto: inoltre il 10,5% delle domande di brevetto pubblicate in Europa dalle aziende italiane riguarda medie imprese industriali.
La crescita dimensionale delle imprese italiane. Le statistiche mostrano che la dimensione media delle imprese ancora attive a cinque anni dalla nascita sale da 1,5 addetti nel 1999 a 2,7 nel 2004. In particolare, l’industria propriamente detta registra la crescita maggiore, passando da 2,1 a 4,5 addetti, mentre il commercio si caratterizza come il settore con la dimensione media più bassa, sia alla nascita (1,3 addetti) sia dopo cinque anni (2 addetti).
La capacità di crescita delle nuove imprese ha evidenti vantaggi dal punto di vista dell’occupazione. Infatti 152.000 imprese, nate nel 1999 e sopravvissute nel 2004, avevano al momento della loro costituzione 232mila addetti che salgono ad oltre 406mila dopo cinque anni (+75,6%).

“OUTLOOK” Uno sguardo fuori regione
Rubrica di scienze economiche e sociali
a cura di Rosario Palese
(ISSN 1722-3148)

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