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[ ANNO III – MARZO 2007 – NUMERO 10 ] VELATI CLICHÈS

I clichés prodotti oggi dai mass media propongono una immagine della donna musulmana velata e oppressa dal dominio patriarcale e da dittature totalitarie. Uno dei risultati di questa stereotipizzazione è che la grande eterogeneità delle donne musulmane e dei paesi di cultura islamica, la vasta complessità dei tipi di velo e dei loro significati e anche la stessa pluralità delle scuole confessionali in cui l’Islam si articola subiscono uno stesso effetto di elaborazione e comprensione distorta, che è tanto più erronea quanto più è semplificatrice.
Se da una parte i movimenti del fondamentalismo islamico tendono a coprire le donne, i paesi democratici tendono a obbligarle a svelarsi. Il velo si carica quindi di una immensa valenza politica e assume una dimensione realmente globale.
Per quanto riguarda il velo, bisogna ricordare che si tratta di un capo di abbigliamento che non appartiene soltanto alla tradizione araba pre-islamica ma contestualmente è diffuso anche nella cultura greco-romana e ancora oggi si trovano tracce della sua presenza in molti luoghi dell’area mediterranea non musulmana. Nella tradizione cristiana esistono il velo nuziale, il velo delle suore e il velo nero del lutto. Il velo islamico, associato esclusivamente al genere femminile, non riguarda soltanto le donne ma anche gli uomini. Indossato in più occasioni dal Profeta Maometto, il velo è portato dai Tuareg, tra i quali rappresenta un elaborato mezzo di comunicazione. Il velo islamico femminile è indubbiamente sottoposto in Occidente anche ad una forte confusione terminologica che ne riduce la complessità. Tuttavia – e paradossalmente per molti – anche il velo islamico può seguire i trend della moda. La produzione negli ultimi anni si è arricchita nelle fogge, nei materiali e nei colori ed è possibile acquistare on line hijab adatti a tutte le occasioni. Sono islamic inspired hijabs and hijab accessories for modern muslim women, come si può leggere su uno dei siti Internet a cui ricorrono tante giovani donne musulmane che, cresciute negli Stati Uniti guardando MTV, scelgono liberamente, a un certo punto della loro vita, di indossare il velo e di coprire i capelli, affermando così la propria identità culturale e religiosa ma senza per questo rinunciare all’armonia estetica e all’abbinamento dei colori.

Il dibattito europeo.
In molti paesi europei sono nate di recente accese controversie a livello politico e della società civile, sfociate spesso in atteggiamenti di reale chiusura a causa dell’assenza di un minimo sforzo di comprensione. Eppure, attraverso l’immigrazione, l’Islam è diventato in questi ultimi venti anni la seconda religione dopo il cristianesimo. Circa il cinque per cento della popolazione dei paesi della Comunità Europea è di religione musulmana.
Recentemente in Europa la questione del velo è stata affrontata ricorrendo a divieti assoluti, come nel caso della Francia, oppure proponendo divieti che, sull’esempio olandese, prevedono di bandire dai luoghi pubblici i tipi di abbigliamento islamico che nascondono completamente il viso; e il dibattito sul velo non è assente nemmeno nei paesi europei di lunga tradizione multiculturale come la Gran Bretagna. È indubbiamente vero che in sempre più paesi europei: «Lo Stato agisce come paladino dell’emancipazione delle donne dalle loro comunità di nascita. Ciò nonostante (…) parte delle donne si oppone allo Stato non tanto per ribadire la propria subordinazione religiosa e sessuale, quanto per rivendicare l’indipendenza di un’identità pressoché personale dalla cultura dominante» (Benhabib, 2005). In Francia è stata molto combattuta la legge del 2004 che vieta, in base al principio della laicità dello Stato, di portare nelle scuole pubbliche abbigliamenti o simboli che manifestano un’appartenenza religiosa, proibendo di indossare il foulard islamico, il kippa ebraico e le croci cristiane. In Gran Bretagna non esiste alcun divieto sui tipi di abbigliamento. Nel 1983 la House of Lords aveva considerato come discriminazione razziale il divieto di portare a scuola il turbante secondo le consuetudini dei Sikh. Nel novembre del 2006 in Olanda la decisione del Ministro dell’immigrazione e dell’integrazione, Rita Verdonk, di proporre un divieto nazionale che impedisce di indossare in pubblico il velo che copre il viso ha creato la manifestazione di protesta di un piccolo gruppo di donne vestite con il burqa che si sono raccolte di fronte al Parlamento: reclamavano le libertà individuali che devono essere garantite da un paese democratico. In Belgio alcuni comuni della comunità francofona, tra cui quello di Bruxelles, hanno adottato il divieto del foulard nei regolamenti per le scuole. In Italia nulla è stato fatto in questo senso, ed è opportuno ricordare che l’Islam è la seconda componente religiosa dopo il cristianesimo e che i fedeli di religione musulmana, tra i quali prevalgono quelli di confessione sunnita, costituiscono un terzo del totale dei cittadini stranieri (Caritas/Migrantes, 2006).

“OUTLOOK” Uno sguardo fuori regione
Rubrica di scienze economiche e sociali
a cura di Rosario Palese
(ISSN 1722-3148)