Caro Direttore,
quella promossa dalla procura di Catanzaro non è la prima inchiesta giudiziaria che prova a dimostrare l’esistenza in Basilicata di una “cupola”, che sarebbe ben annidata dentro i gruppi dirigenti regionali e che avrebbe il controllo e la regìa di tutti gli affari, ivi compresi quelli dell’economia criminale. Contro questi teoremi abbiamo sempre reagito con decisione, invitando la magistratura a perseguire i reati ed i colpevoli senza accreditare la fotografia, davvero ingiusta e deformata, di una regione inquinata e devastata dagli intrecci di malaffare e senza alimentare il discredito di una classe dirigente che in tutti questi anni ha sospinto la Basilicata verso modelli di sviluppo e di governo generalmente giudicati come laboratori di qualità tra i più originali e virtuosi.
In questa nostra fiera battaglia in difesa della dignità di una regione e di una comunità regionale abbiamo duramente polemizzato con la palese tendenziosità della campagna condotta su questi argomenti dal Corriere della Sera. Abbiamo già auspicato che la Commissione Nazionale Antimafia dedichi alla Basilicata una sua sessione, se non altro per ricondurre ad unità e coerenza la lettura divergente che gli organi della magistratura propongono della nostra regione. Abbiamo chiesto al Ministero di Giustizia ed al CSM di intervenire per assicurare certezza e trasparenza dell’amministrazione della giustizia in Basilicata. Non voglio rifugiarmi nella retorica, suggestiva quanto ingannevole, della Basilicata “isola felice”. Ma ritengo ingiusto ed inaccettabile che si possano dimenticare con tanta fretta le autentiche lezioni che questa piccola regione è stata capace di dare con le politiche di valorizzazione sostenibile delle risorse naturali, con una serie di grandi esempi di innovazione amministrativa e programmatica, con la straordinaria mobilitazione democratica che indusse il governo Berlusconi a rimangiarsi il famigerato decreto Scanzano. Chissà se interessi calpestati, ieri, vogliono, oggi, far pagare un prezzo a questa regione! Anche per questo con forza invochiamo trasparenza, legalità e giustizia. Spiace dover evidenziare e contestare la grossolanità, davvero inattesa, nella quale incorre uno spirito finissimo, come quello di Emanuele Macaluso, che addirittura si spinge a vedere nelle ultime vicende giudiziarie lucane la metafora di ciò che sarebbe destinato a diventare il Partito Democratico nel Mezzogiorno.
Quanto alla costruzione del Partito Nuovo mi permetto di segnalare: i nemici dentro e fuori dalla politica, quelli che pensano che altri poteri possano determinare il corso della storia. Sarà l’effetto della transizione italiana? Non c’è dubbio però che se ne avverte il clamore alla vigilia di scadenze importanti, per tenere la politica sotto scacco ed impedirle di esercitare la sua autonomia. Non possiamo fingere di ignorare il gioco pericoloso dentro il quale divisioni, confusioni e strumentalità diluiscono il sempre labile confine tra i poteri dello Stato, e tra questi poteri e l’informazione. E’ soprattutto al Mezzogiorno che serve la chiusura della lunga transizione e l’uscita dalla crisi civile ed intellettuale dell’Italia perché la politica sia più forte e più autorevole per assicurare che il mercato e lo stato garantiscano l’esigibilità dei diritti, prima di tutto quello alla giustizia. C’è una classe dirigente nel Mezzogiorno e in Italia pronta a vincere questa sfida!