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In Italia il calcio perde in casa

[Articolo di Tatjana La Paglia]

Dal nord al sud, passando per tutte le sfumature, compresa quella del rosso-blu della squadra potentina, i tifosi italiani, almeno per una volta e senza alcuna differenza di colore, sono sinceramente uniti da un unico ed insostenibile peso di malcontento: cartellino rosso per chi non è in regola.

Una norma che giunge come un fulmine a ciel sereno per quelle strutture calcistiche ritenute irregolari, come nel caso dello stadio potentino Viviani, che fino ad ora, nonostante il decreto Pisanu del 2005, aveva continuato la propria attività grazie a delle deroghe ed autorizzazioni provvisorie e che, solo alla luce dei fatti recenti, diventa motivo di discussione e pretesto di accusa sull’operato dell’Amministrazione comunale della città di Potenza. Il vicepresidente della IV Commissione consiliare permanente, “Politica Sociale”, Sergio Lapenna, infatti, ha chiesto l’audizione in Commissione dell’Assessore regionale alla ‘Formazione, Lavoro, Cultura e Sport’, Carlo Chiurazzi, del sindaco della città di Potenza, Vito Santarsiero, e del presidente del Potenza calcio, Giuseppe Postiglione, in merito alla non agibilità dello stadio Viviani. “Le regole sulla sicurezza vanno scrupolosamente rispettate onde evitare conseguenze spiacevoli, certo occorrono maggiori risorse, ma dietro la mancanza di fondi non si possono nascondere le negligenze e le responsabilità delle amministrazioni locali”. “La Commissione Europea – continua Lapenna – ha riconosciuto una particolare rilevanza allo sport attribuendogli alcune funzioni esenziali come quella educativa, sanitaria, sociale, culturale, ed è per questo che tutti gli addetti ai lavori devono operare per restituire al calcio la sua dimensione ricreativa e di aggregazione”.

Una sofferenza, però, che oltre a coinvolgere i veri appassionati e divenire personale oggetto di propaganda politica, prende piede in maniera sempre più forte anche in altri campi, investendo parte dell’economia del nostro Paese che, in questi anni, è riuscita a trasformare la  sana passione per uno sport, in un giro d’affari di oltre 6 miliardi, cioè quasi mezzo punto di Pil. Questo è quanto vale l’industrià del calcio in Italia.

Una piccola quota, neanche 200 milioni di euro, pari dunque a meno del 5%, arriva dagli spettatori paganti degli stadi, tra biglietti e abbonamenti. Per il resto il giro d’affari sale vertiginosamente tra diritti tv, scommesse, stampa, merchandising e sponsor.
Non solo sport, dunque, perché il pallone è da anni ormai entrato in Borsa, nei report delle banche d’affari, nelle classifiche di Mediobanca che misurano i comparti per il loro volume d’affari.

Secondo gli ultimi dati della Deloitte, le squadre della Serie A in Italia hanno un valore di mercato di 1,34 miliardi, al secondo posto in Europa solo dopo la Premiership (ovvero la Serie A inglese) il cui valore è quantificato in 1,97 miliardi di euro. Ma il business non si ferma certo là ed è articolato in tre momenti. Prima dell’evento incidono stampa (l’Italia è l’unico Paese europeo con quattro quotidiani sportivi, di cui uno dedicato specificatamente ai tifosi di una squadra), scommesse, trasporti dei supporter. C’é poi l’evento vero e proprio dove si calcola la vendita di biglietti e abbonamenti, diritti tv, sponsorizzazioni. Infine il dopo-evento fatto ancora di vendita di giornali e servizi di trasporto.

Ma oltre a questo c’é “un patrimonio unico che non ha eguali in altre aziende”, commenta un dossier di calcioinborsa.it , la passione e il senso di appartenenza. Cifre impressionanti che forniscono un quadro chiaro sulla natura reale che lo sport ha assunto negli ultimi anni, ma ancora più sconcertante è il numero degli incidenti, dei feriti, dei morti, insomma di tutte quelle ‘vittime da calcio’, che hanno trasformato un gioco innocente ed appassionante, in una vera e propria ‘guerriglia civile’.