Mai negli scorsi anni – fanno notare i segretari di Cgil, Cisl e Uil – si era giunti sino al 10 febbraio per poter dare esecuzione ad una misura già contenuta nella manovra finanziaria regionale. Ma ancor più grave è che il blocco politico sta rischiando di vanificare la tanto decantata ‘virtuosità’ dell’azione lucana nel campo degli Lsu, dove, a differenza delle regioni vicine, si è provveduto ad avviare grandi percorsi di stabilizzazione occupazionale che, però, nel tempo, si sono rivelati dai piedi di argilla”.
I tre rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil ricordano le vicende della Sma, degli Lsu del Pollino e il diffuso ricorso ai Cococo, oramai non più rinnovabili. “La più volte vantata stima di una bacino regionale di circa 800 Lsu residui è oggi falsata dal fatto che non si vuole ammettere il fenomeno degli innumerevoli ‘Lsu di ritorno’. Sono ormai numerosi, certamente oltre 1.200, quelli che, terminata la fase di pseudo-stabilizzazione di 5 anni sostenuta da incentivi economici e sgravi contributivi, rischiano di tornare a ciò che erano prima: disoccupati di lunga durata. Si è trattato di un processo che, nel corso degli ultimi sei anni, ha consumato una mole di risorse enorme, circa 100 milioni di euro, senza il sostegno di un efficace quadro normativo regionale di riferimento. In particolare oggi scontiamo la scelta del governo regionale non non aver assunto una decisione positiva rispetto all’ipotesi, avanzata anche dal sindacato confederale, di costituire un contenitore misto pubblico-privato dove far confluire tutte le singole iniziative di stabilizzazione avviate dagli enti utilizzatori attraverso la stipula di convenzioni per l’affidamento dei servizi.
Per Pepe, Gambardella e Vaccaro “oggi sarebbe opportuno chiedersi, alla luce dell’attuale situazione, a quanto ammontano le risorse utilizzate per le operazioni di stabilizzazione Sma e Pollino e, soprattutto, quante di queste risorse sono finite nelle tasche rispettivamente della Smartland e dell’Ati 2000 Spa sotto forma di profitto d’impresa. Nel frattempo entrambe le società sono uscite dal contesto lucano e tutti i lavoratori sono stati licenziati e posti in una precaria mobilità in deroga che rischia di terminare già il prossimo anno”.
“Contemporaneamente – rimarcano i tre sindacalisti – non sono stati risolti gli storici problemi di quella sotto-casta di Lsu autofinanziati, circa 450, ai quali, a differenza dei loro colleghi riconosciuti dal fondo nazionale per l’occupazione, non sono riconosciuti diritti elementari quali gli assegni familiari, la tutela della maternità e perfino i contributi pensionistici figurativi. Infine, in questo triste elenco di lucani messi ai margini del lavoro, ci sono altri Lsu, quelli utilizzati in attività socialmente utili perché già percettori dell’assegno di mobilità, ovvero ex lavoratori licenziati e parcheggiati nel limbo della mobilità senza alcun programma di riconversione o riqualificazione ma sfruttati da quei soggetti pubblici con carenze di organico impossibili da colmare a causa del blocco delle assunzioni e per questo senza alcuna speranza di stabilizzazione.
“Tutti questi soggetti rappresentano un intera generazione di lucani che attende delle risposte, non iniziative sporadiche o generiche, ma un vero e proprio piano straordinario regionale come da tempo Cgil, Cisl e Uil chiedono al governo De Filippo e come altre regioni, ricredendosi sugli errori commessi (Calabria), stanno tentando di avviare stringendo accordi ed ottenendo risorse supplementari dal ministero del Lavoro. Per questi motivi Cgil, Cisl e Uil di Basilicata hanno richiesto da tempo l’avvio di un confronto con il presidente della Giunta regionale De Filippo e con lo stesso titolare del dipartimento regionale al Lavoro Chiurazzi, nonché con Anci e Upi in rappresentanza dei Comuni e delle Province, con l’obiettivo di attivare un tavolo di concertazione presso il ministero del Lavoro”.