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Le scelte territoriali e la politica

La OLA (Organizzazione Lucana Ambientalista), impegnata sui temi ambientali, della tutela della salute, dei diritti dei cittadini e sul corretto indirizzo delle politiche energetiche regionali, ha potuto sperimentare concretamente come le scelte dei ‘palazzi’ di via Anzio si riflettano negativamente sullo sconquassato tessuto socio economico della regione condizionandone lo sviluppo futuro. In tema energetico ad esempio le scelte si sono basate più sui poteri consolidati che su una attenta e meditata programmazione energetica e del territorio costretto a subire scelte irreversibili e condizionanti lo sviluppo futuro. Illuminante in questo senso è la questione degli impianti eolici in Basilicata, ancora non completamente conclusa, ma avviata a soddisfare le logiche delle componenti forti della santa alleanza in Basilicata e i rispettivi controlli politici ed economici su fette di territorio quali il materano, la Val  d’Agri e il Marmo-Melandro. Ma gli esempi potrebbero riguardare anche l’assenza della politica di tutela dell’ambiente, della mancata istituzione e gestione dei parchi, l’elettroismog, l’inquinamento dell’aria, etc. Il bastone del consenso ha tagliato corto con tutte le richieste di legalità, di rispetto di vincoli ambientali e di programmazione equilibrata delle economie dei territori provenienti da gruppi considerati  ‘minoritari’ e ‘insignificanti’ nella logica dei numeri. E proprio con i numeri si è dimensionato il fabbisogno di produzione di megawatt eolici ai progetti da approvare e che non potevano essere approvati; con i numeri, dati dagli imprenditori e non dai ricercatori universitari, gli indici annuali di ventosità sono passati da meno di 4 metri al secondo a oltre 6 metri al secondo (l’indice minimo per rendere efficiente un impianto); con i numeri dei finanziamenti a fondo perduto (75% dell’ investimento) provenienti dalla collettività si è ritenuto l’ affare un ‘buon affare’ e, infine, con i numeri si è mistificato ‘l’ oggetto del contendere’ da parte di un’ opposizione integrata che ha basato sulla percentuale delle ‘royalties’ la soluzione della questione, soluzione alimentata dal megafono della stampa di salotto. Sì. Esiste un problema etico. E segnali – spazzati sotto la poltrona del salotto, demonizzando magistrati coraggiosi – ci sono stati.

Né si può accusare una parte della società civile lucana che si oppone – non sappiamo quanto minoritaria- di radicalismo o di praticare una vetero politica non in linea con le sfide che le società moderne dovranno affrontare. A noi pare, invece, che si stiano consolidando vecchie e nuove oligarchie che, in nome di un riformismo moderno, detengono, con metodi ‘discutibili’, il controllo della gestione delle risorse e della programmazione regionale. Ed è un riformismo di facciata che ha i suoi trucchi –soprattutto lessicali- per camuffare una realtà di pratica politica quella sì ‘vetera’ e ‘gattopardesca’. Prendiamo alcuni esempi: è molto di moda recentemente nell’ eloquio pubblico parlare, con un “anglismo” ad effetto, di governance, per non dire più semplicemente governo, controllo politico degli equilibri, degli interessi (spesso appetiti), della gestione della formazione attraverso società esterne e managers affezionati, di studi professionali, società di servizi, piccole e grandi imprese molto vicine alla governance, a volte chiamata cabina di regia. E poi c’è l’onnipresente verbo coniugare ovvero mediare tra più interessi contrastanti per fare tutto e niente; un esempio classico è: coniugare lo sviluppo con la salvaguardia dell’ambiente ove per sviluppo bisogna intendere permettere qualsiasi iniziativa imprenditoriale in ogni luogo e per ambiente quello spazio vago e lontano dai gangli del potere urbano, conosciuto solo nelle abboffate ferragostane o pasquali (diretta conseguenza di questi limiti cognitivi è l’ abuso dell’ espressione sapori lucani, coniata una prima volta per spendere soldi dei PIT, e divenuto vessillo dello sviluppo delle aree rurali e dell’ agriturismo ridotto quasi sempre ad una ristorazione neppure tanto tipica). E che dire delle sinergie, vocabolo universale divenuto patrimonio lessicale anche dei quadri politici intermedi e inferiori, usato con enfasi  affinché tutti contribuiscano con le proprie energie, conoscenze, forze, al bene comune in realtà perché poi non si possa individuare un responsabile (della governance) nei magri risultati ottenuti o per dire che tutti potrebbero partecipare al banchetto o abboffata magari con tavoli di concertazione locale (delega piena e senza condizione agli enti locali su finanziamenti e programmazioni strategiche territoriali, quali i PIT, con ovvio spreco clientelare delle risorse europee).

E si potrebbe continuare ancora su questa analisi delle parole, che non vuole essere analisi erudita, ma indizio di corrompimento dei valori e dei principi della democrazia partecipata, di tradimento delle aspirazioni di una parte significativa dell’ elettorato lucano di centro-sinistra, quello che non partecipa ai tavoli di concertazione, né è tra quelle migliaia di persone che fanno domanda per essere eletti negli organi degli enti subregionali, né fanno file di attesa davanti alle stanze dei gruppi consiliari regionali. È cosa davvero triste sentir richiedere al PRC dai notabili dei partiti di maggioranza nome e cognomi degli immorali, come se un sistema potesse avere un nome e un cognome e gli attori che governano il sistema operassero in altre realtà.