[Articolo di Francesco Cosenza]
Assumono un notevole spessore, i ricordi, nati dal buio disperato delle diverse descrizioni, visive, poetiche, letterarie contenenti il senso drammaticamente realistico di un tempo.
La giornata della memoria, apre dolorosi varchi riflessivi, analizzanti il difficile cammino delle “diversità”, prigioniere di menti a servizio del disumano cammino di organizzazioni. Ricordi in bianco e nero, sul palco del teatro Stabile di Potenza, “A Memoria” lo spettacolo di Massimo Wertmuller, che lo vede protagonista con Anna Ferruzzo ed Andrea Ferri al pianoforte, rende, attraverso letture di diversi autori, in modo molto preciso, il senso di smarrimento nato oltre il “limite”, oltre i cancelli di Auschwitz.
L’ascolto emozionante di brani e poesie, annulla la distanza dalla voce narrante che, disegna e ferma nelle menti immagini prive di colore, lontane da dimensioni umane, tragico spazio storico, sede di follie ove, qualsiasi struttura di pensiero crolla dinanzi alla naturale selezione delle azioni, che perde le individuali espressioni quindi il senso identificativo dell’io. La voce chiara della memoria, nata dal silenzio dei campi di concentramento nazisti, abbraccia atmosfere, immerse nel fango ghiacciato e milioni di figure esili in mano alla follia, private di dignità e scaraventate nel disumano ”motore criminale”, ove la storia conosce “l’odore” della morte, l’annullamento di qualsiasi valore, etico, sociale e principalmente umano.
Le direzioni della storia, ormai distanti da visioni apocalittiche, orientano verso dimensioni valoriali, legate al concetto di accettazione ed integrazione dell’’altro,della dignità espressa da autorevoli voci che, come Primo Levi hanno vissuto in prima persona l’esperienza del lager, riportandone il tragico vissuto, a costruzione di aperture ed umanità, prive di recinti politici, storico religiosi. Milioni, gli ebrei deportati nei campi di concentramento ed uccisi dagli stenti, dal lavoro forzato, dalle pessime condizioni igieniche, dall’inesistenza di spazi soggettivi, ove la collettività diveniva massa estranea e scomoda da eliminare, come il concetto dell’altro che, assumeva diversi volti ad Auschwitz ed altrove, contenenti realtà e concezioni di essa.
L’altro, il diverso, il non ariano, distante dal centro cognitivo del regime, parla diverse lingue ma nei volti fotografati, scavati e provati dei deportati vi è un unico desiderio di comunicazione, aperto sugli occhi di chi vede le barbarie subite che, rende partecipe le future generazioni, su ciò che è stato.
Le letture, di brani e poesie ricche di volontà descrittive, analizzano l’impotenza e la fermezza di un tempo, la assurda esistenza di un mondo costruito per annullare parte del mondo, la assoluta mancanza di considerazione, di attenzione, di rispetto per la dignità umana.
Parole senza tempo, faro per i tempi, quelle di Primo Levi che, consegna riflessioni ferme, chiuse ed aperte in un comando “Meditate che questo è stato”.