Cerca

Teatro castelluccese, un altro modo di fare volontariato

[Articolo di Carmela Grisolia]

Diverse generazioni a confronto nel gruppo teatrale amatoriale “A Galett” del circolo Acli “L’Agorà”, esibitosi con successo nella commedia  in dialetto castelluccese “Nun ti paghch”, davanti ad una platea divertita e partecipe. In scena una tipica famiglia castelluccese degli anni ’50 che per quasi due ore, ha divertito i castelluccesi invitandoli, al tempo stesso, a  riflettere sulla triste condizione dell’uomo moderno sempre più schiavo del denaro, fine che sembra quasi possa  giustificare ogni male. L’intreccio, si sviluppa in un complicato e concitato crescendo di paradossali situazioni, di malintesi e trovate litigiose, ricco di comicità e d’ironia. Il testo, scritto e diretto dal professore Vincenzo Celano in dialetto castelluccese, mutua la trama dall’omonima commedia di Eduardo De Filippo, “Non ti pago”,  secondo cui “le commedie quanto più sono in dialetto, tanto più diventano universali.”

La vicenda ruota attorno al fenomeno popolare del gioco del lotto. Al centro dei fatti è don Paschèl (interpretato da un magistrale Giuseppe Ferraro), proprietario del locale banco del lotto e giocatore incallito egli stesso, ma inesorabilmente perdente. Non è così per Giacumìn (un sempre credibile Nicola Rubino), suo dipendente, che ama, corrisposto, la figlia del gestore Stell (una buona prova della debuttante Mariantonietta Debiase). Fortunato al punto tale, Giacumìn, che non trascorre giorno che non riceva nel sonno i numeri vincenti, che puntualmente si gioca.
La scena, si anima quando l’impiegato vince una consistente somma con una quaterna datagli in sonno, per un imperdonabile equivoco, proprio dal padre del suo futuro suocero. Don Paschèl è esasperato da questa situazione. Geloso e invidioso com’è, non accetta che il padre abbia dato i numeri a quel Giacumìn  che ancora non fa parte della famiglia e che lui  non vuole come genero appunto perché troppo fortunato. Gli ruba, quindi, il biglietto perché a suo avviso il padre ha semplicemente sbagliato persona e si rifiuta di pagare la vincita, tenendo in consegna la cartella vincente…

La spettacolo va avanti tra scoppiettanti malintesi e colpi di scena, in mezzo a copiosi contrasti con la moglie Cuncittìn (una consolidata effervescente Giuliana D’Agostino), con la figlia, i collaboratori domestici e persone del vicinato( interpretati dagli esordienti Francesco Forastieri, Anita Scardino, Sabrina Gioia, Anna Antonaccio e Nicola Bonafine), tra accalorate disquisizioni con il parroco, don Gisepp (Gino Rubino), e l’avvocato Gioia (Angelo Cataldo)…fino alla lieta conclusione, che avviene nella migliore tradizione popolare. Voce narrante Teresa Taranto che, insieme al resto del gruppo delle giovani ACLI, ha partecipato alla messa in scena della commedia.

La carta vincente, anche per quest’ultima prova del gruppo, è il dialetto. Scelta rivelatasi ancora una volta felice perché la lingua materna, con le sue appetitose metafore attraverso il recupero dei proverbi, dei modi di dire e di pensare popolari, diviene il sentiero più breve, efficace e diretto  per arrivare al profondo dell’anima degli spettatori.

Professor Celano,attraverso il teatro, e nello specifico usando la commedia “Nun ti paghch”, quale messaggio educativo ha voluto trasmettere ai castelluccesi e a tutti i bambini?
Questa commedia, serve a scoprire le contraddizioni proprie della vita, come quella forma di egoismo che scatta per amore del denaro, che è la divinità tiranna che domina gli uomini tutt’oggi. Lo spettacolo, fa comprendere la differenza tra l’essere e avere, privilegia qualche altro aspetto del vivere umano cioè quello dello star bene, di essere in armonia con la gente senza avere quello assillo per il denaro. Una molteplicità di messaggi che fanno del teatro la vita e non solo una mera rappresentazione di essa. Secondo me, il teatro è importante anche nella scuola perché, non è importante insegnare a leggere a scrivere e a far di conto; è importante creare dei cittadini che sappiano ragionare con la propria testa, che riescano a vincere quelle che sono le remore, i tabù e anche le paure  e dubbi propri dell’individuo. La scuola dovrebbe rispettare il modo di parlare e di esprimersi di ogni alunno perchè, sempre salvaguardando il codice linguistico istituzionale, studiando il modo di pensare della lingua materna si ha un arricchimento della personalità. E’ come una trasfusione di sangue generoso in un sangue che ormai è acqua. La lingua nazionale, oggigiorno, ha perso i suoi connotati, la scuola potrebbe, coltivando quello che è il modo di esprimersi personale di ciascun alunno, arricchire, e cosa importantissima abituare a pensare con la propria testa. La lingua istituzionale a volte conduce all’omologazione e ai modi di pensare conformisti.

Professore, lei pensa che il successo di questa commedia sia stato dovuto anche all’unione che c’è stata nel gruppo teatrale?
Certamente. Qualsiasi operazione di questo tipo e parecchie operazioni nella vita quotidiana, sono parte di un circuito collettivo. Il sistema collettivo ricorda lo schema che c’è in un motore dove ciascuna parte, anche la più piccola rondella, la più piccola vite che sembra inutile, è funzionale al motore, se non si riesce a creare l’armonia, non vai da nessuna parte. Anche perché queste sono operazioni di volontariato cioè non c’è scopo di lucro. Secondo me, per poter avere successo in queste cose, bisogna essere al di sopra di interessi economici, ci deve essere interesse e curiosità culturale, la passione di divertire e divertirsi. Nel momento in cui si va ad organizzare un sistema di questo tipo, ci deve essere il divertimento perché se non trovi gusto anche il prodotto ne risente. Questo è importante perché tutto quello che ha fatto il gruppo di lavoro delle ACLI è improntato a questa metodologia, diversamente non si può far nulla. Anche perché i mezzi sono sempre molto scarsi, allora, si punta veramente sulla passione, sfruttando con intelligenza al meglio le piccole risorse. Il gruppo deve essere coeso, anche nella diversità, a  volte, con momenti di contrasto, ma alla fine il prodotto finale deve essere concordato.

Questa nostra esperienza, senza narcisismo, potrebbe essere di insegnamento, per esempio, anche per le  amministrazioni comunali perché, quando vai a fare un gruppo di lavoro, ciascuno, nell’ambito delle proprie competenze, delle proprie possibilità, dei propri saperi, deve dare il suo contributo, ma in perfetta lealtà e con impegno perché diversamente non fai niente, sei soltanto un ingombro.