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Nuovo anno amaro per gli Lsu dell’Unibas

Troppo onerosi per il bilancio dell’ateneo, non considerati da alcuna norma di tutela né nazionale né regionale, troppo avanti in età per essere appetibili nell’asfittico mercato del lavoro lucano. Il nuovo rettore dell’Università della Basilicata, nonostante l’impegno dichiarato in occasione del suo recente insediamento, mantenuto solo per gli ultimi tre mesi dell’anno, si è arreso non rinnovando le collaborazioni per il 2007, anche in ragione di una posizione intransigente assunta dal consiglio di amministrazione dell’ateneo, segnando in tal modo il destino dei più umili dei suoi collaboratori. Nel caso specifico suscita sconcerto vedere dipendenti di una società privata di vigilanza nei luoghi dove fino alla scorsa settimana vi erano questi lavoratori.

È bene che tutti ricordino che il buon funzionamento dell’ateneo lucano è stato possibile anche grazie all’impegno di questi lavoratori, obbligati a prestare la loro opera nei servizi più umili del campus, pena la perdita dei benefici della mobilità, ma già con la certezza che alla scadenza del loro assegno di mobilità sarebbero stati rimandati a casa. I servizi di guardiana e custodia, di centralino telefonico, di assistenza amministrativa e perfino di pulizia sono stati possibili grazie a questi lavoratori. In questo modo sono stati aperti nuovi spazi e resi possibili nuovi servizi, e l’università lucana si è aperta a nuove prospettive di crescita. L’Università della Basilicata, come la maggior parte degli enti pubblici lucani, ha potuto beneficiare in tutti questi anni, per effetto di una legge statale, di manodopera da impiegare prevalentemente in attività ausiliarie senza alcun onere finanziario e senza dover garantire alcuna prospettiva di stabilizzazione occupazionale potendo ricorrere ad un turn-over continuo come la legge consente. Lavoratori ‘usa e getta’ che alla scadenza della mobilità sono stati messi alla porta perché non più portatori della lauta dote assicurata dagli ammortizzatori sociali. Una pratica inaccettabile sul piano etico e poco funzionale sul piano pratico. Una ricchezza di capacità e di esperienza che nessuna legge tutela.

Da tempo il sindacato confederale chiede al governo regionale una norma sull’occupazione che intervenga su tutti gli aspetti del lavoro, del precariato, della formazione e della tutela per chi lavora e per chi è escluso dai processi produttivi, per governare in maniera organica e coordinata i processi di riqualificazione e di riconversione e, soprattutto, che definisca gli indirizzi operativi di una politica regionale sull’occupazione che, seppure da sempre richiesta dal sindacato e puntualmente presente nei programmi elettorali, ancora si fatica ad individuare nell’azione della giunta regionale. L’assenza di misure e di programmi, insieme alla pratica degli interventi tampone, comporta lo spreco di risorse economiche che, impegnate di volta in volta in regime di perenne emergenza, non risultano utili alla soluzione delle problematiche, ma, talvolta, contribuiscono ad accrescere vane speranze ed aspettative di un lavoro che, con questi metodi, non ci sarà mai”.