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[ ANNO II – DICEMBRE 2006 – NUMERO 79 ] SCREEN-AGERS

Ragazzi e ragazze al computer. Nel 2000 solamente tra i 15 e i 24 anni la quota di utenti Internet superava il 35%, arrivando al 38,3% per i giovani di 20-24 anni. Quest’ultimo “picco”, relativo alla massima diffusione di cybernauti, risulta essersi progressivamente spostato verso età ancora più giovani: nel 2003, infatti, è la fascia di età 18-19 anni a registrare la massima percentuale di navigatori (63,6%). Osservando il grafico successivo, si nota che la quota di utilizzatori Internet sale rapidamente dai 6 ai 15 anni, e, dopo aver raggiunto l’apice in corrispondenza dei diciott’anni, comincia a diminuire, in modo più graduale per gli uomini e più rapido per le donne, fino a raggiungere valori bassissimi fra gli anziani, e soprattutto fra le ultrasessantenni.
L’uso di Internet fra i teen-agers appare caratterizzato da una frequenza non intensissima ma piuttosto regolare (più della metà degli utenti Internet fra 15 e 19 anni si collega non tutti i giorni, ma almeno una volta alla settimana), e diffuso fra le ragazze quasi quanto fra i ragazzi. In effetti è proprio fra i giovani che le differenze di genere, per quanto riguarda l’uso delle tecnologie informatiche, si sono attenuate nel corso del tempo. La medesima tendenza è stata riscontrata, a livello europeo, dalle rilevazioni Eurostat: nel 2004, considerando la popolazione dell’Unione europea, il divario tra maschi e femmine che usano Internet è di circa 8 punti percentuali (rispettivamente 51% e 43%), ma si riduce a 2 punti fra i giovani di 16-24 anni (76% e 74%).
Adulti e teen-agers di fronte allo schermo: un’inversione di ruoli? I teen-agers sono diventati “screen-agers”: si appassionano ai vari tipi di schermo (cellulare, computer, cinema, Tv, videogiochi), ma grazie all’informatica e alle forme di interattività ne hanno una capacità di controllo maggiore rispetto ai genitori e agli insegnanti.
Alfabetizzazione informatica dei genitori di minorenni utenti di Internet. Secondo le rilevazioni effettuate nei primi mesi del 2004 dall’International Crime Analysis Association (ICAA), fra soggetti di 8-13 anni, e fra genitori e insegnanti di minori fruitori di Internet, anche se la maggior parte dei genitori intervistati conosce a grandi linee il funzionamento di Internet (90%), permane una consistente percentuale di soggetti (32%) che afferma di non aver mai navigato sulla Rete. Per non parlare, poi, di file sharing o di P2P (peer-to-peer): secondo un Rapporto pubblicato nel 2004 dalla London School of Economics, soltanto il 12% dei genitori britannici sa come si effettua un download di musica da Internet. Più che di un salto generazionale, si potrebbe parlare di un vero e proprio capovolgimento di ruoli. Spesso è proprio la presenza di un figlio che spinge i genitori a dotarsi di beni tecnologici: nel 2003 il 63,3% (rispetto al 24,9% del 1997) delle famiglie italiane con almeno un minorenne possedeva un pc, e il 43,4% (solo il 3% nel 1997) un accesso ad Internet, contro il 3,4% e il 2,3% delle famiglie costituite di soli anziani e il 47,5% (17,8% nel 1997) e il 35,7% (2,7% nel 1997) delle altre famiglie. La presenza in famiglia di figli, soprattutto se inseriti nel circuito scolastico, è un fattore che incide in maniera decisiva sull’ingresso della piattaforma informatica in casa e sull’intensità del suo utilizzo.
Le ragioni di una fascinazione. Dalle rilevazioni EIAA sulle attività praticate meno spesso a causa di Internet, risulta che la Rete, più che isolare i ragazzi, provoca una diminuzione del tempo dedicato agli altri media. Infatti molti intervistati (dai 15 ai 24 anni) affermano che Internet ha sottratto tempo alla televisione (43%), oppure alla lettura di quotidiani, riviste e libri (rispettivamente 40, 38 e 33%), agli sms (30%) e alle telefonate (28%), alla radio (24%); all’incirca un ragazzo su cinque segnala poi una diminuzione del tempo trascorso in famiglia o fra amici (20%), o all’aperto (17%). Ma che cosa trovano i giovani in Internet, che gli altri media non offrono? Molti apprezzano la rapidità di Internet (80%), la possibilità di ottenere ciò che si vuole quando lo si vuole (70%), e considerano Internet uno stimolo per l’attività mentale (ne è convinto un intervistato su due), mentre continuano a preferire la televisione come fonte di informazione (63%, contro il 30% di coloro che si informano tramite Internet).
Musica e chiacchiere. Molti software di file sharing consentono inoltre agli utilizzatori di chattare con altri utenti: il fatto che le chat siano presenti anche sulle piattaforme di file sharing fa capire come, soprattutto per i giovani, musica e “chiacchiere” non siano fenomeni disgiunti, ma come al contrario le due passioni siano collegate fra loro all’interno della Rete. Il mondo virtuale diventa un laboratorio sperimentale, e le chat appaiono così come luoghi sicuri, dove poter acquisire fiducia nelle proprie capacità e incrementare l’autostima, dare espressione a tratti repressi di sé, esplorare nuove identità migliorando il sé reale: interpretare ad esempio un personaggio estroverso e fiducioso può costituire lo stimolo per modificare il proprio comportamento anche fuori della Rete.
Quando si rischia di affogare: alcuni pericoli legati alla navigazione dei minori. Già nel 5° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Eurispes e Telefono Azzurro, si evidenziava come il 22% dei navigatori tra i 15 e i 44 anni è a rischio dipendenza da Internet e ne rileva solo gli aspetti positivi, esaltandone l’utilizzo; il 29% è utente abusatore e manifesta problemi psico-fisici che tenta di risolvere immergendosi completamente nella Rete; l’11%, infine, può definirsi completamente dipendente da Internet, evidenziando psicopatologie molto gravi (disturbi dissociativi, allucinazioni, ecc.). La classe d’età più esposta all’abuso risulta essere quella dei 21-26enni (16%), seguita dai 15-20enni (4%); sempre in questa fascia d’età si colloca l’8% dei soggetti a rischio dipendenza.
Chat-mania: tra trasgressione e comunicazione consolatoria. Vi sono in particolare forme di dipendenza legate più strettamente alle chat, come la Cybersexual Addiction (che può tra l’altro riguardare anche l’eccessivo coinvolgimento in relazioni erotiche via chat e e-mail), o, soprattutto, la Cyber Relationship Addiction (dipendenza da cyber-relazioni), una vera e propria “Chat mania”: essa interessa infatti tutti quegli individui che privilegiano le relazioni on line, escludendo progressivamente i rapporti interpersonali della vita reale, e lo strumento che agevola maggiormente la diffusione di tale disturbo è proprio la chat. In chat è possibile raggiungere, nell’arco di pochi scambi di battute, relazioni intense ed intime, ed instaurare forme consolatorie di comunicazione: ci si può sfogare e parlare dei propri problemi, ci si sente un altro (o un’altra), generalmente molto migliore. La chat, per questo, può rappresentare una sorta di liquido amniotico dove rifugiarsi per evitare di affrontare la vita reale, con il rischio di operare una vera e propria inversione reale/virtuale. Chi ha rapporti interpersonali insoddisfacenti nella vita reale, ma trova in chat riscatto, sicurezza, comprensione, tende facilmente a vedere nel mondo virtuale l’ambiente vero, gli amici veri, il proprio vero io.
Pedo-pornografia on line. Se consideriamo la possibilità per i minori di entrare in contatto con pedofili, secondo quanto documentato anche dall’esperienza investigativa delle Forze di polizia specializzate, sono proprio le chat il settore di Internet in cui si manifestano i maggiori rischi. Una chat, infatti, anche se implica la mediazione di un computer tra i due interlocutori, consente di instaurare rapporti comunicazionali estremamente intimi e di nascondere la propria reale identità. Dalla ricerca ICAA emerge che la percentuale di minori (8-13 anni) che ha incontrato in chat un adulto che ha intrapreso discorsi su tematiche sessuali (dunque presumibilmente pedofilo) si attesta al 13%; ma ancora la fruizione occasionale di materiale pornografico durante la navigazione (soprattutto a causa di banner pubblicitari e pop up) ha riguardato ben il 52% dei ragazzi. Esistono molti siti a contenuto pornografico, razzista o violento che utilizzano, per segnalarsi, parole chiave insospettabili, per cui può succedere ai ragazzi di imbattersi in immagini perturbanti, messaggi equivoci, offerte pericolose, utilizzando semplici motori di ricerca o sistemi P2P. Cercando immagini di cartoni animati, cantanti e attori, è possibile trovare involontariamente immagini di tipo pornografico, dal momento che queste vengono spesso mascherate da file più “innocenti” e nomi ingannevoli. Si è scoperto ad esempio che file denominati “Winnie the Pooh” o “Pokemon”, rintracciati su sistemi di file sharing, contenevano in realtà materiale pornografico.
Siti satanici. Dal 1999 al 2003, in base ad un monitoraggio effettuato dalla Polizia Postale, si è verificato un notevole aumento dei siti satanici; molte sette pseudoreligiose approfittano talvolta della diffusione del mezzo telematico fra gli adolescenti, per attuare sottili strategie di manipolazione, attirando nel web i soggetti con le personalità più fragili e suggestionabili allo scopo di avvicinarli ai loro riti, acquisire denaro o informazioni sensibili, o addirittura soddisfare perversioni.
P2P, Mp3 e l’abbassamento del senso di legalità tra i giovani. Con l’avvento del formato di compressione Mp3, Internet è diventata il principale nodo di diffusione di musica illegale. La comparsa in Rete di programmi come Napster ha reso il tutto ancora più semplice ed ha consentito una diffusione capillare della pirateria digitale. L’anonimato, l’immediata disponibilità dei file desiderati, l’assenza di barriere fisiche, la rapidità, caratteristiche di Internet quanto di Napster, accanto all’alto prezzo di vendita dei cd, hanno provocato un aumento esponenziale nella diffusione di musica illegale: secondo la FIMI (Federazione dell’Industria Musicale Italiana), ogni giorno avvengono nel mondo 3 milioni di download, 70.000 brani musicali vengono immessi in Rete ogni mese, e oltre 500 siti illegali sono stati chiusi nel solo 2000. Non è da escludere che la semplicità di utilizzo di tali tecnologie, e l’ampia diffusione del fenomeno del download illegale, possano essere correlate, dal punto di vista psico-criminologico, ad un certo affievolimento del senso della legalità, soprattutto fra i giovani. Infatti, fra gli adolescenti vige la massima indulgenza, quando non l’approvazione, nei confronti della pirateria: l’83,2% ritiene di scarsa o nessuna gravità scaricare musica da Internet; in particolare, la quota di quanti non ravvisano alcun problema in questo comportamento sfiora il 60% (Eurispes – Telefono Azzurro, 2004). Attraverso i software di file sharing, in particolare, si rischia di compromettere la privacy e la sicurezza del computer: il pericolo maggiore sono i cosiddetti spyware, piccoli programmi scaricati con musica e video o inclusi direttamente nei software per il P2P, che sono talvolta in grado di carpire informazioni sensibili dal computer, come password e numeri di carta di credito, e comunicarle a terzi (chi ha creato e controlla quegli spyware). Può accadere poi che, inavvertitamente, vengano condivisi sui sistemi peer-to-peer anche file personali e documenti riservati. Inoltre i computer connessi alla rete P2P sono vulnerabili all’attacco di virus, ai tentativi di controllo da parte di terzi e allo spamming pubblicitario indesiderato.

“OUTLOOK” Uno sguardo fuori regione
Rubrica di scienze economiche e sociali
a cura di Rosario Palese
(ISSN 1722-3148 )