Una risposta che ancora non c’è.
Fenomeni significativi e diffusi come la mobilità sanitaria interregionale e la lunghezza dei tempi d’attesa, sono riconducibili alla mancanza o all’inadeguatezza dei presidi e delle tecnologie diagnostiche che costringono i cittadini a cercare altrove la risposta ai propri bisogni sanitari più gravi o ad aggirare l’ostacolo delle liste d’attesa avvalendosi dell’intramoenia, quando possibile, o rivolgendosi al mercato privato e sostenendo in proprio l’onere delle prestazioni. Tuttavia ciò non corrisponde sempre a verità, poiché a volte le dotazioni strutturali e tecnologiche ci sono, ma il modello organizzativo adottato dall’Azienda non consente l’utilizzazione intensiva delle dotazioni proporzionatamente all’entità della domanda da soddisfare. Anche le scelte assistenziali e le politiche sanitarie definite dalle Regioni e/o dalle Asl possono, talvolta, trascurare i bisogni effettivi presenti nel territorio e sottovalutarne l’importanza rispetto alle attese della popolazione. Alla base di tale situazione vi è l’opzione di attenersi a modalità abitudinarie e tradizionali nel settore dell’assistenza, che erano idonee in altri tempi e in altri contesti. La scheda si propone di passare in rassegna gli aspetti suddetti e di verificare le differenze che esistono nelle diverse regioni in termini di organizzazione dei servizi, di dotazioni strutturali e tecnologiche e di tipologie assistenziali: tutti aspetti che contrastano con l’uniformità assistenziale tanto invocata nella sanità. Se l’uniformità che si vuole perseguire è quella degli aspetti “qualitativi” dell’assistenza erogata, sia nel settore pubblico che in quello privato l’obiettivo è da condividere e da sostenere, perché doveroso. Se, invece, è quello di dotazioni strutturali e tecnologiche uguali, in base al numero delle persone da assistere, si possono commettere due errori: di duplicare astrattamente presidi, servizi e tecnologie anche dove non servono o di dotarsene anche se non vi sono condizioni organizzative, professionali, culturali, e finanziarie da renderne possibile e conveniente l’acquisizione. Gli esempi di tecnologie acquistate e poi non utilizzate per una molteplicità di cause, ne sono un esempio. Inoltre, se dopo quarant’anni di impegno per l’uniformità, tale importante obiettivo non è stato centrato, è opportuno domandarsi se c’è bisogno di uniformità o non piuttosto di configurazioni strutturali, tecnologiche, organizzative e funzionali, rapportate ai bisogni differenziali presenti nelle regioni, cominciando dalle esigenze dei più deboli, dei più bisognosi, dalle emergenze. Questi ambiti assistenziali sembrano essere proprio i più trascurati, sopraffatti dai costi delle assistenze di massa oltre che dal condizionamento e dalle pressioni delle corporazioni, le quali trovano nella quantità le occasioni per affermarsi, incrementare i guadagni e ottenere posizioni di prestigio. Il realismo eloquente dei numeri dovrebbe, anche a questo riguardo, suscitare interrogativi e riflessioni nella classe politica che si prepara a governare per un quinquennio l’Italia, se davvero si vuole difendere lo stato sociale e introdurre riforme condivisibili per un welfare equo e solidale, ma anche sostenibile per l’economia del Paese.
La struttura del Servizio sanitario nazionale.
Al livello centrale vi è il Ministero della Salute, coadiuvato dall’Istituto superiore di sanità (Iss), dall’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (Ispesl), dall’Agenzia per i servizi sanitari regionali (Assr) e dall’Agenzia italiana per il farmaco (Aifa). Le strutture operative pubbliche attive sul territorio nazionale fanno capo ai 21 Assessorati regionali alla sanità (variamente denominati in ciascuna Regione), affiancati anch’essi da proprie Agenzie regionali per i servizi sanitari locali (Assl). A livello locale, direttamente collegate con la Regione, operano le Aziende sanitarie locali (Asl) e le Aziende ospedaliere autonome (AO), guidate da direttori generali-manager nominati dalla Regione che provvede anche al finanziamento delle attività istituzionali. Sempre a livello locale sono operativi anche quattro tipi di presidi ospedalieri, dotati di una propria autonomia particolare: i Policlinici universitari, gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), gli ospedali classificati ed equiparati e un Istituto del Cnr che svolge anche attività ospedaliera. Per quanto riguarda l’attività ambulatoriale specialistica e di diagnostica strumentale e l’attività di ricovero, le istituzioni in questione fanno capo alla Regione, in quanto responsabile dell’assistenza sanitaria, mentre per le altre attività di ricerca e di didattica il referente istituzionale è rispettivamente l’Università per i Policlinici, il Ministero della Salute per gli Irccs e il Cnr per l’Istituto pisano. Le Aziende sanitarie locali dispiegano la propria attività sul territorio di riferimento, avvalendosi di proprie strutture dipartimentali o servizi aziendali, dei distretti istituiti sul territorio, di strutture ambulatoriali specialistiche e di diagnostica strumentale, di strutture semiresidenziali e/o residenziali, oltre che di presidi ospedalieri, tutti direttamente gestiti dalla stessa Asl.
A completamento della rete dei servizi e presidi pubblici a diretta gestione, le Asl si avvalgono per l’erogazione dell’assistenza primaria di professionisti e di specialisti privati, nonché della rete locale delle farmacie private o municipalizzate. Utilizzano altresì ambulatori specialistici e laboratori privati accreditati e convenzionati, nonché case di cura, strutture residenziali e semiresidenziali, gestite anch’esse da privati e all’uopo accreditate e convenzionate, per l’erogazione dell’assistenza specialistica e di ricovero che non può essere soddisfatta dalle analoghe strutture pubbliche direttamente gestite.
La tabella mostra alcuni elementi di difformità piuttosto marcati. Per quanto concerne le dimensioni numeriche delle Asl esse variano notevolmente da regione a regione. Il Piemonte, ad esempio, che ha una popolazione inferiore del 50% rispetto alla Lombardia, ha un numero di Asl che è una volta e mezzo quello della regione contermine, mentre la Puglia, che ha lo stesso numero di abitanti del Piemonte, ha la metà delle Asl (12 rispetto a 22). Le stesse osservazioni riguardanti il Piemonte valgono pure per il Veneto. Anche la ripartizione del territorio delle Asl in distretti presenta il segno di politiche regionali fortemente differenziate. Valga per tutti il caso dell’Umbria che, con una popolazione di soli 834mila abitanti ha il più alto numero di distretti (132), uno ogni 630 abitanti: tale dato indica una propensione a risolvere i problemi sanitari prevalentemente attraverso i servizi del territorio, usati come filtri alle degenze ospedaliere. Il numero dei presidi ospedalieri gestiti direttamente dalle Asl è anch’esso sintomatico di scelte politiche regionali specifiche. La tendenza dominante è quella di conservare in mano alle Asl la gestione degli ospedali pubblici. Spicca per contrasto la scelta in controtendenza della Regione Lombardia, che ha aziendalizzato tutti gli ospedali pubblici, eccetto uno. Alla base dell’opposta tendenza a mantenere la gestione diretta di presidi che per la loro complessità e tecnicità mal si conciliano con le funzioni organizzative e burocratico-amministrative delle Asl, è rinvenibile l’opzione di tipo ideologico a favore del servizio pubblico, ostile alla liberalizzazione dei servizi e all’accettazione della concorrenza come meccanismo per favorire la crescita della qualità e la diminuzione dei costi. Molto più in linea con il nuovo che avanza è la soluzione adottata dalla Lombardia che ha immesso sul mercato della competizione qualitativa le Aziende ospedaliere, dotate di propri bilanci e, quindi, costrette a procurarsi le risorse per funzionare in competizione con il settore privato, forte di ben 71 case di cura e di un complesso di Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico senza pari in altre parti d’Italia: 18 Irccs sul totale nazionale di 50 istituti. Non stupisce, allora, come risulta dalle tavole della mobilità e delle liste d’attesa che gli ospedali della Lombardia siano quelli con il più alto indice di attrattività interregionale e che, come attesta anche l’Associazione Tribunale per i diritti del Malato, in questa Regione le attese siano le più basse d’Italia.
La bontà della scelta di aziendalizzare tutti gli ospedali ed aprire il settore dei ricoveri alla concorrenza tra aziende ospedaliere, autonome dalle Asl, e strutture private è confermata dai dati di bilancio. La Lombardia è una delle tre regioni che ha chiuso nel 2003 il bilancio della sanità in attivo ed è quella che, anche grazie agli introiti della mobilità sanitaria attiva, ha realizzato un avanzo pari a 1,393 milioni di euro. Invece il Veneto, la Liguria, l’Emilia Romagna, il Lazio e la Campania, che hanno affidato la gestione degli ospedali alle Asl, chiudono con forti disavanzi. Altro dato interessante è quello riguardante le strutture private di ricovero che concorrono a fornire assistenza sanitaria ai cittadini: colpisce l’entità del numero di Case di cura private nel Lazio (118), delle quali 84 sono quelle accreditate che operano con il Servizio sanitario nazionale in regime di convenzione, mentre 34 svolgono la loro attività unicamente sul mercato privato a pagamento.
Il dato relativo al numero di presidi pubblici direttamente gestiti dalle Asl o dalle aziende ospedaliere autonome o dagIi Irccs, anch’essi gestionalmente autonomi, rispetto al numero delle istituzioni private, è reso più significativo se espresso in termini di posti letto per ciascun tipo di istituzione. Emerge inoltre che le istituzioni private dispongono singolarmente di un numero inferiore di posti letto poiché molte di esse sono di tipo specialistico, mentre le istituzioni pubbliche hanno valenza generale aperta a una molteplicità di discipline mediche e chirurgiche.
Infine un altro dato interessante è quello riguardante la concentrazione degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico per zone d’Italia: 27 Irccs su 38 sono ubicati nell’Italia settentrionale (e di questi 27,18 sono in Lombardia), 8 nell’Italia centrale, 5 nel Meridione e 1 in Sicilia.
Questa è una difformità che conta e che pesa, perché riguarda aspetti di qualità, non di quantità. Non bastano infatti i finanziamenti per realizzare un Istituto di cura e ricovero a carattere scientifico. Occorre un tessuto culturale e professionale sottostante che realizzi la massa critica necessaria per attirare ricercatori e professionisti di elevata qualità; è necessaria l’attenzione promozionale – e non di preconcetta ostilità – della classe politica regionale, preoccupata quasi sempre per la maggiore autonomia che questi Istituti hanno rispetto ai presidi ospedalieri gestiti dalle Asl; bisogna che la classe medica, universitaria, ospedaliera, e specialistica locale non tema l’inevitabile concorrenza che una struttura d’eccellenza come un nuovo Irccs inevitabilmente comporterà, anteponendo agli interessi professionali ed economici di corporazione il vantaggio che può venirne alla popolazione e, nel medio periodo, alla stessa classe medica, per l’innalzamento del livello qualitativo della professione.
Solo se tutte queste persone, politici, gestori di Asl e di AO, medici, riusciranno a considerare l’insediamento in loco di un Irccs come una opportunità per i cittadini e per lo standard dei servizi sanitari, potranno in futuro decollare anche nel nostro Sud un numero adeguato di istituzioni scientifiche di ricovero e di ricerca. Questa è l’uniformità di qualità da perseguire: tuttavia, il dirottamento di risorse verso impieghi di quantità e l’ostilità di corporazioni timorose del nuovo renderanno, nel prossimo futuro, estremamente difficile il cammino in questa direzione, come del resto è già avvenuto in passato.
I servizi propri delle Asl.
I Centri unificati di prenotazione risultano attivi in 159 Asl su 197, cioè nell’80% delle Aziende. Tra i servizi erogati dalle Asl, per quanto riguarda la scarsa uniformità assistenziale, appaiono significativi i dati dell’assistenza domiciliare integrata.
I dati evidenziano che, per 1.000 abitanti, i casi che ricevono copertura assistenziale integrata domiciliare oscillano tra 35 nella Provincia autonoma di Bolzano e 2.150 nella regione Molise.
I servizi territoriali dei Distretti.
I dati riguardanti i servizi territoriali dei distretti illustrano quale sia la situazione per quanto riguarda l’assistenza primaria (medicina e pediatria di base, continuità assistenziale assicurata dalla guardia medica, assistenza farmaceutica erogata dalla rete delle farmacie private e municipalizzate, specialistica e diagnostica strumentale a supporto dei medici e dei pediatri di famiglia).
Questo è l’ambito assistenziale che è considerato fondamentale per la componente uniforme generalizzata degli auspicati “livelli compatibili di assistenza”.
I dati mostrano che la parte preponderante dell’assistenza primaria è assicurata dal Servizio sanitario facendo ricorso alle risorse professionali e commerciali del mercato. Infatti, sia i medici di MG che i pediatri di libera scelta sono professionisti privati di cui le Asl si avvalgono, mediante convenzioni, per assicurare l’assistenza di medicina generale e di pediatria di base. Anche per la distribuzione dei farmaci il Servizio sanitario utilizza una rete di farmacie che non sono gestite direttamente dalle Asl, ma da soggetti privati o dagli Enti locali (farmacie municipalizzate). Anche per il servizio di guardia medica i distretti utilizzano personale non dipendente, sebbene operante, in larghissima parte, presso strutture delle Asl e con mezzi mobili approntati dalle stesse. Solo nella consulenza specialistica e nella diagnostica strumentale a supporto dei medici di base si registra una presenza importante degli ambulatori e laboratori direttamente gestiti, anche se ampiamente condivisa con strutture private accreditate e convenzionate.
Infine bisogna rilevare che le Asl presentano un comportamento ambivalente e in un certo senso contraddittorio. Da un lato, esse svolgono funzioni di “organizzazione” dell’assistenza sanitaria a favore dei cittadini assistiti, approntando forme e tipi di tutela, accordandosi con i privati per mettere a disposizione degli ammalati i rimedi convenuti, utilizzando la rete commerciale della distribuzione del farmaco per soddisfare le esigenze terapeutiche, assumendone in buona misura l’onere mentre, dall’altro, dismettono la congeniale funzione di soggetto organizzatore della tutela assistenziale, per assumerla in proprio, con riferimento ad una attività complessa e dispendiosa come la gestione dei presidi ospedalieri. Questa duplice natura di organizzatrici d’assistenza e di gestori, non sempre efficienti, di strutture complesse, spinge a domandarsi se non sia il caso di procedere oltre con la liberalizzazione dei servizi, disciplinando, invece, maggiormente gli aspetti qualitativi pretesi da parte dei soggetti operativi, controllando il loro effettivo conseguimento nell’erogazione dei servizi e, soprattutto, analizzando i costi e reprimendo i comportamenti lesivi della economicità e trasparenza dei servizi negoziati.
A livello nazionale la medicina di base è garantita, secondo gli ultimi dati disponibili del Sistema informativo sanitario, da 47.111 medici di medicina generale e da 7.358 pediatri di libera scelta. Le tabelle che seguono forniscono altri dati concernenti i servizi territoriali dei distretti. Senza scendere troppo nel particolare, è immediatamente evidente il maggior ricorso ai servizi di guardia medica nelle regioni meridionali e insulari rispetto alle regioni centro-settentrionali. L’analisi, riferita agli indicatori di assistenza farmaceutica, è molto significativa poiché rileva l’entità finanziaria di questa voce d’assistenza, originata dal comportamento prescrittivo dei medici e realizzata attraverso l’apporto della rete commerciale delle farmacie. Più che il dato numerico di ricette per assistito è interessante esaminare il dato medio di spesa per cittadino. I dati mostrano quanto l’uniformità assistenziale sia scarsamente realizzata, pur riferendosi a bisogni basilari, comuni a tutto il Paese.
“OUTLOOK” Uno sguardo fuori regione
Rubrica di scienze economiche e sociali
a cura di Rosario Palese
(ISSN 1722-3148 )