La parabola dei “capitalisti nudi”, dai bassifondi a Wall Street. La notizia arriva in Europa sull’onda dei dati diffusi alla fine del 1999 da un prestigioso istituto di ricerca statunitense, la Forrester Corporation di Cambridge, Massachussets: l’industria del porno chiude il bilancio del secondo millennio totalizzando un volume di affari tra i 10 e i 14 miliardi di dollari l’anno, includendo cassette Vhs, Dvd, network televisivi, satellitari e via cavo, Internet, telefonate erotiche, oggettistica, biancheria, riviste. Solo i noleggi dei prodotti videografici raggiungono i 700 milioni di dollari l’anno. Un anno dopo quella che sembra essere l’ennesima inoppugnabile prova del “giro da capogiro” degli affari del porno, una smentita dei dati della Forrester Corporation arriva dall’articolo How big is porno? (Quanto è grande il porno?) di David Ackman, pubblicato nel 2001 sul più importante sito economico degli Usa, forbes.com. Il giro di affari del porno è certamente grande, vi si afferma, ma si aggira tra i 5 e i 7 miliardi di dollari. Altri commentatori economici si associano nel ridimensionare la mitizzazione del mercato pornografico: tra gli altri, Emmannuelle Richard su alternet.com, nel 2002.
I capitani dell’Adult Entertainment di San Ferdinando Valley operano nel rispetto delle leggi dello Stato della California le quali tollerano, oltre alla commercializzazione, anche la produzione di pornografia, a patto che essa non coinvolga attrici ed attori minorenni. Sono in regola con le tasse: contribuiscono infatti alle finanze pubbliche dello Stato federato per un ammontare di 36 milioni di dollari l’anno, stando alle dichiarazioni dei porno-lobbysti, quelli che difendono a livello politico gli interessi del settore. Considerato il livello di tassazione della California, si può dedurre che il settore Adult produce un reddito di circa 490 milioni di dollari l’anno, pari al 37% circa del Prodotto interno lordo californiano.
Era digitale, era globale, pornografia globale. Il mercato dei materiali sessualmente espliciti di un qualsiasi paese, Italia compresa, non può più essere studiato e misurato a sé stante. Occorre dotarsi di uno sguardo, appunto, globale, che comprenda l’Europa di cui facciamo parte e l’altra parte (alcuni dicono “controparte”) al di là dell’Oceano, per restare nell’ambito strettamente occidentale.
Nella classifica dei sette paesi leader, gli Usa occupano il primo posto con la Metro Global Media Inc., quotata sul Nasdaq. Ma sono quotate in Borsa anche due holding europee, una svedese a capitale multinazionale, l’altra tedesca, di solida tradizione nazionale, ormai anch’essa internazionalizzata. Del “G7 del porno” fanno dunque parte gli Usa che detengono la presenza sul loro territorio del maggior numero di colossi multimediali e aziende leader (circa 2.000), la Svezia, la Germania, la Spagna, la Francia, nonché due paesi emergenti e da poco inseriti nell’Unione europea: Ungheria e Repubblica Ceca.
Nella tabella del “G7 del porno” sono stati inseriti paesi a economia da Primo Mondo e paesi economicamente emergenti, come la Repubblica Ceca e l’Ungheria, accomunati dal fatto di non trovare ostacoli legali all’espansione delle loro aziende. L’Italia, che fino ai primi anni Novanta, è stata un paese produttore di un certo rilievo, è esclusa dal circolo dei big. Nel presente Rapporto verranno spiegate le diverse ragioni. Una di queste risiede nella vecchiezza e incertezza delle leggi che regolano la pornografia. L’economia pornografica, infatti, prospera anche in regimi legali proibizionisti, ma per diventare industria nel senso attuale del termine, necessita paradossalmente o di assenza di regole o di regole chiare.
La legislazione italiana e le sue contraddizioni. Nella legislazione italiana solo recentemente sono stati usati il sostantivo “pornografia” e l’aggettivo “pornografico”, in un decreto legge del 1995, molto importante per i mezzi audiovisivi, e che sarà citato spesso nel prosieguo di questo Rapporto.
Nell’articolo 528 del Codice penale, certamente vetusto ma tutt’ora caposaldo della regolamentazione giuridica inerente alla merce pornografica, vengono considerati reato la produzione e la distribuzione, l’importazione e l’esportazione, l’acquisto e la detenzione, di «scritti, disegni, immagini od altri oggetti osceni», nonché la pubblicità che ne facilita la circolazione e l’organizzazione di spettacoli pubblici che ne propagandano i contenuti. Inoltre, nell’articolo 724, viene ribadito il divieto di «commercio di scritti, disegni o altri oggetti contrari alla pubblica decenza». Sulla definizione di oscenità come offesa al comune sentimento del pudore e alla pubblica decenza si basa, dunque, l’illegalità della pornografia, ribadita anche dall’articolo 21 della Costituzione che protegge la libertà di stampa, ma esclude dalla protezione costituzionale la pubblicazione di materiali osceni. Due sono le tappe principali di un processo, lungo più o meno trent’anni, costellato da dure battaglie legali in risposta ad altrettanto dure azioni repressive delle Forze dell’ordine e della Magistratura nei confronti di produttori, distributori e rivenditori di materiali pornografici. La prima riguarda l’introduzione della legge n.355 del 1975 che esenta da responsabilità gli edicolanti che vendono pubblicazioni oscene, assestando un colpo decisivo al divieto assoluto di commercio, attivo e passivo, affermato dai suddetti articoli del Codice penale. Sette anni dopo, il 27 luglio 1992, la sentenza n.368 della Corte Costituzionale precisa ulteriormente le condizioni in cui il commercio di materiali osceni debba considerarsi non punibile: quando avvenga «in forma riservata» e sia destinato «solo a chi ne faccia specifica richiesta». Ovviamente, in accordo con il secondo comma del citato art. 529, la sentenza della Corte esclude dagli abilitati ad acquistare materiale pornografico i minori di 18 anni.
Le leggi europee. Le questioni attinenti ai commerci sessuali, pornografia e prostituzione, sono tra le più difficili da armonizzare nell’ambito dell’Unione. Né l’Unione ha, finora, mostrato questa intenzione. Ma per quanto riguarda prostituzione e pornografia in versione minorile, il Consiglio di Strasburgo ha emanato recentemente una Direttiva Quadro alle cui disposizioni i paesi membri dovranno attenersi, modificando le loro legislazioni in materia, se necessario. Nella tabella che, qui di seguito, esemplifica alcune legislazioni europee, emerge che le leggi sulla pornografia per adulti sono sostanzialmente diverse da quelle italiane, mentre per quanto concerne le leggi sulla pornografia minorile, solo alcune sono analoghe alla nostra. E tutte, tranne la legge inglese e quella tedesca, sono di recente approvazione.
L’Italia, è nel novero dei pochi paesi europei (assieme all’Irlanda e alla Norvegia) in cui la pornografia di e per adulti non potrebbe (il condizionale è d’obbligo) né essere prodotta né distribuita e venduta. Ciò non significa, però, che nei paesi con leggi più liberali della nostra la situazione di semi-legalità del porno sia tollerata.
Redenzione o punizione fiscale? I prodotti pornografici più tipici e diffusi (la video-cassetta e il Dvd), in Italia, vengono tassati due volte. Una volta attraverso l’imposta sul valore aggiunto, una seconda volta attraverso l’acquisto dei contrassegni della Società Italiana Autori e Editori, necessari alla loro commercializzazione legale. I prodotti del porno, però, non rientrano tra i prodotti editoriali tutelati dall’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di stampa e quindi non usufruiscono di quelle agevolazioni sull’Iva previste dalla legge sull’editoria (legge 633 del 1972). In questa situazione, ha destato molto scalpore il tentativo del Governo di introdurre nella Legge finanziaria del 2002 la così detta “pornotax”. Si trattava di un prelievo aggiuntivo sugli utili pari al 25% del reddito da applicare ai produttori di film per la televisione o per le videocassette e i Dvd, ai distributori dei medesimi, ai proprietari o gestori di sexy shop, agli edicolanti nonché ai webmaster dei siti porno e ai loro Internet service provider. Secondo i calcoli governativi la pornotax avrebbe dovuto produrre un gettito fiscale pari a 95milioni di euro, il che vuol dire che si contava di tassare in maniera aggiuntiva un volume d’affari pari a 380 milioni di euro. Ma, come è noto, la proposta della pornotax è stata ritirata sotto il fuoco di aspre polemiche. E le più aspre non sono state – paradossalmente – quelle provenienti dal “fronte del porno”.
Legiferare per il web. All’indagine sulla pornografia telematica è dedicato il focus del Rapporto. Esso tiene conto del fatto che il confine giuridico tra pornografia e pornografia minorile è netto. Non altrettanto netto appare invece il confine concettuale. La scelta del Rapporto Eurispes pertanto è stata quella, di separare nettamente i due campi d’indagine. Proprio perché portandoli avanti assieme si rischia di perdere l’esatta percezione dei mutamenti del mercato pornografico nel nostro come in altri paesi. La parte legislativa riguardante la pornografia minorile verrà trattata in modo approfondito in uno dei capitoli seguenti. Il provvedimento più importante per la pornografia telematica (ed anche quello in cui per la prima volta nella legislazione italiana si nomina il termine “pornografia”) è il decreto ministeriale del luglio 1995, numero 385, recante le norme che disciplinano il contenuto e le modalità di fornitura dei servizi audiotex e videotex. Si tratta dei servizi audio e audiovideo che vengono forniti dai privati e che vengono resi accessibili all’utente dagli operatori delle telecomunicazioni attraverso linee telefoniche a prezzo maggiorato. Ebbene, il comma 4 dell’articolo 4 afferma: «Le informazioni o prestazioni audiotex e videotex non devono comunque presentare forme e contenuti a carattere erotico, pornografico e osceno».

“OUTLOOK” Uno sguardo fuori regione
Rubrica di scienze economiche e sociali
a cura di Rosario Palese
(ISSN 1722-3148 )

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