[Articolo di Mattia Tufariello]

Dove non vi è più commercio ai giorni nostri? È quanto accade oggi anche in Italia, non esclusa la Lucania, dove le tradizioni affondano le radici in profondità. Non poteva essere che il 2 novembre e la festa dei morti non venisse manipolata dal gigante cieco e bizzarro del successo.

Ogni regione, dice, deve avere una tradizione. E la nostra lo è, una tradizione! Non qualcosa di irreale , come le importazioni. Ci sono riti che persistono nel tempo e sono ancora evidenti, un tesoro che non si deve aver troppa cura di consumare, nel nostro DNA. Eppure succede questo. “Ddammimurt”, a Lavello, e con varianti in altri centri, era la parola magica  che esorcizzava la morte : si chiedeva la vita con la morte; dolci e frutta, come fichi secchi e noci. Il culmine è tutt’ora esistente, un dolce a base di vin cotto, noci, grano e melograno.

Le tradizioni si fanno sentire e richiamano a sentieri greci e celtici. Il vin cotto di uva e fichi; il melograno, che permette a Persefone di “evadere” dall’Ade per quattro mesi l’anno; Demetra, madre di Persefone, dea della fertilità e del grano. Sembra, quindi, collimare tutto. Si  pensa ai Misteri Eleusini, in cui veniva celebrato il culto della dea, e al ciceone, bevanda sacra dei misteri, composta di vari elementi, tra cui probabilmente la claviceps purpurea, ergot del grano. La nostra terra, Magna Grecia, ne ha assimilato le usanze. Il ricordo è sicuramente forte, e addolcito, non dobbiamo cercare di attaccarci a una terra non nostra, e non ci troviamo nella condizione di non doverci sentire liberi. Halloween, allora? Vi sono, per tornare al dolce, anche elementi druidici, con la noce, che sostituisce la ghianda di quercia. Elementi primitivi…

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