Le donne delle saponette contestano l’“Eterno femminino”. La sfida alla bellezza è ormai diventata una sfida planetaria. La bellezza non risponde più solo a canoni oggettivi bensì alla percezione soggettiva che ciascuna donna ha di se stessa, in corpo e in spirito. Una nuova e più ampia definizione appare ormai possibile e le donne stesse possano contribuire a idearla. La bellezza è una questione appassionante e contraddittoria, amata e odiata, per ogni donna. Tutto il linguaggio mediatico, infatti, impasta sociologia e propaganda, mostrando così che la pubblicità non si accontenta più del tradizione ruolo di “anima del commercio”, ma assume il concetto di anima nel proprio stile. Ora che la bellezza femminile è in procinto di sottrarsi ai canoni fissati da Platone e Aristotile, l’immagine enorme di una novantacinquenne, chiaramente ex bellissima, con un fazzoletto in testa, rughe del volto e del collo ben in vista e un sorriso smagliante, campeggia sui super tecnologici cartelloni pubblicitari di Times Square, a Manhattan. Per i rotocalchi al di qua e al di là dell’oceano quel cartellone pubblicitario è il segno della rivoluzione in atto ma già trionfante, un sovvertimento che farà piazza pulita della controrivoluzione conservatrice e maschilista seguita al femminismo. Passata la paura, sono infatti diversi anni che l’“Eterno femminino”, tutto trappole di seduzione, è tornato in auge con la rincorsa alla chirurgia estetica e al corpo fasciato in veli trasparenti.
Ma oggi la donna-oggetto, perfezione in tacchi a spillo che riduce la femminilità a un apparato di diete e protesi per figurare nella taglia 42, è al tramonto.
Al suo posto rinasce la donna-soggetto, imperfezione in mocassini che propone una femminilità incurante del diktat delle labbra rifatte e del peeling facciale da miliardaria, una femminilità tranquillamente sprofondata nelle taglie dal 46 al 48. Tutto cambia, dunque, tranne il vizio congenito ad ogni rivoluzione: non più beauty victims, vittime della bellezza, le donne sono per la real beauty, la bellezza reale, in nome della quale possono essere rappresentate addirittura le vecchie, le bruttarelle, le grasse, le piatte-come-una-tavola, le lentigginose, tutte però con il sorriso delle vincenti stampato sul volto. Il sorriso della propria sicurezza.
Le italiane: “semplici” e “carine”. Si intitola The real truth about Beauty (la reale verità sulla bellezza), il Rapporto globale sulla bellezza femminile. La ricerca, svolta su un campione di 3.200 donne argentine, brasiliane, canadesi, francesi, italiane, olandesi, giapponesi, portoghesi e americane, è stata affidata alla consulenza definitiva di Nancy Ectoff dello Women therapy center institute (Istituto per le psicoterapie femminili) di New York e di Susie Orbach della London School of Economics. Si tratta di due professioniste specializzate in “questioni femminili”: psicologiche, d’immagine, ed economiche. I risultati della ricerca sono stati riassunti nella tabella che segue, diffusa attraverso i mass-media, da New York a Tokio.
È evidente che nell’indagine campionaria le beauty victim, le vittime della bellezza, sono fin troppo ben rappresentate. Solo le brasiliane si staccano, sia pure di poco, dalla generale débâcle femminile: la percentuale media delle intervistate che osano definirsi belle è del 2,2%. Quelle che si considerano “sofisticate”, “sexy”, “stupende”, scendono ulteriormente, al di sotto dello zero virgola qualcosa per cento.

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