[Articolo di Mimmo Mastrangelo]

Un attore in scena ci va per recitare una parte, vestire i panni di un personaggio. Carmelo Bene no, lui sul palcoscenico era qualcos’altro. Da vero continuatore dall’arte sovversiva di Antonin Artaud, non ha mai interpretato un ruolo per la semplice ragione che ha incarnato il teatro stesso nella profondità del corpo, della voce, dell’anima.

Delle volte l’ hanno fatto passare per un avanguardista, in realtà non è appartenuto a nessuna avanguardia. Carmelo Bene ha rappresentato solo un teatro non subalterno allo spettacolo, cioè un’arte assorbita per plasmare forme fino a quando non trovassero  più una coincidenza. E nonostante abbia  indissolubilmente unito un’idea di teatro, cinema, pittura, musica, ha perseguito, innanzitutto, la strada di liberare il palcoscenico dalla disfatta, dalla sua “immobile evanescente dinamicità” e dall’ignoranza di quel pubblico frequentatore non occasionale. Per questo ogni qualvolta si apre la pagina delle virtù e dei malesseri del nostro teatro non si può non tener conto della dissacrazione  di Bene, cioè di quella  traiettoria folgorante, apposta nel tentativo di destrutturare e ricomporre la scrittura scenica.

Nel genio del regista-attore salentino si può ritrovare  l’assenza del raziocinio e l’esaltazione della parola che si frantuma, per tale ragione Ennio Flaviano scrisse che i suoi spettacoli- non spettacoli “hanno, fino al limite dell’indignazione, qualcosa di impensabile e di affascinante”. Il contenitore “Carmelo Bene eresia in corpo e parola” non vuole rappresentare nessuna celebrazione per il personaggio, il folle-creativo che non c’è più (e ci manca tanto). E benché in vita si sia sentito sempre un morto tra i vivi, oggi Bene è più vivo che mai, in quanto la sua ideologia e fede rimane forza d’urto per un teatro, per un’arte che non sa (ri)pensarsi e rinnovarsi. Il percorso della mostra è veloce, Bene lo si può incontrare in tutte le sue principali (e strepitose) performances: da Caligola a Majakovskij, da Pinocchio a Amleto, da Achille a Macbeth. Ma alle fotografie che ripercorrono una carriera si sovrappone il suono della parola beniana fino ad essere unico e predominante tema dell’allestimento. Ci si può chiedere se si possa mettere una voce in mostra alla pari di un quadro o di una scultura. A Carmelo Bene tutto è concesso, per cui la spazio espositivo è realizzato come un teatro della “phoné”, dove la parola orale è ineffabile e non coincide con nessun suono organizzato.

La sonorità immateriale di Bene può sottointendere abissi, evocare metafore, suggerire analogie e paesaggi onirici, ma, principalmente, procede verso un annullamento per poi far rinascere altre (e rinnovate) forme eretiche di teatralità.

La mostra rimarrà aperta tutti i giorni (ore 19:00-21:00) fino al 10 novembre.

Per informazioni sulla mostra:
ASSOCIAZIONE CULTURALE THOMAS SANKARA
CORSO UMBERTO I MOLITERNO
Tel 333/4269975

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