Come gli italiani vedono l’economia. Le variabili che incidono sull’economia del nostro Paese sono molte: l’invecchiamento della popolazione e la denatalità che gravano sul sistema previdenziale; le ridotte dimensioni delle imprese italiane che limitano la competitività internazionale; gli scarsi investimenti su ricerca e innovazione che hanno ceduto il passo a quelli degli altri paesi emergenti; la carenza delle infrastrutture che rallenta gli scambi. Troppi problemi da risolvere che fungono da zavorra allo sviluppo economico del nostro Paese e, secondo dati provvisori, determinano nel 2005 una crescita bassa, inferiore alla media degli altri paesi Ue (l’andamento del Pil è di appena lo 0,2% contro l’1,4%).
Ma come si esprimono gli italiani in merito ad alcune questioni macro-economiche? Quali sono le loro attuali condizioni finanziarie e le aspettative per il futuro? La prima domanda posta agli intervistati era finalizzata a conoscere il loro parere in merito alla situazione economica del Paese negli ultimi dodici mesi e, anche se meno marcata rispetto agli anni precedenti, prevale la sensazione di un netto peggioramento: il 41,5%, contro il 54% del 2005 e il 48,2% del 2004. Il trend evidenzia, inoltre, un incremento delle risposte nelle posizioni intermedie: ravvisa un lieve miglioramento il 6,1% degli intervistati (il 2,8% nel 2005) e un lieve peggioramento il 30,7% (il 23,5% nel 2005). Si conferma l’esigua percentuale (0,8%) di italiani che attestano un netto miglioramento e aumenta leggermente la quota di coloro che non hanno ravvisato mutamenti (il 19,7% contro il 17,3% del 2005 e il 14,4% del 2004). La situazione economica appare, dunque, ancora prevalentemente negativa e, laddove si sono avvertiti, i cambiamenti sono stati lievi. Per una lettura più agevole dei dati, i giudizi sull’andamento dell’economia, durante l’anno appena trascorso, sono stati sintetizzati in due modalità opposte (migliorata/peggiorata) e incrociati per area territoriale. Il pessimismo maggiore viene manifestato dai residenti nel Meridione: sia nel Sud che nelle Isole le percentuali di coloro che esprimono un peggioramento sono molto elevate (rispettivamente il 73,8% e il 75,4%). Sono soprattutto i residenti nel Nord-Est (21,6%) che sottolineano una situazione economica nazionale immutata e, con una percentuale leggermente inferiore, i cittadini del Centro (19,5%). Nel Settentrione, pur essendo preminente il giudizio di un peggioramento, risultano abbastanza consistenti le percentuali di coloro che si esprimono per un miglioramento, pari all’8,9% nel Nord-Ovest e al 7,6% nel Nord-Est. L’area politica di appartenenza degli intervistati risulta influenzare le risposte relative alla situazione economica dell’Italia: il giudizio si modifica leggermente a mano a mano che si passa da un polo all’altro lungo l’asse politico destra-sinistra. Tra l’elettorato di sinistra si concentrano le posizioni più critiche (afferma che la situazione economica è nettamente peggiorata il 62,5% degli elettori di sinistra e il 38,3% di centro-sinistra), ma i giudizi sono pessimistici anche tra gli altri elettori: il 25,7% degli intervistati di centro-destra e il 19,8% di destra avverte un netto peggioramento. Questi ultimi sono anche i più numerosi (41,8%) a sottolineare una soluzione di continuità rispetto all’andamento economico del passato e ad avvertire un netto o leggero miglioramento (rispettivamente il 3,3% e il 14,3%). Come osservato, il contesto complessivo risulta tutt’altro che ottimista: i cittadini percepiscono un’economia in netta difficoltà, che fatica ad uscire dalla crisi e stenta a gettare le basi per la ripresa. Per conoscere le aspettative sul futuro, è stato chiesto agli intervistati di esprimere il proprio giudizio sulle prospettive economiche del Paese nei prossimi 12 mesi.
Nel 2003 la maggioranza prevedeva una situazione di stabilità (43%), ma questa percentuale decresce gradualmente negli anni successivi fino ad assestarsi al 36,3% nel 2006. Diminuisce la quota dei pessimisti: il 30,1% nel 2006 contro il 39,3% del 2005, mentre aumentano leggermente coloro che intravedono nel futuro un miglioramento per l’economia (passano dal 13,2% del 2005 al 19,2% del 2006). Gli italiani, quindi, avvertono condizioni critiche per la nostra economia ma cercano tuttavia di guardare con fiducia al futuro. In relazione alle previsioni per il futuro, i dirigenti/quadri/imprenditori si pronunciano con forza per un miglioramento dell’economia (29,6%), registrando, contemporaneamente, una quota molto elevata anche tra coloro che prevedono una situazione stabile (44,4%). Si esprimono in questa direzione soprattutto gli studenti, con un valore molto al di sopra della media nazionale (il 49,2% contro il 36,3%). I non occupati e gli insegnanti/impiegati prevedono con più frequenza rispetto alle altre categorie un aggravarsi dell’attuale situazione: rispettivamente il 37% e il 36,8% si pronunciano per un peggioramento dell’economia del Paese nei prossimi dodici mesi. La disaggregazione dei dati per area politica degli intervistati evidenzia un atteggiamento più ottimista da parte degli elettori di destra che sperano nel 34,1% dei casi in un miglioramento dell’economia, la percentuale scende al 33,3% nel centro-destra, al 12,5% nel centro e risale leggermente tra gli elettori di centro-sinistra (15,9%) e sinistra (13,3%). Le quote più elevate di coloro che prevedono una sostanziale stabilità della situazione economica, nei mesi a venire, si registrano tra i sostenitori della sinistra (46,9%) e del centro (43,8%).Quasi un elettore di centro-sinistra su due (40,7%) intravede un peggioramento della nostra situazione economica, mentre percentuali più contenute condividono questa posizione tra gli altri schieramenti politici.
La situazione economica familiare. Per quanto riguarda l’opinione sulla situazione del proprio nucleo familiare, una componente di intervistati molto più consistente rispetto a quella dello scorso anno (il 58% contro il 46%) dichiara una situazione economica familiare stabile, mentre le percentuali relative ad un aggravamento, lieve o acuto che sia, sono leggermente più contenute rispetto al 2005. Praticamente invariato, negli ultimi tre anni, il numero di intervistati che gode di un maggiore benessere (0,7%), mentre aumentano del 2,1% le persone che hanno visto migliorare, seppur in misura modesta, la propria situazione economica nell’ultimo anno. Analizziamo la distribuzione geografica per capire come si configura nel nostro Paese la mappa economica delle famiglie italiane. Nell’Italia insulare si registra un discreto numero di famiglie che ha avvertito un netto miglioramento delle proprie condizioni economiche (1,6%), ma contemporaneamente si contano molte famiglie (13,9%) che hanno conosciuto un forte crollo della loro condizione economica. Sono prevalentemente le famiglie del Centro (11%) che godono di un tenore di vita leggermente più elevato rispetto a quello dell’anno precedente. I nuclei familiari del Settentrione dichiarano di beneficiare di una situazione economica stabile: esattamente il 65% del Nord-Ovest e il 61,9% del Nord-Est. Il numero più consistente famiglie che nel giro di un anno è stato costretto a stringere la cinghia, allungando la lista delle rinunce, si registra nel Sud: il 36,9% dei nuclei familiari ha subìto un lieve peggioramento delle proprie condizioni familiari, mentre il 9,8% un netto peggioramento. La categoria professionale di appartenenza evidenzia un miglioramento della situazione economica del nucleo familiare (14,8%) soprattutto tra dirigenti/imprenditori/quadri. I liberi professionisti affermano con forza di aver goduto di un andamento finanziario in linea con gli anni precedenti (65,3%), così come gli studenti (64,2%). Le categorie più provate da un peggioramento economico sono gli operai (44,3%), le casalinghe (44,7%) e i non occupati (40,7%). L’analisi finanziaria delle famiglie italiane mostra come diventano sempre più frequenti i casi di coloro che si trovano ad affrontare problemi economici: il 2,9% è costretto ad indebitarsi (contro l’1,2% nel 2005), il 17% deve utilizzare i risparmi accumulati negli anni precedenti e oltre una famiglia su due riesce ad arrivare a fine mese con le risorse a disposizione (esattamente il 56,4%). Al contrario, diminuiscono le famiglie che riescono a risparmiare qualcosa (dal 27,9% del 2005 al 17,1% del 2006) o che risparmiano abbastanza (dal 4,7% del 2005 al 2,8% del 2006). La disaggregazione territoriale evidenzia le maggiori difficoltà economiche tra le famiglie residenti nel Meridione: il 6,6% dei nuclei familiari del Sud afferma di essere costretto a contrarre debiti e circa una famiglia su quattro dell’Italia insulare (esattamente il 24,6%) ricorre ai propri risparmi. Nel Settentrione si registra una situazione leggermente più favorevole: la percentuale di coloro che riescono ad arrivare a fine mese è pari al 60,1% nel Nord-Ovest e al 59,5% nel Nord-Est, nelle stesse realtà territoriali si rileva una percentuale identica (3,4%) di nuclei familiari che riescono a risparmiare abbastanza. Circa una famiglia su cinque dell’Italia centrale, infine, afferma di risparmiare qualcosa, percentuale che si riscontra ma in una quota leggermente inferiore, nel Nord-Est (18,2%).
Timori che occupano un posto preminente nella vita degli italiani. Nel 2006, l’elevato costo della vita si conferma in cima alla graduatoria dei problemi che affliggono gli italiani (anche se ridimensionato come mostrano le percentuali riferite agli anni precedenti: il 23,1% contro il 27,4% del 2005 e il 24,6% del 2004); segue la paura per la criminalità organizzata (il 16,3%). Suscitano un’ansia crescente tra gli italiani anche il terrorismo internazionale (il 15,8% contro il 14,5% del 2005) e il pericolo che il proprio diritto alla salute possa essere leso (11,9% contro il 10,6% del 2005). Destano maggiore inquietudine anche le catastrofi ambientali (al 6,5%) e il terrorismo interno (5%). Incombono meno negli incubi degli italiani, il timore di perdere il proprio lavoro (dal 12,7% del 2005 al 10,1% del 2006) e la paura della guerra (dal 9,6% del 2005 al 7,5% del 2006). La variabile territoriale evidenzia alcune peculiarità nelle diverse aree geografiche: l’elevato costo della vita, pur costituendo il cruccio principale dell’intero Paese, desta maggiore preoccupazione nelle Isole (31,4%), dove è molto alto anche l’allarme per la guerra (10,8%). Ancora, nel Sud si rilevano le percentuali più consistenti che manifestano preoccupazione per la perdita del lavoro (12,8%), per il terrorismo interno (7,1%) e per le catastrofi ambientali (7,6%).
Nell’Italia centrale sono più forti i timori per il terrorismo internazionale (17,8%) – proprio nella Capitale si trovano molti dei potenziali obiettivi sensibili – e per la criminalità organizzata (17,8%). Questo stesso timore risulta molto diffuso anche nell’Italia settentrionale, probabilmente queste preoccupazioni sono spiegabili con l’efferatezza di alcuni furti avvenuti in parecchie città del Nord-Est (a volte finiti in tragedie).
Inflazione percepita. Nel Rapporto sui prezzi curato dal Dipartimento del Tesoro (aggiornato a novembre 2005) spicca un dato allarmante: nel corso del 2005 i prezzi «liberalizzati» sono aumentati del 5,1%, ben oltre il doppio del tasso di inflazione ufficiale Istat (sempre intorno al 2%). L’energia elettrica ha messo a segno un’impennata del 7,1%, il gas è arrivato a 11,9%, i prodotti petroliferi hanno viaggiato su una media del 14,5% (il gasolio per riscaldamento ha raggiunto l’aumento record del +17%), l’acqua è rincarata quasi del 4% e mandare i figli a scuola costa il 6,1% in più per le superiori e il 3,6 per l’Università.
Con la lievitazione dei prezzi non c’è da stupirsi se gli italiani tagliano le spese superflue e, sempre più spesso, ricorrono a prestiti per il necessario. Per quanto riguarda il ramo assicurazioni, il record è tutto negativo: dal 1996 al 2004 i prezzi delle assicurazioni sono cresciuti del 108,6% contro il 22,7% della zona euro. Nello stesso periodo, in Francia l’aumento dei costi di assicurazione si è contenuto in un modestissimo 8,6%, in Germania il rincaro ha raggiunto quota 17,1%. Più salati i conti per gli spagnoli, che hanno visto il listino gonfiarsi del 42,5% e per gli inglesi, che pagano oggi il 65,3% in più rispetto a dieci anni fa.
L’andamento dell’inflazione analizzato dall’Istat (nel 2005 all’1,9%) è sempre più lontano dalla realtà del nostro Paese, ma vediamo che cosa ne pensano i consumatori italiani, intervistati su questi aspetti. L’aumento del carovita viene confermato anche nel 2006: una percentuale di intervistati quasi identica a quella dello scorso anno (l’85% contro l’85,6%) afferma di aver avvertito un incremento dei prezzi; molto simile anche la quota di coloro che hanno percepito una certa stabilità (il 12,7% nel 2006 e l’11% nel 2005). Più contenuta la percentuale di coloro che hanno avvertito un decremento, appena lo 0,7% contro il 2,6% dell’anno scorso. La disaggregazione per categoria professionale evidenzia un andamento dei dati con leggere differenziazioni. Tra gli studenti, le casalinghe e gli operai è leggermente più diffusa la convinzione che i prezzi siano aumentati (rispettivamente 91,7%, 88,4% e 87,5%). I liberi professionisti, i commercianti e gli autonomi, insieme agli studenti, costituiscono le categorie che hanno avvertito di più, in misura comunque estremamente contenuta, una diminuzione dei prezzi.
Ma che tipo di aumento hanno percepito i consumatori? Una maggiore consapevolezza degli intervistati ha determinato una diminuzione delle non risposte (dal 12,6% al 2,3%) e l’impressione di un aumento generalizzato dei prezzi. È più elevato sia il numero di coloro che hanno avvertito un leggero aumento dei prezzi (dal 7,9% del 2004, al 14,2% del 2005 e al 17,1% del 2006), sia la quota di chi ha percepito un elevato aumento (dal 29,4% del 2005 al 33,5% del 2005). Inoltre, quasi un intervistato su due (47%) denuncia un eccessivo aumento dei prezzi, identificato con una inflazione media annua superiore all’8% (il 43,8% nel 2005 e il 59,1% nel 2004). Il peso della dinamica inflattiva è avvertito in maniera pesante nelle Isole, dove la percentuale arriva al 56% (il 47% la media nazionale), nella stessa area geografica risulta più contenuta la percentuale (15,6%) di consumatori che hanno percepito un leggero aumento dei prezzi. Anche tra i residenti nel Sud si rileva una percentuale molto elevata (52,3%) di coloro che avvertono una inflazione superiore all’8%. Nel Nord-Ovest i consumatori percepiscono un tasso inflativo più contenuto: infatti, sono i più numerosi ad affermare che c’è stato un aumento più modesto (leggero ed elevato rispettivamente il 21,4% e il 42,3%), mentre è più bassa (35,2%) rispetto al valore medio (47%) la percentuale di coloro che ritengono che l’aumento sia stato eccessivo. La maggior parte delle categorie professionali intervistate avverte un eccessivo aumento dei prezzi, ad eccezione dei dirigenti/quadri/imprenditori e degli studenti, tra cui prevale una inflazione di tipo elevato (rispettivamente il 40% e il 43,6%). Tra coloro che registrano le maggiori difficoltà con la lista della spesa spiccano i non occupati (56,5%), le casalinghe (54,9%), e i pensionati (51,7%). Gli intervistati confermano che l’aumento dei prezzi è stato causato dal changeover, anche se la percentuale è leggermente inferiore a quella dello scorso anno (rispettivamente il 43,3% contro il 45,2%). Risulta in forte ascesa la posizione di coloro che attribuiscono i rincari eccessivi ai mancati controlli da parte delle Polizia annonaria e della Guardia di Finanza (nel 2005 il 16,8%, nel 2006 il 27%).
Mentre, anche quest’anno, circa un italiano su quattro identifica nell’abuso da parte dei commercianti la causa principale dell’aumento dei prezzi.
Sono prevalentemente i cittadini dell’Italia meridionale ad attribuire all’introduzione dell’euro la colpa dell’aumento dei prezzi (nelle Isole il 49,5% e nel Sud il 45,8%), la stessa convinzione risulta molto diffusa anche al Centro (44,1%) e meno avvertita nel Nord-Ovest (37,4%). In questa area geografica circa un intervistato su tre (33,5%) sostiene la tesi che l’aumento dei prezzi sia dipeso da mancati controlli da parte delle Forze di Polizia deputate al controllo, molto simile la percentuale registrata nelle Isole (29,4%). L’accusa ai commercianti di aver abusato con gli arrotondamenti e di aver causato, di conseguenza, l’aumento dei prezzi proviene soprattutto dall’Italia centrale (30,6%) e dal Sud (28,2%).
Riguardo alle aspettative per il futuro, la speranza che i prezzi resteranno stabili non prevale tra le altre prospettive, al contrario di quanto era successo fino allo scorso anno: nel 2003 si registrava il 53,9%, si scende nel 2004 al 47%, al 45,3% nel 2005 e si arriva al 38,5% nel 2006. Al contrario, si rileva una quota molto più consistente (circa dieci punti percentuale in più) tra coloro che prevedono ulteriori incrementi dei prezzi (il 46,2% del 2005 contro il 36,8% dell’anno precedente). Nell’ultimo anno rilevato, solo il 4,5% degli intervistati prevede un decremento dei prezzi, questa percentuale corrispondeva al 5,3% nel 2005, al 6,8% nel 2004 e al 4,1% nel 2003. Altro dato interessante riguarda l’elevato tasso di non risposte registrato (10,7%) che evidenzia il disorientamento dei consumatori italiani nella giungla dei prezzi.
Sono state proposte agli intervistati una serie di situazioni legate alle loro abitudini di consumo, al fine di monitorare lo stile di vita delle famiglie italiane. Emerge una capacità di adattamento al fenomeno inflattivo degli ultimi anni; i consumatori italiani hanno imparato a destreggiarsi tra saldi ed offerte promozionali, tagliando le spese superflue, riducendo i beni non essenziali e privilegiando le spese alimentari. Nello specifico, appare molto frequente la scelta di ridurre le risorse destinate ai regali (“abbastanza” nel 36,5% dei casi e “molto” nel 35,5%) e l’acquisto di prodotti in saldo (il 37,8% lo fa abbastanza spesso). Gli italiani, al contrario, cambiano atteggiamento quando si tratta di acquistare prodotti alimentari (soprattutto in considerazione dei recenti scandali su alcuni alimenti) e se il 28,2% dichiara di essere molto propenso a cambiare marca di un prodotto se più conveniente, un altro 17,6% afferma di non prendere assolutamente in considerazione questa possibilità. Si verifica un’ambivalenza simile quando si affronta la questione dei discount: il 31,3% si rivolge molto frequentemente a questa tipologia di distribuzione, mentre il 20,6% non ha mai ricercato punti vendita alimentari più economici. I grandi magazzini e gli outlet allettano i consumatori quando si tratta di acquistare capi di abbigliamento, questo tipo di merce viene acquistata “molto” o “abbastanza” spesso (rispettivamente il 36,3% e il 39,1%) dagli italiani nei punti vendita più convenienti. Per quanto riguarda le spese destinate ai viaggi e al tempo libero si evidenziano comportamenti contrastanti: ben il 37,9% degli intervistati ha tagliato drasticamente i viaggi, ma il 18,6% afferma di non aver avuto alcuna necessità di questo tipo. Per quanto riguarda il tempo libero, il 27,8% degli intervistati afferma di essere stato costretto ad annullare le spese per le attività ricreative, ma circa un cittadino su quattro afferma di non aver modificato minimamente le proprie abitudini. Oltre la metà del campione (58,2%) afferma che, ad un certo punto del mese, incontra difficoltà a far quadrare il proprio bilancio familiare, in modo “abbastanza” pesante nel 38,5% dei casi e in maniera “molto” più preoccupante nel 19,7%. Al contrario, il 14,6% degli intervistati afferma di non avere alcun problema nella gestione delle finanze familiari e circa un cittadino su quattro dichiara di tirare un pò la cinghia all’albeggiare della quarta settimana. Il settore che risulta più penalizzato dai tagli dei nostri consumatori risulta quello della ristorazione: complessivamente il 66,2% (sommando coloro che hanno ridotto “abbastanza” o “molto” le spese per i pasti fuori casa) rinuncia a pizzerie e ristoranti; solo il 16,7% non dice mai di no all’occasione di gustare un pasto fuori casa e il 12,2% ha imposto qualche limite alle uscite culinarie.
Ma chi sono coloro che hanno imposto i tagli più ingenti alle spese familiari? E dove risiedono?
La contrazione per la spesa dei regali si è registrata soprattutto nell’Italia meridionale: l’82,8% dei residenti nelle Isole e il 74,6% del Sud ha adottato “abbastanza” o “molto” questi tagli nell’economia domestica. Comportamento di segno inverso nel Nord-Est, dove circa un intervistato su tre (32,3% esattamente) ha ridotto in maniera limitata le risorse economiche destinate ai regali.
Lo zig-zag delle offerte più convenienti per i prodotti alimentari si concentra prevalentemente nel Sud dell’Italia, dove complessivamente il 72,1% degli intervistati afferma di aver ricercato “abbastanza” o “molto” i punti vendita più economici. Nel Nord-Ovest, si registra la percentuale più contenuta (61,1%) che adotta questa strategia di acquisto, molto simile la quota dei residenti nel Nord-Est (62,5%).
I residenti nell’Italia meridionale sono stati maggiormente costretti a rinunciare ai viaggi: nelle Isole il 75,4% degli intervistati e nel Sud il 68,4% tagliano le spese per vacanze. Nel Settentrione, invece, è meno frequente la contrazione delle spese destinate ai viaggi. Riguardo al bilancio economico, sono costretti a stringere di più la cinghia le famiglie del Meridione: esattamente il 67,6% delle famiglie del Sud incontra abbastanza o molte difficoltà per arrivare a fine mese e vive la stessa situazione il 65,6% dei residenti nell’Italia insulare. Da notare che nell’Italia settentrionale le condizioni economiche risultano molto più equilibrate: gli intervistati si dividono equamente tra coloro che soffrono alla quarta settimana e coloro che non hanno problemi. Le occasioni di consumare pasti fuori casa risultano notevolmente ridotte per i residenti nel Meridione: esattamente il 77% degli abitanti nelle Isole afferma di dover rinunciare “abbastanza” o “molto” a ristorante e pizzeria, denunciano le stesse difficoltà gli intervistati del Sud (70,9%). Al contrario, nell’Italia centrale e nel Nord-Ovest circa un residente su tre (rispettivamente il 36,2% e il 34%) dichiara di limitare poco o per niente i pasti fuori casa. Molte persone, dunque, per far quadrare il proprio bilancio familiare, hanno limitato lo spazio dedicato al tempo libero e/o rinunciato a ristoranti e pizzerie.
Ma in che modo hanno modificato le loro abitudini e il proprio stile di vita?
Dai risultati emerge che le ristrettezze economiche hanno notevolmente inciso sulle modalità di trascorrere il tempo libero da parte delle persone intervistate che, malgrado le difficoltà, riescono a fare di vizio virtù dedicando più tempo alla lettura e alla cura degli affetti (81,8%). Quindi, gli italiani pur limitando fortemente le uscite fuori casa (nel 74,4% dei casi) non rinunciano a soddisfare i bisogni di socialità e di scambio insiti nella natura umana, approfittando più frequentemente di inviti presso parenti o genitori (51,1%) oppure organizzando cene a casa di amici (73,1%). Inoltre, se il cinema costa troppo, non c’è problema, la sala cinematografica si trasferisce nel salotto di casa, affittando film in dvd o videocassetta (63%). Oppure, se non si ha più la possibilità di andare allo stadio, perché rinunciare alle emozioni che solo la squadra del cuore può dare? La soluzione è presto trovata nella pay tv (50,4%) che consente di guardare la partita in televisione, magari in compagnia degli amici. In sintesi, quando si raggiunge un certo tenore di vita ed alcune abitudini si consolidano nel tempo, le rinunce scottano troppo e si cerca allora di trovare una scappatoia che sia soddisfacente. In tempi di crisi, limitare le uscite fuori casa diventa una esigenza per tutti, anche se ai giovani questo risulta leggermente più difficile. Sono proprio coloro che hanno un’età compresa tra 18 e 24 anni a dimostrare una minore propensione a ridurre le uscite (64,3%), mentre dichiarano di fare molti sacrifici in questo senso coloro che si collocano nelle classi di età centrali (il 78,2% di coloro che hanno tra 45-64 anni e il 76,1% dei 35-44enni). La variabile anagrafica spiega questo andamento dei dati per due motivi: sono più numerose le sollecitazioni e il desiderio di evasione dei giovani e, al tempo stesso, le persone più mature mettono le proprie esigenze in secondo piano, rispetto alle richieste dei figli. L’abitudine di sostituire i pasti fuori casa con cene a casa tra amici si è diffusa prevalentemente nel Meridione: sia nel Sud che nelle Isole la percentuale si aggira intorno al 77%, contro il 73,1% del dato medio. Nel Nord-Ovest si registra una percentuale leggermente inferiore che si è organizzata in questo senso (76,2%), mentre al Centro si rileva una minore propensione (64,7%) a questa alternativa.
Gli amanti del cinema sono sicuramente i giovani che, pur non potendo permettersi i film in prima visione, affittano frequentemente film in cassetta/dvd: si comporta in questo modo il 70,4% dei giovanissimi e il 71,6% di coloro che hanno un’età compresa tra 25 e 34 anni. Tra gli ultrassesantacinquenni solo un intervistato su due (50,8%) dichiara di sostituire il cinema con l’home-teatre.