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Tante ragioni per aprire una nuova stagione politica in Basilicata

Un conato di conventìo ad excludendum? L’Unione, se non vuole presentarsi mutilata, deve impegnarsi, a Roma e nei tenitori interessati, a superare quell’anomalia. So che non è facile né indolore, perché, parlo per la Basilicata, bisogna mutare modi di pensare e praticare la politica e il potere. E non per un prurito di predicare agli altri “il Bene” (questo sarebbe moralismo), che francamente non avvertiamo, ma per rispondere a un principio di responsabilità che deve impegnare innanzitutto noi (questa è l’etica) e per dare ascolto alla domanda di un’alta qualità delle relazioni nella società, con il lavoro, con la natura, con le istituzioni (questa è l’altra politica).

Una tale forma dell’agire pubblico, che dovrebbe appartenere alla condotta ordinaria delle classi dirigenti, in Basilicata si presenta con il carattere di un autaut, con l’urgenza di un atto di salvezza. Il destino e la Storia hanno collocato e spinto questa regione sull’orlo di una ricorrente crisi identitaria. La resistenza millenaria alle invasioni, alle minacce della natura, delle malattie, della precarietà è impressa nelle pietre e nel linguaggio, nel paesaggio e nell’indole. Ha prodotto documenti come i Sassi Barisano e Caveoso. In quegli spazi brevi si istituiva un’originaria coscienza sociale e la solidarietà si faceva dura come il tufo dei ballatoi e dei tuguri che abitava e in cui operava anche in compagnia di rancori e tradimenti. Stretta tra regioni più forti è nel vivo di processi di globalizzazione che spingono alla esclusione e/o alla colonizzazione (l’Eni, la Coca Cola, la Fiat, e altri sono già presenti nella regione) anche da parte di forze criminali, la Basilicata corre il rischio di perdere la sua autonomia e di vivere per conto terzi.

La rappresentanza nazionale della nostra regione è stata opera, fino agli anni quaranta del secolo scorso, del brigantaggio, dei terremoti, delle frane, dell’emigrazione, in seguito a tali eventi, secondo Francesco Saverio Nitti, si sarebbero verificate le più significative trasformazioni. Come sottolineava Gramsci, contava in Italia e in Europa il ruolo dei suoi grandi intellettuali: Giustino Fortunato, Nitti, Ciccotti, i suoi poeti da Orazio a quelli che ci sono stati e ci sono contemporanei.

Il popolo lucano è entrato a pieno titolo nella Storia nazionale quando, con la lotta per la terra nella seconda metà degli anni quaranta, ha assunto un ruolo da protagonista nella difficile transizione meridionale
dal fascismo alla democrazia repubblicana e nello scontro volto a mutare gli assetti sociali e di potete facendo leva sulla rottura del blocco agrario. La risposta dei governi centristi di allora fu moderata e spesso duramente repressiva (gli eccidi di Melissa, Montescaglioso, Torremaggiore) e la nostra gente si sparse e sperse per il mondo. Poi vennero le lotte degli anni sessanta per un’industrializzazione gregaria e senza destino, le vertenze reali del “febbraio lucano” del 1970-71, che fecero da sfondo alla formazione di uno Statuto regionale partecipativo. Al¬l’alba del XXI secolo i forti movimenti di Melfi, Scanzano, Rapolla sono intervenuti nelle grandi contraddizioni e nelle degradanti manipolazioni del nostro tempo: la quantità dello sviluppo contro la qualità delle relazioni tra gli individui umani e con la natura, il lavoro senza rappresentanza, l’arbitrio come necessità per la sicurezza, la disuguaglianza come contenuto della libertà, lo sfruttamento come legge del mercato e quindi di natura. Insomma la Basilicata ha pesato molto quando ha pesato molto il suo popolo e, nel suo corpo, le classi subalterne. Cioè quando si è vivificata la democrazia, attivata la partecipazione. Quando, in questo modo, è riuscita a fare della marginalità non un luogo residuale, ma una frontiera da cui elaborare e praticare l’oltre, il superamento della residualità.

Oggi più di ieri il ruolo, il peso, l’avanzamento civile della Basilicata sono strettamente legati alla capacità autorappresentativa, all’autonomia individuale e collettiva, al grado di partecipazione consapevole che si sa raccogliere e promuovere. Assistiamo purtroppo al prevalere di interessi esclusivamente particolari e al ritorno di un feroce doroteismo. Riteniamo quanto mai deprimente, in questa congiuntura, un rapporto tra classi dirigenti e società che porti quei segni. Ecco perché il Prc sente l’esigenza di porre e praticare questo punto dì vista nel governo regionale. Senza pretese rniracolistiche e senza, però, la resa al corso inerte delle cose. Siamo convinti di dover porre una sfida a noi prima che agli altri, perché la coerenza è difficile, comporta sacrifici per tutti. In una piccola regione, certo, è più facile il controllo sui cittadini, ma anche la democrazia assume un valore più immediatamente produttivo: il controllo dei cittadini diventa più efficace di qualsiasi taglio e accresce la produttività economica e sociale degli investimenti più di qualsiasi intervento burocratico. Ci sono ragioni sufficienti per aprire una nuova stagione politica.