Gli ultimi mesi hanno portato al centro del dibattito pubblico e istituzionale la scarsa presenza delle donne in politica. Il tema si affianca a quello, più generale, sulle pari opportunità, ed ha portato ad interrogarsi sugli elementi che possono fornire effettiva sostanza a tale principio. Quali cambiamenti sociali e culturali possono concorrere al una maggiore rappresentanza femminile in politica e nella società? I provvedimenti legislativi sono in grado di favorire una maggiore presenza delle donne in politica? Le pari opportunità possono essere imposte per legge? Eurispes ha voluto porre tali interrogativi ad un campione di 1.070 cittadini, rappresentativi della popolazione italiana maggiorenne distinta per sesso, età ed area geografica. Appena l’8,3% del campione ritiene che le donne siano già sufficientemente rappresentate e che pertanto non sia necessario favorirne una maggiore presenza, con lievi differenze tra donne e uomini; al contrario, l’area politica di riferimento risulta essere significativa nel rispondere alla domanda. La percentuale di quanti non giudicano necessari interventi a favore della femminilizzazione della politica, pari al 3% tra gli elettori di sinistra e al 3,7% tra quelli del centro-sinistra, sale al 6,6% tra gli intervistati politicamente orientati al centro e raggiunge i valori più elevati tra gli elettori di centro-destra (17,2%) e di destra (al 20,6%). Quasi nessuno degli intervistati ritiene dunque le donne già sufficientemente rappresentate in politica. Invece il campione si spacca rispetto alle capacità che le donne devono dimostrare di avere per affermarsi in questo campo. Invitati, infatti, ad esprimere il proprio grado di accordo con l’affermazione secondo cui una donna per affermarsi in politica deve dimostrare di essere molto più brava rispetto ad un uomo, gli intervistati si dividono tra coloro, il 50,7%, che si dichiarano poco o per niente d’accordo e quanti, il 48,3%, si dicono al contrario abbastanza o del tutto d’accordo. Lo 0,9%, diversamente, non ha voluto o saputo esprimere la propria opinione al riguardo. Tra gli uomini prevale il disaccordo verso questa affermazione (infatti si dicono poco o per niente d’accordo nel 54,1% dei casi, abbastanza o del tutto d’accordo nel 45%). Al contrario, all’interno della componente femminile l’idea che una donna per affermarsi in politica debba dimostrare di essere molto più brava di un uomo trova un consenso maggioritario (51,4%); tuttavia, una significativa minoranza di donne, il 47,7%, esprime il proprio disaccordo. È dunque la difficoltà di ingresso in politica a preoccupare le donne, più che la capacità di affermarsi in questo campo. In relazione all’area politica di riferimento, è possibile evidenziare che la percentuale di quanti si dichiarano abbastanza o del tutto d’accordo con l’idea secondo la quale una donna per affermarsi in politica debba dimostrare di essere molto più brava rispetto ad un uomo, pari a circa il 52% tra gli intervistati di sinistra e centro-sinistra, sia minoritaria tra gli elettori di differente orientamento. Sono infatti poco o per niente d’accordo il 54,5% degli intervistati di centro-destra, il 55,8% di quelli di centro ed il 60,3% degli elettori di destra. La distribuzione dei dati per classe d’età consente infine di sottolineare come l’idea in base alla quale una donna per affermarsi in politica debba dimostrare di essere molto più brava rispetto ad un uomo, condivisa abbastanza o del tutto da oltre la metà degli intervistati tra i 25 e i 44 anni, è ritenuta poco o per niente veritiera da una quota maggioritaria di giovanissmi (57,8%) e da oltre la metà degli over 44. Agli intervistati è stato chiesto di esprimere la propria opinione in merito alle ragioni sottese alla scarsa presenza delle donne in politica. La maggioranza del campione (il 54%) ritiene che le donne in politica siano discriminate. Ad essi si aggiungono quanti (il 21,9%) attribuiscono la mancata presenza di un numero consistente di donne in politica alla difficoltà di conciliare un impegno di questo genere con i carichi familiari e professionali: le donne, dunque, secondo questi intervistati, non sono discriminate in modo intenzionale ma di fatto, in quanto la distribuzione di ruoli tra i due generi ne ostacola concretamente l’ingresso in politica. Decisamente meno diffusa l’opinione che ritiene la totalità delle donne non interessata alla politica (11,5%), così come quella di quanti ritengono il genere femminile scarsamente preparato (7,4%).
Donne discriminate? L’analisi dei dati per sesso consente di rilevare un certo grado di accordo tra i due generi in merito alle ragioni della scarsa presenza delle donne in politica. È possibile osservare, infatti, come la percentuale di quanti ritengono che in questo campo esista una discriminazione verso le donne, pari al 57% tra la componente femminile del campione, resti maggioritaria anche tra gli uomini (50,8%). Inoltre, la loro esigua presenza è attribuita alla difficoltà di conciliare l’impegno politico con i carichi familiari e professionali dal 21,6% degli uomini, una percentuale solo leggermente inferiore a quella femminile (22,1%). Anche l’opinione che le donne in politica siano poche perché non sufficientemente preparate o per via di una loro generale mancanza di interesse è condivisa da una percentuale molto simile di uomini e donne (pari, rispettivamente, al 19,9% e al 18%). Nel complesso, dunque, non emerge un pensiero pregiudizioso da parte degli uomini nei confronti della presenza femminile in politica. Sono le stesse interessate, seppur in una minoranza di casi, a sentirsi poco preparate e/o interessate. Se esiste, il pregiudizio verso la presenza femminile in politica investe le donne tanto quanto gli uomini. In relazione all’area politica di riferimento, è possibile evidenziare come la scarsa presenza femminile in politica sia attribuita al fatto che le donne in questo campo sono discriminate dalla maggioranza degli intervistati di centro-sinistra (63,6%) e sinistra (62,8%); lo stesso convincimento esprimono, sebbene in misura minore, quanti non si identificano in un determinato schieramento politico (55,4%) o si collocano al centro (54,1%). A destra e al centro-destra, diversamente, la quota di quanti abbracciano questa spiegazione, pur maggioritaria, scende, rispettivamente, al 44,1% e al 36,9%. Tra gli intervistati di centro-destra, in particolare, trova un consenso significativo l’opinione secondo cui la scarsa presenza femminile in politica derivi dal fatto che le donne non sono interessate (19,7%) o non sono sufficientemente preparate (15,6%): queste due ragioni sono addotte, nel complesso, da oltre il 35% degli intervistati appartenenti a questa area politica, mentre hanno scarso seguito soprattutto tra gli elettori di sinistra (9,8% delle risposte complessive). Infine l’idea che le donne siano poche perché già troppo impegnate a conciliare casa e lavoro è diffusa soprattutto tra gli elettori di centro, che la sposano nel 29,5% dei casi (contro una media del 21,9%). Lo scorporo dei dati per classe d’età consente di rilevare una maggiore tendenza da parte dei giovanissimi (18-24 anni) ad attribuire la scarsa presenza delle donne in politica ad una mancanza di interesse delle dirette interessate (16,5% delle risposte, 5 punti percentuali sopra il dato medio). Tra gli intervistati ultra 64enni, al contrario, è possibile registrare un consenso superiore alla media verso l’opinione che vuole le donne assenti dalla politica perché non sufficientemente preparate (10,5%, contro il 4,6% dei giovanissimi).
Donne acrobate. Inoltre, bisogna sottolineare che l’alta percentuale di intervistati appartenenti alla fascia centrale d’età (35-44 anni), attribuiscono la scarsa presenza femminile in politica alla difficoltà di conciliare l’impegno politico con la casa e il lavoro: essi sono ben il 30,8%, circa 9 punti percentuali in più rispetto alla media. Le acrobazie fatte dalle donne nella vita quotidiana per armonizzare le diverse attività sono dunque avvertite da questa classe d’età come l’ostacolo più rilevante ad una partecipazione attiva alla politica, in misura molto superiore rispetto a quanto è stato affermato dai più giovani (11%), probabilmente costretti in misura minore ad affrontare questi problemi. È invece tra di essi che è maggiormente diffusa l’opinione che le donne in politica siano discriminate (62,4% delle risposte, contro una media del 54%).
“Quote rosa”. Il secondo quesito concerne le cosiddette “quote rosa” in base alle quali, secondo quanto proposto a livello legislativo, una quota minima di candidati al Parlamento dovrebbe essere riservata alle donne. Ebbene, due intervistati su tre si dicono favorevoli all’introduzione delle quote poichè ritengono che l’imposizione per legge di un determinato numero di posti riservati alle donne sia l’unico modo di garantire una certa presenza femminile in politica. Il 16,1%, diversamente, esprime il proprio disaccordo verso la loro introduzione, in quanto è dell’opinione che le donne debbano conquistarsi le cariche pubbliche al pari degli uomini. Il 14%, infine, è sfavorevole perché ritiene che non sia attraverso un’imposizione di tipo legislativo che si possono creare le pari opportunità e che queste vadano perseguite creando le condizioni che possano assicurare alle donne un’effettiva partecipazione alla vita pubblica. Sono le donne ad esprimere maggiore consenso verso le quote rosa: il 67,8% di esse le considera l’unico modo per garantire la presenza femminile in politica, a fronte di un dato maschile del 65,4%. Tra gli uomini, invece, è più elevata la percentuale di quanti esprimono la propria contrarietà verso l’introduzione delle quote in quanto ritengono che le pari opportunità si ottengano solo creando le condizioni per un’effettiva partecipazione delle donne alla vita pubblica (15,6%, contro un dato femminile del 12,6%). È plausibile pensare che le donne siano più scettiche rispetto alla possibilità di un cambiamento strutturale, stanche in qualche modo di aspettare le condizioni che possano garantire loro la possibilità di avere effettivamente le stesse opportunità degli uomini di dedicarsi alla politica. In relazione all’area politica di riferimento, il consenso verso l’introduzione delle quote rosa, maggioritario in maniera trasversale ai diversi orientamenti, registra i valori più elevati tra gli intervistati di centro-sinistra (74,7%) e di centro (73,8%), i quali individuano in questo strumento l’unico modo per garantire la presenza delle donne in politica. La quota di favorevoli, pari 62,2% tra gli intervistati di sinistra, scende al 61,8% tra quanti non sono politicamente schierati ed al 60,3% tra gli elettori di destra, tra i quali è piuttosto elevata la quota di coloro che non hanno un’opinione precisa in merito (8,8%). Si dichiarano contrari all’introduzione delle quote soprattutto gli intervistati di centro-destra (41%) e di sinistra (36,6%). Nello specifico, il 23,8% dei primi ed il 17,7% dei secondi sono sfavorevoli poichè ritengono che le pari opportunità si ottengano solo creando le condizioni che possano consentire alle donne un’effettiva partecipazione alla vita pubblica; diversamente, il 17,2% degli elettori di centro-destra ed il 18,9% di quelli di sinistra si dichiarano contrari perché reputano che le donne debbano conquistarsi le cariche pubbliche al pari degli uomini. Il favore mostrato nei confronti delle quote rosa, quale unico strumento per garantire la presenza femminile in politica, ha i maggiori sostenitori tra gli intervistati tra i 25 e i 34 anni (77,5%), seguiti dalle classi d’età estreme, ovvero gli ultra 64enni (70,9%) e gli under 25 (65,1%). Appaiono più scettici verso l’introduzione di un provvedimento legislativo che imponga una certa presenza femminile tra i candidati al Parlamento, gli interpellati appartenenti alle classi 35-44 anni (tra cui il consenso verso le quote rosa scende al 62,1%) e 45-64 anni (60%), sebbene per motivazioni tendenzialmente differenti. I primi infatti ritengono in misura significativamente più elevata rispetto alla media (20,5%, contro il 14%) che le pari opportunità si ottengano solo creando le condizioni che consentano alle donne un’effettiva partecipazione alla vita pubblica (si ricordi che è la stessa classe che avverte maggiormente gli ostacoli derivanti dai problemi di conciliazione). I secondi, come osservato anche tra i più giovani, spiegano la propria contrarietà alle quote rosa soprattutto col fatto che le donne debbano conquistarsi le cariche pubbliche al pari degli uomini (oltre il 21% delle risposte, a fronte di un dato medio pari al 16,1%). La maggioranza degli intervistati, dunque, è favorevole all’introduzione delle quote rosa, ma il campione è ben lontano dall’individuare in questo strumento legislativo la soluzione al problema delle pari opportunità. Per la maggioranza degli intervistati (il 62,9%) “una legge sulle quote rosa è solo l’inizio per creare pari opportunità tra i sessi in ogni ambito”. I 3/4 del campione (il 74,1%) si dice abbastanza (32,4%) o del tutto d’accordo (41,7%) con la necessità di promuovere un organico sistema di azioni che possano favorire una maggiore partecipazione delle donne alla vita pubblica (misure di conciliazione, ad esempio). Sono ancora una volta le donne a considerare con maggiore favore una eventuale legge sulle quote rosa: il 67,1% di esse, contro il 58,4% degli uomini, si ritiene infatti abbastanza o del tutto d’accordo con l’opinione in base alla quale il provvedimento legislativo rappresenterebbe solo l’inizio per creare pari opportunità tra i sessi in ogni ambito. Prevale comunque, in entrambi i generi, la convinzione che per garantire pari opportunità in politica siano necessarie azioni di più ampio respiro. Infatti il 73,2% delle donne ed il 75,1% degli uomini si dichiarano abbastanza o del tutto d’accordo con l’affermazione che una legge sulle quote da sola è sbagliata e che occorra promuovere azioni che possano favorire una maggiore partecipazione delle donne alla vita pubblica. L’analisi dei dati per area politica di riferimento consente di osservare che una legge sulle quote rosa sarebbe considerata solo l’inizio per creare pari opportunità tra i sessi in ogni ambito soprattutto dagli elettori di centro-sinistra e da quanti non hanno uno specifico orientamento politico (entrambi abbastanza o molto d’accordo in oltre il 65% dei casi). L’analisi per singola modalità di risposta rileva, tuttavia, come il pieno consenso verso l’introduzione delle quote rosa provenga prevalentemente dagli intervistati di sinistra, del tutto d’accordo nell’affermare che un provvedimento del genere potrebbe innescare un circolo virtuoso di pari opportunità in ben il 41,5% dei casi (contro il 26,2% registrato tra gli elettori di centro-destra). Poco o per niente d’accordo il 42,7% degli intervistati collocati al centro degli schieramenti politici, seguiti da quelli di centro-destra (38,6%) e destra (38,2%). L’affermazione “Una legge sulle quote rosa da sola è sbagliata, andrebbero invece promosse azioni che possano favorire una maggiore partecipazione delle donne alla vita pubblica (misure di conciliazione famiglia lavoro, più asili nido, maggiore ripartizione dei carichi familiari tra i due sessi, ecc)”, è pienamente condivisa dagli intervistati di tutte le aree politiche; tuttavia è più diffusa tra quanti si collocano a sinistra o a destra (abbastanza o del tutto d’accordo in circa 4 casi su 5), mentre registra una quota di consensi minore tra gli elettori di centro-destra, poco o per niente d’accordo nel 29,5% dei casi. Ottimismo sul fatto che una legge sulle quote rosa possa favorire, in materia di pari opportunità, un circolo virtuoso è espresso da una percentuale di intervistati variabile dal 73,5% dei 25-34enni al 56,9% della classe d’età successiva. Ancora una volta, dunque, quanti attraversano la fase centrale della propria vita (i 35-44enni), mostrano di “non farsi incantare”: il loro favore verso le quote, senz’altro maggioritario, rimane condizionato al fatto che il provvedimento sia parte integrante di un organico sistema di azioni che possano fornire effettiva sostanza al principio delle pari opportunità. Quanto si è affermato poc’anzi è confermato dal dato relativo al consenso espresso dalla classe centrale d’età verso la necessità di promuovere azioni che possano favorire una maggiore partecipazione delle donne alla vita pubblica: si dichiarano infatti abbastanza (24,6%) o del tutto d’accordo (57,4%) oltre l’82% dei 35-44enni, contro il 57,8% dei giovanissimi, maggiormente fiduciosi nella capacità di questo strumento legislativo di promuovere lo sviluppo delle pari opportunità.
“Pari Opportunità”. Ma quale significato danno gli intervistati all’espressione “pari opportunità”? Solo il 17,5% ritiene significhi “riservare a uomini e donne lo stesso numero di posti in ogni ambito”, considerando dunque il problema delle pari opportunità meramente quantitativo. Per una quota maggioritaria del campione – il 43,7% – “pari opportunità” significa invece riservare a donne e uomini lo stesso trattamento. Infine, per una minoranza significativa di intervistati (il 37,1%), l’espressione rimanda ad un significato più ampio e complesso, relativo alla “libertà di scegliere il proprio posto nella società, senza ostacoli derivanti dal sesso”. Per costoro, fornire sostanza al concetto di pari opportunità è dunque operazione ben più complessa rispetto alla emanazione legislativa di provvedimenti finalizzati a riservare a uomini e donne lo stesso numero di posti in ciascun ambito. Tra gli uomini trova maggiore diffusione una concezione in qualche modo “formale” delle pari opportunità. Per il 44,6%, infatti, contro il 43% delle donne, esse consistono nel riservare ad entrambi i generi lo stesso trattamento, mentre per il 18,5% (a fronte di un dato femminile del 16,5%) significa riservare lo stesso numero di posti in ogni ambito. Tra la componente femminile del campione è invece più diffusa l’opinione che l’espressione “pari opportunità” rimandi alla possibilità di scegliere il proprio posto nella società, senza ostacoli derivanti dal sesso (la pensano così nel 39% dei casi, a fronte di un dato maschile pari al 35%). In relazione all’area politica di riferimento, tra gli elettori di sinistra e centro-sinistra prevale l’idea che le pari opportunità consistano nella libertà di scegliere il proprio posto nella società, senza ostacoli derivanti dal sesso, opinione abbracciata, rispettivamente, dal 41,5% e dal 41% degli intervistati appartenenti a questi orientamenti. Diversamente, tra quanti fanno riferimento ad un’altra area politica oppure non hanno una collocazione politica definita prevale l’idea che l’espressione significhi riservare a uomini e donne lo stesso trattamento (condivisa da una percentuale di interpellati variabile dal 44,3% al 45,9%). Il titolo di studio risulta essere particolarmente significativo in rapporto al significato attribuito all’espressione “pari opportunità”. Al crescere del titolo di studio aumenta la percentuale di quanti intendono l’espressione come la libertà di scegliere il proprio posto nella società, senza ostacoli derivanti dal sesso, che sale dal 24% tra gli intervistati in possesso della licenza elementare al 47,9% tra i laureati e quanti hanno conseguito una specializzazione post-laurea. Al contrario, l’idea che pari opportunità significhi riservare ad entrambi i generi lo stesso trattamento è diffusa soprattutto tra coloro che hanno un basso titolo di studio, licenza elementare (54,4%) o media (48,1%), mentre è condivisa da una quota minore di intervistati sia tra i diplomati (41,2%) che, soprattutto, tra i laureati (32,7%). La stragrande maggioranza del campione (poco meno di 7 intervistati su dieci) ritiene necessario un cambiamento di tipo socio-culturale. Il 69,8%, infatti, è dell’idea che la femminilizzazione della politica sarebbe favorita da una migliore ripartizione delle responsabilità familiari tra i due sessi, dunque intervenendo sugli ostacoli che impediscono o rendono difficoltosa la partecipazione delle donne alla vita pubblica. Gli uomini, prontissimi a sostenere che le pari opportunità in politica si ottengono solo creando le condizioni per un’effettiva partecipazione delle donne alla vita pubblica, sono poi un po’ meno propensi a sostenere che una maggiore presenza di donne in politica potrebbe essere favorita da una migliore ripartizione delle responsabilità familiari tra i due generi. Si dichiara scettico a tal proposito il 26,5% degli uomini, contro il 22,5% delle donne. Tra le dirette interessate, infatti, ben il 73,2% ritiene che una migliore distribuzione dei carichi familiari potrebbe agevolare la presenza femminile in politica. Tra gli uomini, il dato scende al 66,1%. La percentuale di quanti ritengono che una migliore distribuzione delle responsabilità familiari tra i sessi potrebbe favorire una maggiore presenza delle donne in politica, maggioritaria tra gli intervistati di tutti gli orientamenti politici, è più elevata tra gli elettori di sinistra (75%) e di centro (73,8%), seguiti dagli intervistati di centro-sinistra (72,8%); invece scende al 69,7% tra gli elettori di centro-destra e al 52,9% tra quelli di destra. L’ottimismo verso la capacità di una migliore distribuzione dei carichi familiari tra i sessi di favorire una maggiore presenza delle donne in politica è trasversale a tutte le classi d’età, ma registra maggiore diffusione tra gli over 44, che si dicono fiduciosi nel 73,8% dei casi. Concludendo, le quote rosa sono considerate favorevolmente dal campione, in quanto strumento in grado di contrastare quello scarto tra uguaglianza formale e reale che impedisce alle donne di partecipare attivamente al governo della cosa pubblica e di svolgere ruoli di potere. Al contempo, l’indagine rileva come per questi intervistati fornire effettiva sostanza al principio delle pari opportunità sia operazione ben più complessa, legata alla rimozione di quegli ostacoli che di fatto impediscono l’ingresso delle donne in politica. In particolare, le acrobazie che le donne devono fare quotidianamente per conciliare la molteplicità di ruoli da cui sono investite sono avvertite, soprattutto dalla classe centrale d’età (35-44 anni), come l’ostacolo più rilevante ad una partecipazione attiva alla politica.