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Pollino: intervista al professor Vincenzo Celano su natura e caccia

[Articolo di Carmela Grisolia]

Istintivamente, tutti gli animali cacciano e anche l’uomo, prima impulsivamente e poi per altre motivazioni quali per esempio la ricerca del cibo e la difesa dagli animali feroci, si è dedicato alla caccia. Il comportamento venatorio ha subito e subisce una continua evoluzione e quelle che alcuni millenni or sono potevano giustificarsi come motivazioni istintive di sopravvivenza non disgiunte da una naturale ferocia, si trasformano e si sublimano nel tempo in attività competitive, quasi un gioco tra predatore e preda, si identificano e si qualificano secondo i momenti storici in cui avvengono. Così la caccia è spesso anche lo specchio di un determinato periodo storico, le manifestazioni esteriori che la qualificano sono anche messaggio e rivelazione del comportamento interiore e del modo di essere dell’uomo in quel determinato periodo.

Tra mille polemiche e discussioni, anche per quest’ anno si è dato il via alla stagione della caccia. A darmi la sua opinione, un naturalista con la passione della caccia che con la sua arte scrittoria ricopre un ruolo di fama nazionale nel mondo cinegetico, il Professor Vincenzo Celano che, nonostante i suoi numerosi impegni socio-culturali ( tra l’altro regia teatrale dialettale e recupero e rilancio delle tradizioni popolari), ha molto a cuore i problemi ambientali del luogo in cui vive.

Professor Celano, oggi quali valori vengono attribuiti alla caccia e quali sono le leggi a  salvaguardia della fauna?
La caccia è regolamentata dalla legge n° 157 dell’11 febbraio 1992 che ha per  titolo “norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e il prelievo venatorio”. Il prelievo venatorio è secondario alla protezione della fauna. D’altra parte, un corretto uso del prelievo venatorio passa prima per la conservazione e la coltivazione di ambiente e fauna. Non si preleva il capitale ma si utilizzano gli interessi prodotti da un certo capitale che si chiama appunto ambiente e fauna. La caccia si pratica secondo regole molto precise, prelevando specie limitate di animali. Inoltre, la legge 157 prevede che questi prelievi avvengano nel pieno rispetto del ciclo biologico delle specie, perché ognuna ha il suo ciclo biologico (riproduzione,crescita etc.). Ci sono alcune specie che devono maturare di più poiché i nidiacei e i figli di questi animali devono crescere, diventare adulti per essere in grado di difendersi. E’ per questo motivo che non sono d’accordo con una apertura anticipata della stagione della caccia. L’apertura al 3 settembre è ipotizzabile per la quaglia, il colombaccio, la tortora, altri uccelli migratori previsti dalla legge. Non è certamente razionale aprire la caccia alla starna, alla lepre o alla pernice, cioè agli animali stanziali, quelli che non migrano e sono sul territorio. A questi, bisognerebbe dare più tempo e adottare la caccia differenziata per specie. Secondo me, la regione Basilicata, emanando questo calendario, ha commesso un errore. Questo sta a significare che probabilmente l’Assessorato demandato a tale funzione dovrebbe farsi supportare da tecnici esperti che possono suggerire un calendario venatorio più razionale. L’attività venatoria, oggi, si giustifica soltanto se a monte c’è una conservazione degli habitat e della fauna a prescindere da quelle che sono le reazioni emotive e le ideologie oltranziste di taluni.. Sicuramente il maiale, il vitello, le galline o gli agnelli  non sono contenti di morire solo perché devono nutrire me, così come non è contento un fagiano che è allo stato selvatico. Quindi non vedo quale differenza ci sia nel  cibarsi di un fagiano o di un pollo. Se non dobbiamo dare la morte, allora dobbiamo evitare tutti di ingerire proteina animale.

Quindi la caccia anche come gestione dell’ambiente?
Naturalmente. Coloro che hanno la responsabilità di gestire le aree protette, per esempio i Parchi o altre istituzioni ambientali affini, dovrebbero servirsi di quella parte dei cacciatori più avvertita e matura e della loro grande esperienza, della conoscenza degli animali per monitorare gli stessi e lo stato degli habitat, anziché guardarli  tutti come dei potenziali bracconieri. C’è una grossa differenza tra bracconieri e cacciatori. Non si può mettere sullo stesso piano chi va in banca per fare delle normali operazioni e chi ci va per fare delle rapine. Chi si comporta lecitamente è  un cittadino onesto e, pertanto non deve essere sanzionato ne perseguitato; il rapinatore va arrestato e contrastato. Il bracconiere, che è un ladro di fauna,  si inserisce in maniera violenta nel sistema faunistico depredando e compromettendo i cicli di riproduzione. Il cacciatore che rispetta le regole fa tutt’altro. Si attiene a un prelievo compatibile, consentito e riconosciuto dalla legge, ma soprattutto osserva una legge interiore che consiglia il calmiere, usando un fucile ragionato e cerca altri valori e sensazioni nell’atto venatorio che non può identificarsi con la sola morte dell’animale. E’ più bello veder lavorare il cane e lasciare a volte che l’animale prosegua libero il suo volo o la sua corsa come inno alla vita. Io ho fatto mia la massima di un cacciatore francese, Pièrre  Malbec, che si muoveva all’insegna del  “cacciare il più possibile uccidendo il meno possibile”. Il cittadino cacciatore è il primo a volere un territorio sano dove la fauna possa riprodursi e conservarsi nel migliore dei modi.

Professore, cosa può fare nello specifico il cittadino-cacciatore per portare ordine e proteggere il Parco del Pollino e quali sono le difficoltà più frequenti che, nella sua esperienza di cacciatore, riscontra nel quotidiano?
Io, sono convinto che il Parco potrebbe essere una grande occasione di conservazione e di miglioria ambientale e anche un’occasione socio-economica se gestito in maniera diversa dall’attuale. La natura non va imbalsamata, lasciata a sé stessa, ma va gestita. E’ per questa ragione che è necessario conoscere a fondo i fenomeni naturali e biochimici  che avvengono in natura e di conseguenza adeguare le misure. Il Parco, non compiendo la funzione a cui è destinato, procura dei danni ambientali oltre che economici a chi vive sul territorio. Da un punto di vista faunistico, per me, ci sono delle grosse lacune. Lasciare, a esempio, che una popolazione di animali non venga controllata e contenuta nei limiti del possibile può risultare deleterio per l’equilibrio e l’esistenza di altre  specie animali e vegetali. Penso ai cinghiali, animali nomadi e invadenti, che col grifo sempre a terra per soddisfare l’incessante ricercare  di cibo compiono delle vere e proprie arature facendo razzia di tutto danneggiando nidiacei di uccelli e piccoli mammiferi con abitudini terricole. La coturnice, che i locali chiamano pernice, nel Pollino rischia l’estinzione perché i cinghiali depredano metodicamente i nidi. Né vanno sottovalutati i danni ingenti arrecati all’agricoltura che amareggiano e disamorano i contadini che finiscono per abbandonare le coltivazioni.
Abbiamo poi il problema serio delle strade. Quando il Parco, dopo moltissimi anni, si è deciso a tabellare i suoi confini ha fatto un’ operazione di basso profilo. Una segnaletica che si rispetti, deve rispondere a determinati criteri. La tabella, su una strada periferica all’area protetta, va posta correttamente sul margine dove finisce realmente il Parco, non sul margine opposto della stessa, perché la strada, nel caso specifico, non è territorio del Parco. I segnali, inoltre, devono essere apposti in modo che dalla tabella  dove io mi trovo, possa vedere le due contigue, questo perché il cittadino possa sempre sapere dove si trova. A proposito di tabellazione c’è un aspetto assai più delicato e grave da considerare, stante il fatto che  nella legge quadro n° 394 all’articolo 11 lettera f stabilisce che nell’area protetta “è vietato l’introduzione da parte di privati di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo di cattura se non autorizzato”. Secondo questa legge, io sarei passibile di sanzione penale nonostante sia abilitato a portare il fucile da una licenza che viene concessa dagli organi di polizia e quindi dallo Stato, nel momento in cui mi trovo a percorrere, per esempio,  la SS19, ora provinciale, con a bordo della mia macchina il fucile da caccia regolarmente scarico e custodito in idonea busta come previsto dalla legge. Preciso che sto parlando di strade che non finiscono nel Parco, ma che sono normalissime vie di transito per tutti. Per questa considerazione ritengo che una tabellazione sì fatta costituisca un illecito in quanto si pone come palese violazione del diritto del cittadino-cacciatore. Molti mesi fa, l’Ambito Territoriale di Caccia (ATC) n° 3, nella cui competenza ricadono molti comuni che confinano con il Parco del Pollino, preso atto di questa preoccupante situazione, su mia proposta, ha adottato un ordine del giorno inviato al Prefetto di Potenza, alla Magistratura, alle Associazioni Venatorie, alla Forestale, all’ Ente Parco Nazionale del Pollino, all’Assessore alla viabilità, alla Regione Basilicata e alla Provincia, ma nessuno si è dato carico di adoperarsi nell’ambito delle proprie competenze, di porre adeguato rimedio. Risulta che l’ufficio preposto del Parco ha elaborato un regolamento diretto a disciplinare il transito dei titolari di licenza di caccia per le strade che attraversano o limitano il territorio protetto, ma a tutt’oggi tale regolamento non risulta operante perché l’Ente Parco Nazionale del Pollino non si è preoccupato di approvarlo. Questo anche è un comportamento di un Parco che non serve i cittadini. Ricordo a chi di dovere che per  essere cacciatore, oggi,  bisogna avere la fedina penale pulita, bisogna dimostrare che non ci si droga, di  non essere alcolizzato e  che chi ha una regolare licenza di porto di fucile non può essere trattato alla stregua di un delinquente.

Lei vive a Castelluccio Inferiore, comune che per parte del territorio è libero dal vincolo del Parco, quale condizione si trovano ad affrontare i cacciatori locali?
In occasione di un incontro tra l’Assessore della Regione Calabria e l’Assessore della Regione Basilicata, avvenuto come qualcuno ricorderà l’ 8 settembre 1993, si pensò a una riperimetrazione del Parco del Pollino.  A Castelluccio Inferiore era stato fatto un referendum per scorporare una parte del territorio dal Parco. La popolazione rispose favorevolmente. Nel Parco rimase solo la parte naturalistica più valida. La parte restante del comune fu scorporata a un preciso titolo: diventare area contigua, ovvero un’area di passaggio tra la zona assoggettata a vincolo e la zona libera. La caccia  in tale area, razionalizzata al massimo, dovrebbe essere consentita soltanto ai residenti nei comuni del Pollino che sono assoggettati a vincolo. Invece, quest’ area è diventata terra di nessuno. Sono in possesso di tutta la documentazione che riguarda la destinazione di questa area, documentazione trasmessa  a suo tempo dal Comune, e successivamente dall’ATC n°3, alla Regione Basilicata. La richiesta, anche in questo caso, è caduta nel dimenticatoio.
Non è accettabile che un piccolo territorio sopporti una pressione venatoria eccessiva, con notevoli guasti all’ambiente e alla fauna e con la impossibilità di praticare un esercizio venatorio decente.
Queste sono cose che non interessano solo i cacciatori, ma interessano l’intera comunità perché l’ambiente e la fauna sono di tutta la popolazione. Pensare che solo il Parco sia un santuario (magari pieno di immondizia) e che subito dopo il confine si possa fare tutto quello che si vuole, è un pessimo concetto di gestione della natura. Perché se è vero che il punto di forza dell’intero meridione sono i beni ambientali, culturali, storici e monumentali, tutto il territorio va rispettato, gestito e conservato con la massima cura possibile.