I consumi alimentari in Italia. L’analisi dell’andamento dei consumi alimentari delle famiglie italiane dagli anni Settanta fino al 2003 evidenzia un vistoso calo della spesa per prodotti alimentari e bevande analcoliche: da un’indagine della Confesercenti risulta che mentre nel 1974 i consumi alimentari rappresentavano circa il 30% della spesa totale delle famiglie italiane, oggi costituiscono solo il 15% circa del totale dei consumi. Tale flessione è una diretta conseguenza della loro diversificazione, iniziata dal Dopoguerra e proseguita con il moltiplicarsi delle offerte culturali e di intrattenimento.
L’incidenza della spesa alimentare sul paniere dei consumi varia in modo significativo in relazione alla tipologia familiare: posto pari a 100 il dato medio nazionale, alimentari e bevande pesano maggiormente sulla spesa totale delle persone sole con più di 64 anni (118), delle coppie anziane senza figli (115) e delle coppie con 3 o più figli (113). L’incidenza più bassa si riscontra nelle coppie giovani senza figli (75) e nei single con meno di 35 anni (76). In valore assoluto, la spesa alimentare sale dai 267 euro per le persone sole ultrasessantaquattrenni ai 649 euro delle coppie con 3 o più figli.
Sebbene l’incidenza della spesa alimentare sul totale dei consumi sia scesa, il dato italiano risulta ancora uno dei più elevati in Europa, superato solo da quello di altri paesi mediterranei quali Portogallo, Grecia e Spagna. L’incidenza più bassa si rileva negli Stati Uniti (7%), in Gran Bretagna (9,7%) e in altri paesi del Nord Europa (Germania, Olanda, Finlandia e Svezia).
Evidentemente nei paesi mediterranei resiste una cultura più conviviale ed edonistica del cibo, fondata sugli aspetti simbolici ed emotivo-comunicativi del nutrimento; mentre nei paesi dell’Europa settentrionale prevale il carattere funzionale del pasto come elemento indispensabile per la sopravvivenza e lo svolgimento delle attività professionali.
Dal 1974 al 2003, il consumo di frumento è diminuito del 9% (da 166,5 a 151,3 kg pro capite) e, a parte i pomodori e le patate (cresciuti rispettivamente del 12% e del 2%), il consumo degli altri ortaggi è calato del 18%. L’olio di semi ha fatto registrare un incremento vistoso (+72%), mentre il consumo di olio di oliva è fermo da trent’anni sugli 11-12 litri pro capite. Considerevole, infine, l’aumento del consumo di carne in generale pari al 38% e di quella suina in particolare che ha avuto un incremento addirittura del 129% e di birra (da 12,8 a 30 litri pro capite), mentre il vino è passato dai 109,7 ai 53,9 litri pro capite, con una riduzione di ben il 51%. Lo stile alimentare diffuso attualmente in Italia risulta quindi solo in parte coerente con la dieta mediterranea, basata principalmente su cibi freschi, carboidrati abbinati ai legumi, cereali, pesce azzurro, olio d’oliva, molta verdura e frutta fresca, poca carne (soprattutto bianca).
L’indagine della Confesercenti testimonia che negli ultimi trent’anni i consumi alimentari nel nostro Paese sono diventati più omogenei. Il consumo nel Meridione di cereali e derivati, ad esempio, che superava di 12 punti il dato nazionale del 1974, oggi non si discosta molto dalla spesa media del Nord e del Centro. La differenza tra Nord e Sud nel consumo di pesce si è a sua volta assottigliata, pur rimanendo comunque evidente: in particolare, la spesa media delle famiglie settentrionali è cresciuta da 57 a 82 punti, mentre quella delle famiglie meridionali è scesa da 158 a 123 punti.
Si registra inoltre una crescita del consumo della carne al Sud (da 85 a 102 punti) e di latte e latticini al Centro (da 92 a 107 punti).
L’incremento dei consumi alimentari extradomestici. I mutamenti nel settore occupazionale, con la diffusione di forme di lavoro autonomo e dipendente con orario continuato, la crescente terziarizzazione e l’impiego sempre maggiore delle donne, l’aumento del pendolarismo (anche studentesco), influenzano la strutturazione dei tempi di vita familiari.
Anche se la maggioranza degli italiani (76,1%) continua a pranzare in casa, questa percentuale è in netto decremento rispetto agli anni precedenti (nel 1993 era l’84,5%). Negli ultimi trent’anni i consumi alimentari extradomestici sono notevolmente aumentati e nel 2003 rappresentano il 31,8% del totale della spesa alimentare (nel 1974 erano il 21,2%): in valore assoluto, essi vengono stimati in circa 54 miliardi di euro.
Gli italiani che abitualmente consumano il pranzo al ristorante/trattoria oppure al bar sono aumentati dal 3,2% del 1993 al 5,1% del 2001 (dati Istat). Nel caso specifico del pranzo al ristorante, tuttavia, si evidenzia, in particolare negli ultimi tempi, una marcata tendenza alla riduzione del numero di pietanze ordinate: un’indagine Fipe-Confcommercio sulle abitudini alimentari degli italiani al ristorante ha evidenziato, infatti, la crescita del fenomeno della destrutturazione del pasto (soprattutto del pranzo), ovvero la tendenza dei clienti a ridurre il consumo dei pasti completi (primo, secondo, contorno, dessert), a vantaggio della combinazione di due piatti (primo o secondo in abbinamento ad un antipasto) o della pizza.
Vegetariani e vegani. Un numero sempre maggiore di persone, in Italia come nel resto del mondo, si è convertita in questi anni all’alimentazione vegetariana. Oggi i vegetariani in Italia sono quasi 6 milioni (AcNielsen 2004), 3 milioni dei quali fedeli ad una dieta integralmente vegetariana. Si stima che nel 2010 i vegetariani diventeranno 7 milioni e 30 milioni nel 2050 (stime Eurispes).
Sono ormai circa 500 i prodotti in commercio contrassegnati dalla “V” e lo stesso fenomeno si verifica in un numero sempre maggiore di ristoranti e autogrill. L’industria prende dunque atto che i vegetariani rappresentano ormai un target molto interessante. Secondo i dati forniti da Biobank, in Italia ci sono 1.026 negozi specializzati in alimenti biologici e 154 mercatini. L’offerta si concentra soprattutto al Nord ed al Centro del Paese e Milano è la città con la percentuale più alta di ristoranti vegetariani.
Una fetta consistente del business appartiene agli Internet store: The Bio Shop e Spesa Bio vendono online in tutto il Paese a circa 5.000 amanti dell’alimentazione naturale.
Provando a tracciare un identikit dei seguaci dello stile di vita salutista ed ecologico si può affermare che si tratta più spesso di donne (70%) che di uomini, soprattutto di età compresa tra i 25 ed i 54 anni (62%) e con un livello di istruzione medio-alto (85%).
Occorre però fare una distinzione all’interno dell’ampio gruppo dei vegetariani. Ci sono i semivegetariani che mangiano tutto ad eccezione delle carni rosse, quelli che escludono le carni animali tranne il pesce e quelli che escludono tutte le carni.
I vegetariani, comunque, rinunciano alla carne ma mangiano i prodotti degli animali come le uova, il latte e i suoi derivati. I vegani o vegetaliani, al contrario, rifiutano qualsiasi cosa provenga dagli animali e si nutrono di frutta, verdura, cereali, legumi, semi, soia, tofu, seitan (proteine a base di glutine di frumento). I vegani rifiutano i derivati animali non solo nell’alimentazione ma in qualunque ambito della vita, non utilizzano infatti capi di abbigliamento, accessori e altri oggetti ricavati dall’uccisione e dallo sfruttamento di qualunque tipo di animale: lana, seta, pelle, cosmetici con ingredienti di origine animale, macchine fotografiche con pellicola contenente gelatina di origine animale, farmaci contenenti le proteine del latte, ecc.
Il termine Vegan deriva dalla contrazione dell’inglese “vegetarian” e indica nella pratica una disciplina continua, che investe praticamente ogni ambito della vita quotidiana.
Essere Vegan è soprattutto uno stile di vita, nel quale si sceglie di non fare del male a qualunque essere “abbia occhi” escludendo da alimentazione, abbigliamento, arredo e tutto il resto prodotti derivanti «dalla morte diretta o indiretta di animali o dalla loro prigionia». L’alimentazione non è che uno degli aspetti di questa scelta.
Anche il numero dei vegani o vegetaliani è in netto aumento in tutto il mondo. Secondo i dati forniti da AcNielsen per il 2004 i vegani in Italia sarebbero circa 600.000, più numerosi al Nord e al Centro (soprattutto a Milano e a Roma).
Negli Stati Uniti, dove i vegetariani sono più di 10 milioni e i vegani più di 2 milioni e mezzo, nel 2003 gli acquisti alimentari “verdi” hanno raggiunto un ammontare di 1 miliardo e 600 milioni di dollari (e per il 2008 si prevede un incremento del 61%). Alcune grandi aziende alimentari americane (Kraft, Kellog, General Mills, solo per citare le più note) hanno recentemente acquisito piccole aziende specializzate in cibo vegetariano ed hanno poi lanciato linee di prodotti specifici per i vegetariani.
In Italia la Barilla ha redatto insieme all’Avi una guida ai ristoranti Animal-Free del Paese. I vegani hanno inoltre deciso di adottare un marchio proprio per i loro prodotti, diverso dalla “V” vegetariana, riconosciuto a livello internazionale.
Anche in Rete sono stati aperti molti siti rivolti a vegetariani e vegani, come www.veganitalia.com, www.veganhome.it, www.viverevegan.org, www.ivu.org, www.scienzavegetariana.it, che costituiscono fonti di informazioni ma anche comunità virtuali nelle quali scambiarsi indirizzi e ricette.
L’ultima ossessione alimentare: l’ortoressia. Il termine ortoressia deriva dal greco “orthos” che significa corretto e “orexis” che significa appetito.
Si tratta di un vero e proprio disturbo alimentare che ha iniziato a diffondersi negli Stati Uniti, per poi estendersi anche all’Europa. Questa patologia è stata individuata per la prima volta nel 1997 dal medico americano Steve Bratman, oggi uno dei maggiori studiosi di ortoressia ed ideatore di uno specifico test diagnostico.
Gli ortoressici sono soggetti per i quali è di fondamentale importanza seguire un’alimentazione sana e, più in generale, un regime di vita salutare che garantisca forma fisica, benessere, salute. Mentre i vegetariani ed i vegani sono guidati da una scelta etica, gli ortoressici sono vittime di una vera e propria mania e di una forma di “fondamentalismo alimentare”.
Gli ortoressici temono soprattutto che un cibo possa risultare cancerogeno, contenere sostanze nocive, far ingrassare e quindi favorire l’insorgere di diabete e malattie cardiovascolari, essere geneticamente modificato. Fra le ossessioni più frequenti figurano il mercurio nel pesce, la pastorizzazione del formaggio, la carne, per il pericolo della “mucca pazza”, la pulizia delle stoviglie (se mal lavate possono essere veicolo di infezione).
La conseguenza è una vera e propria ossessione per l’alimentazione, che rende difficili anche comportamenti normali come uscire a cena con altre persone o mangiare alla mensa del proprio posto di lavoro. L’attenzione per la qualità dei cibi spinge inoltre questi soggetti ad eliminare dalla loro dieta molti alimenti essenziali, finendo per seguire un’alimentazione fortemente carente e squilibrata. Il rispetto assoluto del regime salutista influisce notevolmente sullo stato d’animo e sull’autostima delle persone ortoressiche.
In Italia questa patologia è ancora poco nota. Un gruppo di ricerca dell’Istituto di Scienza dell’Alimentazione dell’Università “La Sapienza” di Roma ha svolto un’indagine su un campione di 404 persone a rischio di ortoressia nervosa: a 28 dei soggetti osservati è stata diagnosticata la “sindrome ossessivo-compulsiva per i cibi sani”. Dai risultati di questo studio italiano emerge una prevalenza di uomini fra gli ortoressici, in contrasto con la notevole prevalenza femminile fra coloro che sono affetti da anoressia e bulimia.
L’American Psychiatric Association afferma che i disturbi alimentari costituiscono oggi la prima causa di morte per malattia mentale, sia negli Stati Uniti che in Europa. Si tratta di un’ulteriore prova della necessità di non sottovalutare la pericolosità di questa nuova forma di psicopatologia, destinata quasi certamente a diffondersi ulteriormente in una società in cui il dibattito sui rischi di un’alimentazione scorretta è sempre più acceso.
Da un’indagine di Swg del novembre 2004, è emerso che ben il 71% degli italiani cerca di mantenere la forma fisica o di migliorarla controllando l’alimentazione e quasi tre soggetti su quattro sostengono di praticare una dieta sana. Inoltre, gli italiani dichiarano di consumare frutta e verdura in media una volta al giorno.
Una recente indagine di Astra-Demoskopea ha invece rilevato che il 37,3% dei consumatori italiani nell’acquisto dei prodotti alimentari sono “lettori ossessivi” delle etichette. Questi soggetti, definiti “label-fan” nell’indagine, hanno un orientamento eco-biologico, una cultura superiore o universitaria e sono residenti soprattutto al Centro-Nord.
Pertanto la crescita esponenziale in tutto il mondo del popolo dei vegetariani, l’aumento dei più rigorosi vegani e la scoperta dell’ortoressia (il nuovo disturbo alimentare che si manifesta con l’ossessione per il cibo sano) possono essere considerati l’espressione di queste correnti culturali.

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