Sposarsi e “farsi una famiglia”, una decisione che si può rimandare. In una recente indagine dell’Istat si rileva che ormai la maggioranza dei giovani tra i 25 e i 34 anni vive ancora nella famiglia di origine; infatti la percentuale di coloro che abitano con i propri genitori è salita dal 25,8% del 1993-1994 al 34,9% del 2003, superando la percentuale dei loro coetanei, pari al 27,9%, che vivono in coppia e hanno dei figli. Molti giovani hanno sottolineato che all’origine della scelta di restare in famiglia ci sono soprattutto la difficoltà di trovare un lavoro stabile e di acquistare o affittare un’abitazione.
I numeri del matrimonio dal 1961 ad oggi. I dati mostrano un netto calo delle unioni matrimoniali in Italia: ben 146.697 in meno in poco più di 40 anni. Inoltre, si è quasi dimezzato il numero di matrimoni per 1.000 abitanti (tasso di nuzialità), che è sceso da 8 a 4,3. Il punto di svolta per quanto riguarda la diminuzione dei matrimoni si colloca intorno alla metà degli anni Settanta, gli anni in cui, dopo il benessere prodotto dal boom economico del decennio precedente, durissimi conflitti sociali e nuove crisi economiche minarono nuovamente la fiducia dei cittadini in un futuro sereno e tranquillo. Tuttavia negli anni Novanta la contrazione dei matrimoni è divenuta costante: in media -5% ogni biennio, con l’eccezione degli anni compresi tra il 1997 e il 1999, in cui si registra un +0,9%.
In Italia ci si sposa meno che nel resto d’Europa e, infatti, il tasso di nuzialità nostrano è fra i più bassi: il Paese si colloca al di sotto della media Ue (solo il Belgio è a livelli inferiori) e ben lontano da nazioni quali la Spagna e la Grecia. La contrazione dei matrimoni è avvenuta soprattutto al Nord e al Sud mentre, curiosamente, nelle regioni centrali il numero assoluto di matrimoni è rimasto quasi invariato. In particolare si rileva che il calo è avvenuto, sia al Nord che al Sud, nell’arco di tempo che va dal 1998 al 2004.
Analizzando il dato regionale per gli anni 1995-2001 sulla base dell’indice di prima nuzialità, che analizza le fasce di età più giovani, è generalmente confermato quanto detto poc’anzi: quasi tutte le regioni registrano una diminuzione delle unioni matrimoniali, ad eccezione della Campania e della Sicilia, le più popolose del Mezzogiorno, dove si riscontra un aumento dell’indice di prima nuzialità sia per gli uomini che per le donne. Un aumento dell’indice femminile, infine, si è verificato anche in Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lazio e Puglia.
Le convivenze. Uno dei fenomeni che caratterizzano maggiormente l’evoluzione dei rapporti di coppia negli ultimi anni è l’aumento delle convivenze. Sempre più spesso, infatti, le coppie decidono di avviare una coabitazione senza regolamentarla o regolamentandola solo parzialmente. Le esperienze di libera coabitazione, che per comodità di esposizione si definiscono semplicemente convivenze, stanno aumentando notevolmente, soprattutto dal 1993. Il numero delle coppie non coniugate è salito da 227.000 a 555.000 nell’arco di un decennio, un aumento del 144% che dà la misura dell’ampiezza del fenomeno: tuttavia alcune notazioni si impongono. Innanzitutto bisogna sottolineare che nell’ultimo biennio il ritmo di crescita delle convivenze è notevolmente diminuito (solo un +8%); inoltre è necessario ricordare che, comunque, nel 2003 esse rappresentavano appena il 3,7% del totale delle unioni di coppia (percentuale decisamente inferiore a quelle registrate nella maggior parte delle nazioni occidentali). Altri dati forniti dall’Istat aiutano a comprendere meglio questo fenomeno: la quota di coppie non coniugate, ossia costituite da celibi e nubili, si attesta al 47,6% nel 2003 (+18% rispetto a 10 anni fa), mentre la percentuale di chi considera la convivenza come un periodo di unione pre-matrimoniale (tra queste coppie sono compresi quanti sono in attesa di ottenere il divorzio da precedenti matrimoni) è pari al 32,2% (41% nel 1998). Aumenta, invece, salendo dal 18,4% al 25,1%, la quota di chi non prevede di sposarsi. Inoltre bisogna aggiungere che si è verificata una diminuzione della presenza dei figli nelle coppie non coniugate (dal 48% del totale nel 2000 al 45% nel 2001), mentre le coppie coniugate con figli rappresentano ancora più dei due terzi del totale. È evidente che l’esperienza della convivenza interessa un numero consistente di coppie e si afferma sempre più nella cultura italiana, ma è prematuro affermare che essa costituisca un modello sostitutivo dell’istituzione matrimoniale.
Per quanto riguarda la distribuzione geografica si evince che le unioni di fatto sono presenti soprattutto nel Nord d’Italia, mentre nel Sud, nel 2001, si registra la presenza di sole 84.000 coppie non coniugate.
Le unioni miste. Dalla metà degli anni Ottanta anche l’Italia è stata investita da una massiccia immigrazione da paesi esteri e milioni di stranieri, di diversa nazionalità e provenienza, si sono stabiliti nella Penisola. Con il trascorrere del tempo questo nuovo fenomeno ha prodotto le unioni miste, piuttosto rare solo fino a 15 anni fa. In dieci anni il peso delle unioni miste sul totale dei matrimoni celebrati in Italia è salito notevolmente, per cui nel 2003 ben un matrimonio su 10 ha almeno uno straniero fra i coniugi.
Se da un lato questo fenomeno è certamente positivo poiché testimonia una crescente integrazione fra stranieri e italiani, dall’altro non bisogna dimenticare i casi in cui il matrimonio rappresenta un espediente per aggirare la legislazione italiana in materia di permessi soggiorno. Sotto accusa sono finite, infatti, molte giovani donne immigrate che, raggirando anziani pensionati italiani, cercano in questo modo di stabilirsi durevolmente in Italia. Tuttavia analizzando i dati si può affermare che non si rilevano grosse differenze di comportamento tra le coppie miste in cui il partner straniero è una donna e quelle in cui è un uomo. In effetti, se è vero che la percentuale delle coppie formate da uomini italiani e donne straniere è superiore di molto a quella delle coppie composte da donne italiane e uomini stranieri, (relativa a Milano, la città italiana che insieme a Roma ha registrato il maggior numero di unioni miste), si rileva comunque una leggera differenza, a livello nazionale, nella presenza di figli. Hanno figli il 60% delle coppie formate da uomini italiani e donne straniere e il 63% di quelle composte da donne italiane e uomini stranieri. Il fenomeno dei matrimoni truffa senza dubbio esiste, numerose sono le inchieste della Polizia al riguardo, ma statisticamente è piuttosto marginale.
Divorziati e… risposati. Nella famiglia italiana si è verificato lo stesso fenomeno che ha scosso tutta la società moderna, in cui gli individui sono diventati più dinamici, autonomi, impegnati su più fronti.
È come se la famiglia avesse visto ridotta la sua centralità e non costituisse più l’unico polo di attrazione per tutti i suoi componenti. L’istituto familiare, insomma, conserva ancora una grandissima importanza nella società contemporanea, ma è meno centrale rispetto al passato perchè si sono affermati altre istituzioni e realtà sociali determinanti per la formazione e la realizzazione personale degli individui stessi.
I profondi mutamenti intervenuti negli ultimi decenni nella società italiana in relazione alla religiosità, ai valori, ai costumi ed ai rapporti fra i sessi hanno scosso dalle fondamenta anche l’istituzione matrimoniale. Il nuovo ruolo della donna, in particolare, in seguito al massiccio ingresso nel mondo del lavoro, alla conquista dell’indipendenza ed alle storiche lotte per la parità dei diritti, hanno provocato una ridefinizione radicale delle dinamiche fra i sessi. L’interazione di fattori tanto complessi e ricchi di implicazioni ha finito per influire anche sulla solidità dei legami matrimoniali, sempre più spesso in crisi: i seguenti dati sulle separazioni e i divorzi sono eloquenti.
Nel 2003 i divorzi e le separazioni sono stati più di 124.000. Il dato più sorprendente è certamente quello più recente, ossia quello relativo al 2003: quasi un matrimonio su due è destinato a “rompersi” nel giro di pochi anni, una media impressionante che testimonia la profonda crisi di questa istituzione.
Dati relativi al numero dei divorziati che contraggono un nuovo matrimonio. Nel 2001 14.783 divorziati e 12.888 divorziate si sono risposati: il numero delle donne sposate è in crescita dal 1995 e aumenta quasi allo stesso modo anche quello degli uomini risposati, a testimonianza del fatto che molte persone dopo il divorzio riescono a ricostruirsi una nuova vita famigliare.
Nel 2003 le famiglie ricostituite (quelle in cui almeno uno dei partner proviene da un precedente matrimonio) sono state 724.000, tuttavia dal 1995 al 2001 il numero delle divorziate e dei divorziati risposati non è aumentato di molto, anzi fra il 1999 e il 2001 c’è stata una diminuzione per quel che riguarda gli uomini. Bisogna sottolineare, però, che indubbiamente le lungaggini burocratiche per poter ottenere il divorzio frenano il desiderio di molte coppie di convolare subito a nuove nozze.
Meno celibi e più divorziati, meno nubili e più divorziate, sostanzialmente fermo il numero delle vedove e dei vedovi; così sono cambiate le caratteristiche di coloro che si sposano dal 1995 ad oggi. In definitiva si può affermare che sono soprattutto celibi e nubili a rimandare l’appuntamento fatidico con il matrimonio.
L’età dei coniugi, quando lei è più grande di lui. Per quel che riguarda l’età media del primo matrimonio, i dati confermano quanto detto in precedenza: si giunge più tardi a pronunciare il fatidico sì. In 6 anni l’età in cui si contrae il primo matrimonio aumenta in modo quasi analogo per maschi e femmine (rispettivamente +1,7 e +1,6 anni). Se non si registrerà una inversione di tendenza, nei prossimi anni i genitori italiani dovranno rassegnarsi a vedere prolungata la permanenza dei propri figli in casa ben oltre la soglia dei 30 anni. Infine bisogna sottolineare che nelle regioni del Centro-Nord ci si sposa in età più avanzata rispetto al Sud d’Italia: alcuni dati relativi al 2002, diffusi dagli uffici statistici di alcune grandi città, lo confermano. Infatti l’età media della sposa va dai 30 anni di Milano e Roma ai 28 di Napoli e ai 25 di Catanzaro; mentre per quel che riguarda l’età dello sposo, questa varia dai 25-30 anni di Napoli e Catanzaro ai 30-35 anni di Milano e Roma. Un aspetto curioso e totalmente nuovo nella tradizione del matrimonio in Italia è quello dell’aumento delle unioni in cui la sposa è di età maggiore rispetto allo sposo; questo fenomeno si registra soprattutto a Milano e Roma. I dati forniti dal Comune di Roma mostrano come effettivamente questa tendenza sia in crescita, tanto che i matrimoni di questo tipo sono aumentati dell’1,6% nel periodo compresa tra il 1999 e il 2003.
Sposa della stessa età dello sposo o addirittura di qualche anno più grande? Non è più un tabù, anzi la fetta di matrimoni di questo tipo è destinata ad aumentare, stando almeno ai dati fin qui disponibili; infatti ormai più del 30% delle coppie non ha nella sposa il coniuge più giovane, un segnale di cambiamento che va certamente monitorato in futuro.
Altri aspetti in evoluzione del matrimonio. Il matrimonio religioso era stato scelto dalla quasi totalità delle coppie che si sposavano nel 1961, ma da allora la situazione è molto cambiata. In particolare, dagli anni Ottanta è aumentata sempre più la quota di coloro che preferiscono sposarsi con il rito civile. Non è possibile stabilire con esattezza quanto abbia inciso l’approvazione della legge sul divorzio sulla decisione di sposarsi o meno in chiesa, è però un dato di fatto che a partire dal 1974 (anno del referendum sul divorzio) vi è stato un aumento esponenziale delle unioni civili.
Per quanto riguarda gli ultimi anni, invece, l’aumento dei matrimoni misti ha certamente contribuito a far aumentare la percentuale delle cerimonie con il rito civile; infatti molto spesso in questi casi i coniugi appartenendo a due religioni differenti, si accordano per il rito civile, per rispettare il credo religioso di entrambi.
I dati diffusi dall’Istat per il 2002 indicano che su 265.635 matrimoni, 190.879 sono stati celebrati con rito religioso e 74.758 con rito civile. Sempre nello stesso anno, Nord e Sud, che hanno avuto all’incirca lo stesso numero di celebrazioni, si differenziano per quanto riguarda il rito: quello religioso, prevalente ovunque, è più frequente al Sud che al Nord (82,6% contro 71,9% del Settentrione), mentre il rito civile è più diffuso al Nord che nel resto del Paese (37,1% contro il 17,4% del Sud e il 31,5% del Centro).
Un dato interessante è quello offerto dalle rilevazioni dell’ufficio statistico del Comune di Milano: qui prevale il matrimonio con rito civile. Dagli ultimi dati pubblicati infatti, relativi al 2003, si apprende che, su un totale di 4.264 matrimoni, il 50,7%, ossia 2.162 matrimoni, è stato celebrato con rito civile, contro il 49,3%, ovvero 2.102 unioni, con rito religioso. In questa città l’incidenza dei matrimoni misti è certamente notevole ed è uno dei fattori che hanno inciso sul numero dei matrimoni civili.
È interessante notare che nel volgere di 6 anni le coppie che scelgono il regime di separazione dei beni sono diventate la maggioranza. Come interpretare questo dato? Forse le coppie inconsciamente pensano già all’eventualità che un giorno possa esserci un divorzio e decidono di comportarsi di conseguenza, oppure si tratta semplicemente del fatto che sempre più coppie acquisiscono consapevolezza della necessità di tutelare i propri personali interessi?