Nel mondo occidentale il transessualismo viene normalmente inquadrato come patologia psichiatrica: tuttavia, se all’inizio era considerato una perversione e poi una psicopatologia, attualmente lo si definisce un «disturbo dell’identità di genere». L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) parla di “Disforia di Genere” ed il DSM IV, ovvero il Manuale di Classificazione dei Disturbi Mentali, redatto dall’Associazione Americana degli Psichiatri, usa la definizione “Disturbo dell’Identità di Genere”. Ufficialmente l’eziopatogenesi del transessualismo è ancora ignota e la questione relativa all’ipotesi di una predisposizione genetica oppure ambientale/familiare rimane aperta. Si suppone inoltre che il transessualismo sia determinato da fattori che interferiscono con lo sviluppo del feto, ad esempio un rilascio ormonale provocato da una condizione di stress a cui è esposta la madre durante la gravidanza. Infatti è dimostrato che in periodi storici particolarmente difficili e quindi stressanti, ad esempio durante le guerre, sono nati un maggior numero di transessuali. Tra i fattori all’origine del transessualismo viene spesso indicata l’assunzione (o la produzione eccessiva) di ormoni maschili o femminili da parte della madre durante il periodo di gestazione. Le cause di questo fenomeno potrebbero infine essere molteplici, una combinazione di fattori biologici, psicologici e socio-ambientali. È stato accertato che il transessualismo non si verifica solo negli esseri umani ma anche in alcuni animali (cani, gatti, topi, scimmie), e probabilmente in tutte le specie di mammiferi. Nonostante permangano numerosi dubbi sull’esatta origine biologica del fenomeno, è possibile affermare che non si tratta di una “scelta di vita”, frutto di noia o curiosità, bensì di una dolorosa condizione ascritta dalla nascita.
Anche quando gli individui tentano di ignorare la propria condizione, il metodo della negazione a lungo termine fallisce. Solo avendo la possibilità di vivere come esponenti del sesso a cui sentono di appartenere le persone transessuali possono raggiungere uno stato di serenità. Ciò può avvenire in modi diversi a seconda della persona: dai trattamenti estetici all’intervento chirurgico completo per cambiare sesso. La riassegnazione di sesso è comunque un processo complesso, lungo, costoso e faticoso, che comporta un prezzo elevato (sociale, psicologico, fisico – l’operazione rende sterili). La percentuale di successi è tuttavia molto alta. La manifestazione della propria condizione e la scelta di sottoporsi a trattamenti e interventi per la riassegnazione del sesso comportano spesso un rifiuto da parte della famiglia e degli amici, oltre che della società. La fase intermedia, di transizione, risulta poi particolarmente difficile. Chi decide di sottoporsi all’intervento chirurgico per cambiare sesso deve affrontare prima il test della vita reale, cioè vivere come una persona del sesso a cui si sente di appartenere per uno o due anni, ed ottenere il parere favorevole di due psichiatri. La lista d’attesa per accedere all’intervento è piuttosto lunga e costringe generalmente ad aspettare in media due anni. È inoltre necessario il supporto di una terapia psicanalitica.
Le dimensioni del fenomeno. Il transessualismo è una condizione abbastanza rara ed estremamente difficile da quantificare con precisione. Per molti anni le stime internazionali hanno indicato un’incidenza del transessualismo sulla popolazione pari ad 1 su 30.000 per gli uomini con identità di genere femminile e 1 su 100.000 per le donne con identità di genere maschile. Tuttavia alcuni calcoli recenti indicano una diffusione decisamente superiore: sarebbe transessuale circa 1 su ogni 250-500 bambini nati maschi, mentre 1 su ogni 2.500 maschi negli Usa si sarebbe sottoposto a correzione di sesso (Lynn Conway, 2001).
Un numero sempre maggiore di persone si sono rivolte a medici e specialisti per parlare dei loro problemi fin dagli anni Sessanta, quando si seppe che era possibile intervenire. Infatti, le stime degli interventi per cambiare sesso negli Usa mostrano un trend di crescita costante (1.000 negli anni Sessanta; 6-7mila negli anni Settanta; 9-12mila negli anni Ottanta; 14-20mila nel periodo tra il 1990 e il 2002).
Non è disponibile una stima precisa dei transessuali italiani, ma tutte le fonti concordano nell’affermare la forte disparità numerica fra uomini e donne transessuali: infatti gli uomini biologici che decidono di vivere come donne sono molto più numerosi. I dati relativi agli ospedali ed alle associazioni italiane indicano che gli uomini biologici con identità di genere femminile (MTF) sono circa 45.000, mentre le donne biologiche con identità di genere maschile (FTM) sono circa un terzo, quindi 15.000. Le mtf vivono la transizione generalmente più tardi rispetto agli ftm, che lo fanno in media intorno ai 25 anni e per i quali la chirurgia genitale rappresenta in sostanza l’unica forma di adeguamento al nuovo genere. Sebbene gli ftm continuino ad essere meno numerosi delle mtf, negli ultimi anni il divario si va riducendo.
Un percorso in salita: il vissuto e le difficoltà delle persone transessuali. Nella società italiana, e in generale nella maggior parte delle società contemporanee, l’idea di genere è talmente radicata da essere comunemente considerata un elemento ascritto dal codice genetico. Per questo il transessualismo viene frequentemente rifiutato come una forma di depravazione, di trasgressione o, nel migliore dei casi, come un terribile “scherzo della natura”. Gli individui il cui aspetto ed il cui comportamento si discostano da aspettative di genere per molti versi ancora abbastanza rigide, provocano solitamente un particolare disagio e disorientamento nelle persone che si confrontano con loro, il che comporta una non accettazione particolarmente forte. Complice anche la scarsa conoscenza reale del fenomeno, la reazione della maggior parte della persone si traduce in rifiuto, imbarazzo, disprezzo e talvolta discriminazione. Per questo oggi i transessuali lottano per essere riconosciuti in tutto e per tutto dalla collettività per quello che sentono di essere veramente, desiderano un’identità sessuale precisa ed il suo riconoscimento, anche giuridico.
Nel desiderio di vivere coerentemente con il sesso cui sentono di appartenere, essi tendono generalmente ad adottarne gli elementi più caratteristici ed evidenti, talvolta enfatizzandoli. Per questo le transessuali (uomini biologici che si sentono donne o mtf) tendono ad esprimere una femminilità fatta anche di clichèes (vamp, donne fatali), rifacendosi all’immaginario collettivo e in particolare all’immaginario erotico maschile. Anche per esprimere e rendere evidente a tutti l’acquisizione della propria nuova identità, cancellando così la vecchia. Se alcuni transessuali sentono con forza la necessità di abbandonare il sesso della nascita per acquisire il nuovo, altri trovano un equilibrio anche senza il cambiamento fisico completo e non desiderano l’intervento chirurgico. Sebbene sempre difficile e faticosa, la transizione risulta generalmente più problematica per le transessuali (mtf) che per i transessuali (fisicamente donne ma psichicamente uomini, ftm). Per le transessuali, innanzitutto, risulta pressoché impossibile nascondere la propria condizione, specie durante il processo di cambiamento di sesso: inoltre nascondere la propria nuova identità significa nella pratica non viverla a pieno. Gli stereotipi maschilisti, non del tutto scomparsi nella società, portano a stigmatizzare maggiormente gli uomini che si comportano e scelgono di vivere da donna, piuttosto che il contrario. Inoltre, le transessuali sono costantemente associate alla prostituzione e quindi disprezzate: ciò non accade per i transessuali, che spesso riescono a vivere con la propria nuova identità passando per lo più inosservati.
Diritti e rivendicazioni. Il Movimento Identità Transessuale (MIT) è l’associazione bolognese nata nel 1979 che per prima si è occupata del sostegno e della lotta per i diritti delle persone transessuali in Italia e che gestisce un importante consultorio per la salute dei transessuali. Di più recente formazione, invece, l’Arcitrans (1997), con circoli in varie città, e l’associazione di volontariato Crisalide AzioneTrans, nata a Genova nel 1999 e attiva in tutto il Paese per offrire supporto alle persone transessuali. Negli ultimi anni sono inoltre nati organismi di ricerca ed assistenza per i transessuali, ad esempio il SAIFIP (Servizio di Adeguamento tra Identità Fisica ed Identità Psichica) e l’ONIG (Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere, nato nel 1995). Soprattutto, grazie all’impegno del MIT, nel 1982 è stata approvata in Italia la legge 164 “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”, che permette e regola il cambiamento di sesso nel nostro Paese e che, ispirandosi all’art. 3 della Costituzione italiana, difende la condizione transessuale quale “condizione umana” degna di tutela, indicata da una risoluzione europea come una condizione nei confronti della quale vietare ogni sorta di discriminazione.
Transessuali e prostituzione. Uno degli stereotipi più comuni sul conto delle persone transessuali, e nella fattispecie delle transessuali (mtf), le vuole nella maggioranza se non nella totalità dei casi dedite alla prostituzione. Tale convinzione genera ovviamente ulteriore stigmatizzazione nei confronti di soggetti già esposti, per la loro difficile condizione, al rifiuto ed al disprezzo di molti e che così vengono meccanicamente associati alla depravazione ed alla trasgressione.
Alcune stime, per quanto solo orientative, valutano che oggi soltanto una percentuale compresa tra il 15% ed il 30% delle persone transessuali si prostituisce. È d’altra parte innegabile che le storie di vita e la particolare condizione delle transessuali rendano molto più facile per loro che per le altre persone il ricorso alla prostituzione. Questa “scelta obbligata” era però molto più comune in passato che oggi: infatti negli anni Sessanta e Settanta, quando ancora pochissimo era stato ottenuto per le persone transessuali sul piano dell’informazione, della sensibilizzazione sociale e delle rivendicazioni, la prostituzione era spesso il solo modo per sopravvivere.
La tariffa delle prestazioni delle prostitute transessuali è generalmente più alta rispetto alla media della prostituzione femminile: da 50 a 100 euro per una ventina di minuti e circa 200-300 euro per incontri in appartamento che si protraggono per diverse ore.
Si stima che queste persone costituiscano almeno il 5% del totale delle prostitute, ma il MIT indica addirittura una quota del 15%. Tale associazione sostiene inoltre che circa il 90% delle prostitute transessuali in Italia è costituito da straniere e solo il 10% da italiane. Fra le immigrate, ben il 30% sarebbero brasiliane, il 40% sudamericane provenienti da altri Stati dell’America Latina, il 10% maghrebine e filippine, il 10% transessuali originarie di altri paesi.
Quanto più una transessuale è sola, senza risorse e senza supporti sociali ed economici tanto più facilmente potrà cadere nel giro della prostituzione, soprattutto quando deve sostenere da sola la costosa serie di interventi (estetici e chirurgici per i caratteri sessuali secondari), necessari per la completa transizione di sesso. Si configura, dunque, un circolo vizioso per il quale il mercato del lavoro accetta difficilmente le transessuali in quanto tali, favorendone così l’ingresso nella spirale della prostituzione, che ne sporca ulteriormente l’immagine nell’opinione collettiva. Inoltre le transessuali che si prostituiscono risultano le più visibili e anche i media tendono a dare risalto a questo aspetto parlando di transessualismo quasi sempre in relazione alla prostituzione.
L’associazione nazionale Crisalide AzioneTrans, ad esempio, si impegna attivamente non solo nella lotta agli stereotipi sulle persone transessuali, ma anche nella ricerca di lavori “normali” per le sue iscritte.
Le transessuali alimentano uno specifico giro di prostituzione poiché sono il particolare oggetto del desiderio di un gruppo ampio e socialmente trasversale di clienti. Esse soddisfano precise richieste e desideri sessuali, specialmente quelle non operate e, quindi, non normalizzate come appartenenti al sesso femminile. Infatti molti clienti sono attratti proprio dalla caratteristica di ibrido fra i due generi, che possiede caratteristiche erotiche di entrambi, quindi attributi femminili appariscenti ed enfatizzati ma anche genitali maschili (investiti di un’ulteriore valenza erotica). Le persone transessuali soddisfano quindi come nessun altro la domanda di ambiguità erotica e psicologica.
Transfobia e discriminazione. Si definisce transfobia un atteggiamento di rifiuto, disgusto e paura nei confronti delle persone la cui identità di genere o presentazione di genere non corrisponde – nel modo socialmente accettato – con il sesso assegnato alla nascita, ossia nei confronti di chi si discosta dalle aspettative di genere diffuse nella società.
Il termine transfobia è piuttosto recente, ma l’atteggiamento discriminatorio che descrive non è nuovo. La manifestazione di questo disprezzo può avvenire in modi diversi: dall’allontanamento e dalla ghettizzazione delle persone percepite come trasgressive rispetto ai ruoli di genere, alle offese e alle provocazioni per strada, fino alla scelta di negare loro una casa o un posto di lavoro o, nei casi peggiori, all’esercizio della violenza. Generalmente le manifestazioni più violente e pericolose della transfobia (come dell’omofobia) sono quelle derivanti da fondamentalismi religiosi o da rigidi convincimenti morali.
Secondo quanto riportato dal GenderPac (Gender Public Advocacy Coalition) in un articolo del 1999, circa il 60% delle persone transessuali sarebbero vittime di violenza ed una persona transgender morirebbe assassinata ogni mese negli Stati Uniti. Con molta probabilità questi dati sottostimano la reale frequenza degli episodi violenti transfobici, a causa delle reticenza di molte persone transessuali a denunciare i soprusi subiti, della tendenza a definire impropriamente molti episodi come “pestaggi di omosessuali”, della difficoltà, per le persone transessuali, di denunciare tali crimini alla polizia (in quanto è necessario dichiararsi transessuali e convincere le autorità di aver davvero subito violenza).
Nello studio americano Gender, Violence and Resource Acess Survey, il 50% delle persone transgender intervistate riferivano di essere state vittime di stupri o aggressioni da parte del proprio partner ed il 31% del campione riferiva di aver subìto almeno una volta una violenza domestica (Courvant & Cook-Daniels, 1998).
Hanno contemplato l’idea del suicidio in almeno un momento della propria vita oltre il 70% dei transessuali ed il 17-20% di essi lo ha realmente tentato almeno una volta, come dimostrano numerosi studi clinici.