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[ ANNO II – LUGLIO 2006 – NUMERO 37 ] SCENARI ATTUALI E IMPATTO DEI FLUSSI MIGRATORI

Gli Italiani nel mondo. Le cause che determinano una crescente mobilità degli italiani verso l’estero sono diverse. Per quanto riguarda i singoli individui e le famiglie influiscono su questo fenomeno la condizione, le aspettative e, in molti casi, le esigenze, anche basilari, di vita: inoltre bisogna segnalare che, specie nei paesi economicamente più avanzati, la mobilità è dovuta ad un maggior benessere, compreso quindi l’aumento del tempo libero. Ad un livello più ampio, invece, agiscono diversi fattori: le esigenze e le spinte del mercato dei beni e dei servizi, la disponibilità di infrastrutture, soprattutto di trasporto, la grande crescita economica, i forti squilibri demografici, economici e sociali fra le vari parti del mondo e tra le varie aree all’interno di uno stesso paese e, infine, il progresso tecnologico.
Suddividendo la popolazione emigrata in 5 classi di età, risulta che gli italiani emigrati all’estero hanno prevalentemente un’età compresa tra i 51 e 75 anni (30,1%), tra 36 e 50 anni (23,5%) e tra 18 e 35 anni (22,4%); mentre solo un’esigua minoranza di italiani ultrasettantacinquenni (8,9%) emigra. Pertanto si può notare che la maggior parte degli emigrati è rappresentata da forza lavoro e ciò è imputabile in gran parte al livello di disoccupazione presente in Italia e, dunque, alla speranza di trovare nuove prospettive all’estero.
Tale fenomeno coinvolge, principalmente, le regioni del Mezzogiorno, infatti la maggior parte degli italiani che hanno lasciato il Paese proviene dalle regioni meridionali e dalle Isole, essendo pari al 56% del totale degli italiani all’estero. A conferma di ciò, la prima regione italiana con il maggior numero di emigrati risulta la Sicilia, seguita dalla Campania, dalla Puglia e dalla Calabria. Il 30%, invece, è originario del Centro e il 14% del Nord. Questo accade soprattutto per motivi ben noti: il Sud ha livelli di disoccupazione molto al di sopra della media nazionale, ritardi strutturali e una grave incidenza di fenomeni di criminalità organizzata. L’Europa è attualmente il continente a cui si rivolge maggiormente l’emigrazione italiana. Infatti la Germania, con 708.019 soggiornanti, si conferma il paese che ospita il numero più consistente di italiani, anche se al secondo posto troviamo l’Argentina (618.443), paese dell’America Latina spesso scelto come meta dagli emigrati: seguono poi, nuovamente, due paesi europei come la Svizzera (520.550), e la Francia (358.603). Inoltre, è interessante sottolineare che provengono principalmente dalle regioni del Nord dell’Italia gli emigranti diretti verso la Svizzera e la Francia, poiché la contiguità geografica, oltre a determinare un consistente insediamento, favorisce anche i flussi di lavoratori stagionali o frontalieri.
Gli emigranti scelgono soprattutto l’Europa (57,7%) mentre se si considerano solo i paesi appartenenti all’Unione europea la percentuale scende al 43%. I paesi extra europei rappresentano con il 42,3% l’ultima scelta degli italiani, con circa 15 punti percentuali in meno rispetto ai paesi europei.
L’immigrazione in Italia. Al 1° gennaio 2005 gli stranieri residenti in Italia sono 2.402.157, con un aumento rispetto all’anno precedente pari al 20,7%: tale incremento, pur essendo alquanto consistente, risulta inferiore a quello del 2004 (28,4%). La presenza della popolazione straniera residente in Italia è dovuta anche, in misura non trascurabile, al continuo aumento dei nati di cittadinanza straniera, ossia figli di genitori residenti in Italia, entrambi stranieri. L’apporto di questa popolazione alla crescita demografica è decisamente rilevante, soprattutto se contrapposto al bilancio naturale della popolazione residente di cittadinanza italiana, che risulta negativo in alcune regioni. Inoltre sembra opportuno sottolineare come, anche in Italia, la dicotomia cittadino italiano/cittadino straniero non sia più sufficiente a distinguere le entità costituite dalla popolazione “italiana” e dalla popolazione immigrata. Sempre più numerosi sono, infatti, coloro che diventano italiani “per acquisizione di cittadinanza”, e gli stranieri nati nel Paese che, quindi, non possono essere definiti immigrati.
Gli stranieri rappresentano il 4,1% della popolazione residente complessiva (58.462.375 unità nel 2005). L’incidenza degli stranieri residenti è in aumento rispetto all’anno 2004, quando ammontava al 3,4%. Si tratta di valori che collocano ancora l’Italia tra i paesi europei che hanno una percentuale relativamente bassa di stranieri rispetto alla popolazione complessiva.
Dal punto di vista della distribuzione della popolazione straniera sul territorio, la maggioranza risiede nelle regioni nord-occidentali e nord-orientali (dove è presente il 63,5% degli stranieri), seguite dal Centro (24%) e, infine, dal Sud e dalle Isole, dove gli immigrati sono appena il 12,5%. In rapporto alla popolazione residente nelle singole ripartizioni, l’incidenza della popolazione straniera è più elevata nelle regioni settentrionali (mediamente pari al 5,8%). Segue il Centro (il 5,1%), mentre nel Sud e nelle Isole la quota di stranieri è molto inferiore e pari, mediamente, all’1,4%. Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, nel Settentrione, e l’Umbria, nel Centro, sono le regioni con la quota più elevata di popolazione straniera (le percentuali rispetto alla popolazione residente oscillano fra il 6,3% della Lombardia e il 6,1% del Veneto).
Dei 2.402.157 stranieri residenti in Italia al primo gennaio 2005, circa 595.000 scelgono come luogo dove stabilirsi la Lombardia (pari al 24,7% del totale nazionale), con un’incidenza sulla popolazione italiana del 4,8%, sensibilmente superiore alla media italiana che è del 4,1%. Il Veneto è la seconda regione italiana per numero di popolazione straniera residente (12%), anche se con ben 12 punti percentuali in meno rispetto alla Lombardia. Le regioni del Sud sono le meno appetibili per gli stranieri: il Molise e la Basilicata sono quelle che hanno il minor numero di stranieri residenti. Tuttavia, in controtendenza rispetto al passato, la Campania ha registrato un aumento significativo delle presenze straniere residenti negli ultimi due/tre anni.
Alcune particolarità si riscontrano anche dall’osservazione della distribuzione territoriale delle principali aree di cittadinanza. Tra le regioni che accolgono il maggior numero di stranieri emerge, ad esempio, che in Lombardia e nel Lazio si concentra il gruppo più consistente di cittadini provenienti dall’Asia orientale e dall’America centro-meridionale, con una quota intorno all’11% del totale dei residenti (che sale al 12,9% per i cittadini dell’America centro-meridionale), contro una media nazionale inferiore al 9%. Questa presenza particolarmente significativa è, probabilmente, prodotta dalla tradizionale specializzazione nel settore dei servizi alle famiglie da parte dei cittadini delle due aree (su tutti filippini e peruviani), soprattutto nei grandi centri urbani. Questo fenomeno, nei due grandi poli urbani di Roma e Milano, si spiega con ragioni demografiche e reddituali, oltre che con la diversa partecipazione delle donne italiane al mondo del lavoro. Rispetto allo scorso anno, è pressoché rimasto invariato il numero delle persone che hanno ricevuto un provvedimento di allontanamento dall’Italia (105.662); tuttavia è leggermente diminuita la quota di chi è effettivamente rimpatriato (il 56,8% contro il 61,6% del 2003). Un freno alla tempestività dell’esecuzione delle misure di allontanamento può essere stato determinato dalla modifica legislativa, resa necessaria dall’intervento della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimi gli allontanamenti dall’Italia effettuati prima della loro convalida giudiziaria. Continua, inoltre, a rimanere rilevante la differenza di esecuzione dei rimpatri fra le varie nazionalità coinvolte. La media di 56,8 rimpatriati ogni 100 persone da allontanare scende di molto nel caso, ad esempio, del Marocco e della Moldavia (rispettivamente 38,5 e 33,9 casi su 100), mentre supera i valori compresi tra i 60 e gli 80 casi su 100 per la Romania, la Serbia-Montenegro, l’Albania e la Bulgaria. Ad alimentare queste discrepanze contribuiscono diversi fattori, fra cui non solo i rapporti fra l’Italia e gli Stati suddetti, ma anche la gestione dei rapporti fra queste nazioni e i loro cittadini all’estero.
La forza lavoro e l’imprenditoria immigrata. Circa un terzo dell’intera forza lavoro immigrata in Italia è stata soggetta a forte flessibilità occupazionale: si tratta di 783.303 nuovi contratti, inclusi i lavoratori arrivati dall’estero e quelli già presenti in Italia. I rapporti a saldo, al netto delle cessazioni, sono stati 187.548. Inoltre, emerge che le aree occupazionali più forti sono il Nord-Est per il numero delle assunzioni e il Nord-Ovest per il numero dei saldi. In questo contesto spiccano le regioni che offrono maggiori possibilità di lavoro: Lombardia, Veneto, ed Emilia Romagna, seguite da Toscana, Trentino Alto Adige, Piemonte e Lazio. Negli ultimi anni l’imprenditoria-immigrazione sta assumendo una importanza sempre crescente e sta diventando uno degli elementi che contraddistingue maggiormente lo svilupparsi del rapporto tra immigrati e inserimento lavorativo. Si tratta di un fenomeno in crescita, specialmente nell’ambito delle economie metropolitane basate sui servizi, al quale si somma la presenza di alcuni comparti manifatturieri ad elevata intensità di lavoro. Nello specifico, in Italia, le aperture normative si incontrano con la domanda di mercato, con l’evoluzione del fenomeno migratorio e con una struttura economica che tradizionalmente lascia ampio spazio alle imprese minori e al lavoro autonomo. Il diffondersi del lavoro autonomo in modo significativo solo in tempi recenti, si può spiegare con la lentezza del percorso legislativo che ha permesso agli immigrati l’accesso al lavoro autonomo.
Queste attività sono prevalentemente organizzate in forma di ditta individuale, nella quale, alla forma giuridica, corrisponde direttamente la persona fisica che guida l’azienda. Esse tendono a concentrarsi in pochi settori, come il commercio, le costruzioni e le attività manifatturiere. Questi tre settori rappresentano circa l’80% del totale delle imprese a titolarità immigrata operanti in Italia: rispettivamente il 42,3%, il 26,8% e l’11,7%.
Considerando il peso che hanno le imprese individuali extracomunitarie su quelle italiane, si nota che la regione con la percentuale più alta è la Toscana (8,2%), seguita dalla Lombardia (7,5%), dalla Liguria (6,8%) e dal Friuli Venezia Giulia (6,7%). A livello nazionale, comunque, tale percentuale non risulta molto alta, essendo pari al 5,1% del totale delle imprese individuali: ciò conferma che ci sono ancora alcuni problemi per gli imprenditori immigrati. Innanzitutto le pratiche amministrative, già di per sé onerose, risultano agli immigrati più ostiche non solo perché meno conosciute, ma spesso anche perché regolate da normative più complesse. Inoltre, è meno nutrita la rete di conoscenze, che di per sé fa da supporto a questa scelta. Tra le difficoltà maggiori si annovera, anche, il problema di accesso al credito; infatti il sistema bancario risulta meno accessibile perché chiede garanzie che gli immigrati possono fornire con più difficoltà, come l’esibizione della busta paga, la rilevanza delle mansioni ricoperte, il contratto di affitto e la garanzia del soggiorno. Anche le iniziative formative e di assistenza professionale sono ritenute insoddisfacenti dagli immigrati.