Le motivazioni sono riconducibili a tre grandi questioni da cui non è possibile prescindere per inquadrare la nostra critica. La prima questione è di ordine metodologico. Non si possono approvare cambiamenti così significativi per l’organizzazione dello Stato a colpi di maggioranza perché l’aritmetica della politica privilegia scelte più vicine alle stabilità di governo ed alle tenute di coalizione piuttosto che alla capacità di rappresentanza generale. Il vizio originario è tutto qui, dentro questa genesi metodologica sbagliata che è scaturita da un baratto tra i partiti della coalizione piuttosto che da un patto condiviso tra maggioranza ed opposizione, capace di dare adeguata rappresentanza ai sentimenti di unità in cui si riconoscono tutti gli italiani.
In realtà contro questa logica ad escludendum, la storia dell’Italia repubblicana con l’esperienza dell’Assemblea costituente ci consegna non solo una delle pagine più belle della vitalità democratica e della responsabilità istituzionale, ma anche una testimonianza esemplare di come una classe politica, pur divisa dalle contrapposizioni ideologiche, si è ritrovata compatta sulle grandi sfide che riguardavano il nostro Paese. La seconda questione che motiva la nostra insoddisfazione è, invece, di merito in quanto la riforma costituzionale approvata non risolve affatto le richieste d’innovazione e di ammodernamento che la società italiana chiede alla politica, piuttosto rafforza i problemi con pesanti ambiguità normative ed evidenti condizioni d’ingovernabilità istituzionale. La riduzione delle garanzie, infatti, che consegue con il rafforzamento del premierato, la rimodulazione della composizione della Corte costituzionale e il nuovo assetto delle competenze comporta notevoli distonie e conflittualità tra Stato e Regioni. Anche la potestà legislativa esclusiva delle Regioni per l’assistenza e l’organizzazione sanitaria e quella scolastica ha l’effetto devastante di ridurre il diritto dei cittadini a ricevere uguale trattamento nell’istruzione e nella sanità. Ne emergerebbe un paese diviso che attraverso l’attuazione del federalismo fiscale rischierebbe di non garantire i principi di solidarietà e d’equilibrio tra i territori regionali, esponendoli alle disomogeneità e privando il Mezzogiorno delle ambizioni di crescita e di miglioramento che rivendica da tempo.
La terza ed ultima questione è di natura giuridica perché scaturisce dalle preoccupazioni espresse dalla maggioranza dei costituzionalisti per il pericoloso scivolamento a cui sarebbe sottoposto l’assetto degli equilibri generali, delle garanzie e dei diritti dei cittadini oltre che lo stesso livello d’unità del Paese.