La quantificazione del costo dei figli. Accanto al problema dell’affidamento, un’altra fonte di conflittualità da affrontare è il mantenimento economico dei figli. Il meccanismo dell’assegno versato dal genitore non affidatario (quasi sempre il padre) a quello affidatario (quasi sempre la madre) è oggi praticamente l’unico utilizzato, benché il codice civile assegni al giudice il compito di stabilire anche il modo del mantenimento, dando la possibilità di ricorrere a numerose altre soluzioni. Esso si è rivelato da tempo del tutto inadeguato: solo il 43% dei genitori affidatari, infatti, lo percepisce regolarmente e per intero. D’altra parte, la cifra stabilita dal giudice appare sempre irrisoria a chi la deve ricevere ed eccessiva a chi la deve corrispondere, mancando un qualsiasi riferimento oggettivo.
È apparso quindi utile mettere a disposizione del magistrato, dell’avvocato e soprattutto della coppia che si sta separando, uno strumento che, caso per caso, rispettando il più possibile le specificità delle situazioni, fornisca su base oggettiva una valutazione del costo dei figli. Esso risulterà utile, a maggior ragione, una volta che sia stata, eventualmente, approvata la riforma dell’affidamento condiviso, che privilegia il metodo del mantenimento diretto, e richiede, quindi, la conoscenza della ripartizione dei costi per il mantenimento dei figli secondo capitoli di spesa. È stato così costruito, per iniziativa dell’associazione Crescere Insieme, in collaborazione con docenti del Dipartimento di statistica dell’Università di Firenze e su commissione della Regione Toscana, un programma informatico che fornisce il costo totale dei figli ripartito anche per capitoli di spesa. I valori che si ottengono derivano dal trattamento statistico dei dati Istat relativi ai consumi di 40.000 famiglie, utilizzate come campione. In pratica, si devono inserire i dati caratteristici del nucleo familiare in esame: reddito netto mensile onnicomprensivo del padre e della madre; età dei figli, zona geografica di residenza; frazione percentuale del tempo che i figli trascorrono presso ciascun genitore. In questo modo è possibile ricavare facilmente sia il valore dell’assegno che deve corrispondere il genitore obbligato sia, per il futuro, una ripartizione degli oneri per capitoli di spesa che rispetti la proporzione dei redditi. Tutto ciò, ovviamente, sotto il controllo del magistrato.
Nella figura, a parte le voci di lettura direttamente comprensibili, è interessante notare la presenza di un “conguaglio sul lavoro di cura”. Si tratta di un parametro, correlato con il tempo che i figli trascorrono grosso modo con ciascuno dei genitori, utilizzabile per tenere conto dei maggiori oneri a carico del genitore che ha in custodia i figli per un tempo maggiore, tipicamente la madre, (quasi nel 95% dei casi) valutato sulla base della scelta del costo mensile impostato preliminarmente, che dipende dalle situazioni locali. Anche la “progressività” è una possibilità data all’utilizzatore del programma per sopperire ad esigenze particolari, di tipo sociale. Tipicamente si ripartiscono gli oneri tra i genitori in misura proporzionale alle risorse, ma quando gli squilibri sono molto forti può essere preferibile appesantire quello a carico del genitore più forte economicamente. La progressività permette di dosare tale intervento, ridisegnando opportunamente la curva della ripartizione. Anche la spesa annua extra per l’università, da dividere tra i genitori, può essere impostata in modo diverso, in considerazione delle situazioni specifiche (tipo di facoltà, di ateneo, ecc.).
L’importante ruolo del giudice. Se si vuole avere poi un’idea quantitativa degli effetti della discrezionalità del giudice, può giovare l’analisi della seguente tabella di raffronto tra l’incidenza dei vari tipi di affidamento in tribunali vicinissimi (tre in Piemonte, tre in Toscana ed i rimanenti in Puglia), in cui certo non ha giocato la diversa cultura locale, ma solo le personali convinzioni del giudice.
Indubbiamente esiste un effetto della cultura locale nello scendere da Nord a Sud, ma appare preponderante, e inaccettabile come tale, l’effetto del tutto imprevedibile e soggettivo delle opinioni personali dei giudici, nell’ambito di una stessa regione, nel determinare la percentuale dei figli affidati in regime condiviso o alternato.
Un magistrato pratese amava ripetere di avere abbandonato da tempo l’ascolto del minore perché gli risultava inutile, perché tanto i figli gli davano sempre la medesima risposta: volevano essere affidati ad entrambi i genitori. Per questo, ironia della sorte, non li ascoltava più, e procedeva d’ufficio alla scelta di un genitore solo. Un caso, possiamo ben dire, di notevole onestà intellettuale, perché moltissimi magistrati si comportano allo stesso modo, ma non lo raccontano. La stessa preoccupazione emerge anche considerando gli aspetti quantitativi del problema. Se non si è genitori a pieno titolo, di pari dignità dell’altro, anche le misure quantitative risultano gravemente falsate, e senza rimedio.

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