Nel 2003 l’industria alimentare italiana ha realizzato un fatturato di 103 miliardi di euro confermandosi il secondo comparto per importanza nell’ambito dell’industria manifatturiera. Lo scenario di riferimento in cui il settore si muove è sempre più dinamico ed impegnativo. Le imprese alimentari devono, infatti, misurare la propria competitività in relazione alle nuove richieste di genuinità e tipicità del prodotto provenienti dai consumatori, tenendo conto anche degli elementi a cui la Distribuzione moderna riconosce un ruolo strategico. Dal punto di vista della Distribuzione moderna (Dm) la scelta del fornitore avviene sulla base di una precisa valutazione rispetto a fattori che sono considerati strategici per una più efficiente gestione del prodotto sul punto vendita (destagionalizzazione dell’offerta, ampiezza e profondità di gamma, continuità e certezza delle forniture, standardizzazione del prodotto, ecc.) e per determinare la fidelizzazione del consumatore all’insegna e al punto vendita. Le politiche di acquisto dei grandi gruppi della Distribuzione moderna tendono ad essere sempre più restrittive ed il processo di selezione corre il rischio di escludere dal mercato gli operatori che non sono in grado di rispondere a precise esigenze. Nel corso degli anni, con l’affermarsi della Dm nello scenario distributivo italiano, le aziende alimentari italiane hanno progressivamente perso potere contrattuale, finendo con l’essere spesso relegate ad un ruolo più simile ad un copacker (produttore per conto del distributore) che di fornitore. Questo processo non ha risparmiato le aziende di grandi dimensioni che, nonostante la propria posizione di leader nel comparto di riferimento, faticano a mantenere un rapporto paritario con gli operatori della Dm. La conseguenza inevitabile è una sempre maggiore difficoltà a valorizzare commercialmente le produzioni agricole e la parte alta della filiera agro-alimentare.
Il commercio con l’estero. La bilancia commerciale del settore agro-alimentare italiano si caratterizza per un disavanzo generato principalmente dalle importazioni del settore primario che, per il 2004, ammonta a oltre 8 miliardi di euro. Al contrario, il settore alimentare registra un disavanzo più contenuto rispetto a quello primario, in linea con quanto generalmente accade per i paesi sviluppati dove predominano i flussi di prodotto trasformato rispetto a quelli di materia prima. Anche il nostro Paese, infatti, si sta specializzando sempre di più nella produzione di beni alimentari trasformati, piuttosto che in quella di prodotti agricoli. Ne consegue una propensione maggiore ad importare del settore primario per soddisfare la domanda interna sia dei consumatori sia delle industrie di trasformazione. Tra il 2001 e il 2004, lo sbilancio fra esportazioni ed importazioni in termini fisici è cresciuto del 40%, a dimostrazione della tendenza che vede crescere fra le nostre importazioni quelle dei prodotti di base (foraggi, cereali, bovini), mentre le esportazioni vedono aumentare soprattutto prodotti di qualità (frutta e ortaggi freschi) e trasformati (vino, prodotti da forno). Nei confronti dei partner europei la bilancia alimentare dell’Italia resta fortemente passiva, con uno squilibrio pari, nel 2004, ad oltre 6.000 euro. Questi dati, tuttavia, sono da leggere in prospettiva. Infatti, l’allargamento dell’Unione europea a 25 comporterà cambiamenti sostanziali riguardo la composizione della bilancia alimentare italiana sia per le nuove opportunità offerte dal mercato sia per le nuove criticità che inevitabilmente emergeranno. I dati mostrano quale sia la situazione di alcuni prodotti fondamentali nell’alimentazione degli italiani e centrali nell’economia agricola e agro-alimentare del Paese, mettendo a confronto i dati relativi all’importazione e all’esportazione degli stessi: vino, olio, formaggio e carne. L’Italia si conferma paese esportatore netto di vino e importatore netto di olio d’oliva e di carne, mentre, benché passiva, la bilancia dei formaggi mostra anche una forte capacità di esportazione, e, nel tempo, una riduzione percentuale ed assoluta dello squilibrio fra esportazioni ed importazioni. Per quanto riguarda il vino si evidenzia l’ottima performance dell’export con un aumento nel 2004 del valore delle esportazioni del 200% dal 1993 al 2004 (esso infatti si è triplicato); buona anche l’esportazione di formaggi, più che raddoppiata nei dodici anni. Per le importazioni si nota la forte crescita delle forniture estere di olio, e, benché ancor modesto, può destare qualche preoccupazione l’ingresso crescente sui nostri mercati di vini d’oltrefrontiera, che, in valore hanno triplicato la loro presenza dal 1993 ad oggi.
Import-export italiano. Il paese da cui importiamo di più è la Francia per un valore di 4.448 milioni di euro per il 2004; tuttavia le esportazioni verso questo paese hanno fatto registrare nello stesso anno un volume pari a 2.351, determinando un saldo negativo di -2.097. Per quel che riguarda il volume complessivo dell’import-export, primeggia l’interscambio con la Germania. Ad eccezione di alcuni Paesi (Usa, Russia, Giappone, Regno Unito, Grecia, Slovenia e Svizzera), l’Italia presenta un saldo negativo con tutti gli altri partner commerciali. Stupisce il saldo negativo rispetto a paesi con economie molto più piccole della nostra quali Olanda e Spagna, verso cui l’Italia ha un deficit alimentare rispettivamente di -1.628 e di -1.842 milioni di euro. È da sottolineare, in particolare, la performance del paese iberico, protagonista di una costante ascesa economica a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, che ha praticamente raddoppiato il valore commerciale sia dell’export che dell’import verso l’Italia. Infine, è da evidenziare il saldo alimentare del nostro Paese con gli Usa, pari ad un +1.353 nel 2004, nonostante l’indebolimento del dollaro.Dal punto di vista della distribuzione delle esportazioni per area geografica, l’Unione europea continua a rappresentare il mercato più importante per i prodotti italiani. In particolare l’Italia ha consolidato la propria posizione su alcune importanti piazze del Nord Europa. Infatti, Germania, Regno Unito e Francia continuano ad essere i tradizionali mercati di sbocco delle nostre produzioni. I dati relativi al flusso delle esportazioni italiane mostrano, per il settore primario, un contributo rilevante dell’ortofrutta fresca e del florovivaismo. Nell’ambito dell’industria alimentare rivestono invece un ruolo strategico il vino, i derivati dei cereali (pasta alimentare), i prodotti lattiero-caseari, gli ortaggi trasformati. Sono proprio questi prodotti a rappresentare un posizionamento competitivo basato sulla qualità piuttosto che sul prezzo, come evidenziato dal rapporto tra la variazione della ragione di scambio e del saldo normalizzato. A fronte di una variazione positiva della ragione di scambio e del saldo normalizzato è possibile ipotizzare un apprezzamento del prodotto per le sue caratteristiche qualitative. Viceversa a fronte di una variazione negativa della ragione di scambio e positiva del saldo normalizzato è possibile ipotizzare una competizione sul prezzo.
Il ruolo dei Paesi Terzi del Mediterraneo. Accanto ai competitor più tradizionali è opportuno verificare il ruolo che i PTM (Paesi Terzi del Mediterraneo) possono avere nel prossimo futuro, soprattutto in considerazione dell’aumentata presenza di prodotti freschi sui nostri mercati di sbocco tradizionali, anche a seguito della definizione di accordi preferenziali. I Paesi Terzi del Mediterraneo, che per lo più possono considerarsi paesi in via di sviluppo, si caratterizzano per politiche di sviluppo incentrate prevalentemente sulla crescita della produzione industriale e manifatturiera, tralasciando spesso politiche di sostegno allo sviluppo dell’agricoltura che tuttavia continua a rappresentare per questi sistemi il settore produttivo più rilevante in termini di occupati e di Pil. Fanno eccezione Cipro, Malta, già aderenti all’Ue, ed Israele, che ha dato importanza, nel proprio sviluppo economico, al settore primario soprattutto per soddisfare esigenze di sicurezza nazionale e autosufficienza alimentare. La situazione del settore agricolo nei Ptm appare quindi particolarmente eterogenea. Tuttavia è possibile rintracciare alcune caratteristiche tipiche di questo sistema.
La composizione della produzione è fortemente incentrata su cereali e ortofrutta e risente in parte delle condizioni internazionali di mercato, che hanno reso più convenienti per i produttori locali la coltivazione di ortofrutta per l’esportazione, in parte della vocazione produttiva di queste aree per alcuni prodotti (ad esempio l’olio). I prodotti alimentari tipicamente mediterranei (carni e latte in particolar modo) hanno assunto rilievo nella composizione dell’offerta agro-alimentare grazie alle forme di sostegno delle autorità locali, mirate alla riduzione della dipendenza alimentare dai sistemi agricoli esterni. Rispetto al commercio estero sembra opportuno evidenziare come nei Ptm le barriere tariffarie e non tariffarie siano più numerose che negli altri paesi in via di sviluppo. Le restrizioni alle importazioni sono particolarmente rilevanti nel settore manifatturiero (in particolare tessile ed abbigliamento) e meno intense negli altri settori dell’agricoltura. In ogni caso la bilancia agro-alimentare dei Ptm continua ad essere fortemente deficitaria a causa delle importazioni di prodotti alimentari di origine animale (carne e formaggi), anche se le esportazioni, in particolare di ortofrutta e prodotti ittici, iniziano ad avere un ruolo rilevante.
Turchia, Israele e Marocco rappresentano i principali esportatori agricoli dell’area. Gli scambi con l’Ue hanno fatto registrare, negli ultimi dieci anni, interessanti aumenti a testimonianza di come alcuni Ptm abbiamo migliorato le proprie capacità commerciali nonostante la presenza di forti vincoli all’esportazione legati all’imposizione di contingentamenti su molti prodotti agricoli. I Ptm sono sempre più destinati a trasformarsi da mercati di sbocco delle produzioni agricole ed alimentari dell’Ue a partner produttivi della nostra industria agro-alimentare.

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