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[ ANNO II – MAGGIO 2006 – NUMERO 21 ] I LIMITI STRUTTURALI DEL TURISMO ITALIANO

Si stima che l’industria turistica del nostro Paese avrà un aumento medio costante annuo del 3,1% in termini reali fra il 2006 ed il 2015, previsione non molto entusiasmante (WTTC).
Il fatturato del sistema turistico-produttivo del nostro Paese.
Il saldo della nostra bilancia turistica dei pagamenti nei primi nove mesi del 2005 è diminuito del 16%, sia sul valore aggiunto e sulla occupazione attivata dal sistema turistico nazionale, sia sull’economia allargata dell’industria dei viaggi e del turismo.
Pur essendo aumentata la spesa turistica (fatturato) nel 2004 rispetto al 2003, passata da 85.318 milioni di euro a 86.806, essa ha inciso in misura minore (dal 6,6% nel 2003 al 6,4% nel 2004) sul Pil. È inoltre diminuito il Pil turistico da 70.298 milioni a 68.264, passando quindi dal 5,4% al 5,1%; è diminuito di conseguenza, da 2,377 milioni a 2,299, anche il numero degli addetti diretti e indiretti attivati dalla domanda di consumi turistici. Pur essendo infine aumentato il fatturato dell’economia allargata dell’industria dei viaggi e del turismo, passato da 152.354 milioni di euro nel 2003 a 155.011 milioni nel 2004, tuttavia questo settore ha inciso in misura minore (dall’11,7% all’11,5%) sul Pil.
La debolezza strutturale dell’offerta ricettiva.
Uno dei principali ostacoli alla competitività del turismo italiano sui mercati internazionali, è costituito dalla scarsa capacità ricettiva media del sistema alberghiero, soprattutto in relazione a quella dei paesi europei nostri diretti concorrenti, come Francia, Grecia, Spagna. La tipologia giuridica prevalente degli alberghi è rappresentata dalle società di persone (41,5%), seguita dalle imprese individuali (36,2%), mentre le società di capitale rappresentano solo il 21,6% delle imprese; quelle meglio strutturate da un punto di vista organizzativo e gestionale (le società di capitale) rappresentano, dunque, solo un quinto del totale, e non è detto che offrano un servizio di qualità superiore a quelle gestite da imprese individuali o da società di persone.
La stagionalità e il tasso di occupazione degli alberghi. Il 25,1% degli alberghi italiani ha un’apertura stagionale, legata soprattutto al ciclo delle stagioni balneari per le località marine, e di quelle dello sci per quelle montane. La regione con il più alto tasso di alberghi ad apertura stagionale è l’Emilia Romagna con il 58,4%, seguita dalle Marche (37%), dalla Calabria (36,8%), dalla Sardegna (32,3%), dal Veneto (31,4%), dalla Puglia (30,8%), dalla Campannia (28,2%) e dal Friuli (27,1%).
Questa situazione determina tassi di occupazione poco soddisfacenti, che costituiscono uno dei fattori di criticità più importanti del nostro sistema ricettivo alberghiero, specie rispetto agli altri paesi europei. I paesi diretti concorrenti dell’Italia, infatti, hanno avuto nel 2002 tassi netti di occupazione alberghiera molto più alti di quelli dei nostri alberghi: la Grecia, con il 63,4%, guida la classifica delle performance migliori, seguita dalla Francia con il 60,3%, dalla Spagna con il 55,3%, dall’Olanda con il 45,5%, dal Belgio con il 45,3% e dalla Gran Bretagna con il 44%, tutti paesi che superano l’Italia, che mostra una percentuale del 39,5%; a seguire il Portogallo con il 39,3%, l’Austria con il 35,9% e la Germania con il 33,2%.
Le regioni che registrano il miglior tasso di occupazione lordo, riferito all’anno 2003, sono: la Campania con il 39,7%, seguita dalla Liguria con il 39%, dalla Provincia autonoma di Bolzano con il 38,5%, dalla Lombardia con il 38,4%, dal Veneto con il 38,3%, dal Lazio con il 37%, dalla Sicilia con il 34,9%, dall’Umbria con il 33,6%. Tutte le altre regioni registrano un tasso di occupazione inferiore a quello della media nazionale, che si attesta sul 32,3%.
Scarsa capacità aggregativa.
Per ovviare alla debolezza strutturale della nostra offerta ricettiva, una delle soluzioni più ovvie dovrebbe essere quella dell’aggregazione, che consentirebbe anche la realizzazione di economie di scala, non solo sul piano puramente gestionale, ma anche su quello del marketing. Ma anche su questo versante scarseggiano le alleanze, le catene, i marchi: le 62 principali compagnie alberghiere attive in Italia nel 2004 gestiscono con diverse formule solo 1.113 alberghi su un totale di 33.480.
Scarseggiano anche le catene branded per segmenti o target specifici. Mancano inoltre grandi catene italiane in grado di competere a livello internazionale con i colossi europei e mondiali: infatti nessuna catena italiana figura né tra i primi 20 marchi al mondo, né tra i primi 10 europei. Il più importante gruppo italiano, Jolly Hotels, con le sue 7.446 camere occupava nel 2003 la 124a posizione al mondo; il secondo gruppo, la Domina Hotels, con 4.404 camere, occupava la 191a posizione, la Starhotels (3.324 camere) la 233a, la Atahoters (3.000 camere) la 250a, e la Turin Hotels (2.751 camere) la 265a posizione.
La scarsissima “internazionalizzazione” della nostra imprenditoria turistico-ricettiva, presente in alcuni paesi del mondo con soli 45 alberghi e 7 marchi, si scontra con la presenza massiccia sul nostro territorio di tutte le catene alberghiere più importanti del mondo, tra le quali spiccano il gruppo Best Western con 138 alberghi, il gruppo Hotusa con 130 strutture, il gruppo Space con 103, il gruppo Accor con 32, l’Intercontinental con 39, la Starwood con 24, oltre a Marriott, Meridien, Sol Melià, Hilton, NH Hoteles, AC Hotels, ecc.
Il sistema distributivo dei Tour Operator e delle agenzie di viaggio intermediarie. Accanto a quella degli alberghi, esiste anche una debolezza strutturale del sistema delle imprese di viaggi e turismo, soprattutto se confrontato con il sistema europeo. Per trovare il primo gruppo turistico italiano nei primi 30 gruppi in Europa si deve infatti risalire alla 25a posizione di Costa Crociere, con 1.062 milioni di euro di fatturato nel 2004 e 700mila clienti, seguita dal gruppo Alpitour con un fatturato di 915 milioni e un milione di clienti. Il Gruppo Ventaglio è posizionato al 29° posto con 760,5 milioni di euro di fatturato e 700mila clienti. Il primo gruppo europeo, la tedesca TUI, solo con le sue sedi in Germania (senza cioè considerare le varie diramazioni in altre nazioni europee), con i suoi oltre 18 miliardi di euro di fatturato arriva a sfiorare da sola quasi lo stesso giro d’affari (circa 20 miliardi) di cui sono accreditate le 10.719 agenzie di viaggio italiane nel 2004. Secondo un’indagine del Ministero dell’Economia svolta nel 2002 su un campione di 2.189 agenzie di viaggio italiane, è emerso che i Tour Operator specializzati nell’incoming sono solo il 3,29%, cui si aggiunge il 4,43% delle agenzie di viaggio, che portano la percentuale degli operatori che si dedicano al turismo nel nostro Paese al 7,72%. Per contro, fra TO (5,16%) e agenzie di viaggio (10,78%), la percentuale degli operatori dediti all’outgoing è più che doppia: il 15,94%.
Va rilevata inoltre l’alta percentuale (35,45%) delle agenzie intemediarie, la cui principale attività consiste nell’emissione di biglietti, nella prenotazione di viaggi e soggiorni in genere intermediati dai TO, e quindi in gran parte dediti a favorire i viaggi verso l’estero. La stessa attività viene svolta in genere anche dalle agenzie classificate come “di piccole dimensioni” (il 25,63%).
Il turismo che “non appare”.
Il fenomeno del cosiddetto “Turismo che non appare”, che consiste nel sommerso, rappresentato dalla domanda di soggiorni in appartamenti per vacanza. Fenomeno talmente vasto da rappresentare i due terzi di quello ufficialmente rilevato: a fronte infatti di 344 milioni di presenze ufficiali nel 2003, ce ne sarebbero state altri 729 milioni, nei 2.978.375 appartamenti di vacanza stimati dallo studio citato, che avrebbero portato l’effettiva consistenza delle presenze a 1,073 miliardi.