Allargando lo sguardo a livello europeo è possibile osservare dinamiche comuni che comportano mutamenti sostanziali all’interno della famiglia: si assiste ad un aumento delle convivenze a scapito dei matrimoni, ad una centralità della coppia rispetto ai figli, e quindi al passaggio da un modello familiare unico ad una pluralità di forme familiari. La situazione dell’Italia ricalca abbastanza fedelmente quella dei paesi europei occidentali, ma al tempo stesso presenta alcune peculiarità. Nel 2001 si è registrato nell’Unione europea (paesi Ue15) un tasso di nuzialità di 5,1 per mille abitanti, con il valore minimo di 4,0 per la Svezia e quello massimo di 6,8 per la Danimarca; l’Italia fa segnare uno dei tassi tra i più bassi (4,5 per mille abitanti). Confrontando il numero medio di figli per donna nel periodo 1960-2002, emerge come da una media europea di 2,59 figli per donna del 1960 si passa ad un valore di 1,47 che non raggiunge il tasso di sostituzione utile a garantire l’equilibrio demografico della popolazione; l’Italia nel periodo preso in considerazione è passata da 2,41 a 1,26 figli per donna, con un valore tra i più bassi in assoluto (secondo, in questa classifica negativa, soltanto a quello di Francia, da 2,86 a 1,25, e Grecia, da 2,28 a 1,25). Le madri italiane danno alla luce il loro primo bambino mediamente all’età di 30,3 anni, facendo registrare un valore molto più alto rispetto a quello delle madri austriache (28,6) e del Regno Unito (28,7), e inferiore soltanto al dato dell’Irlanda (30,6) e dei paesi Bassi (30,4). Il dato relativo alle nascite fuori del matrimonio nell’anno 2002 mostra una grande variabilità della situazione europea; infatti se il valore percentuale più alto si riscontra in Svezia con il 56% delle nascite fuori dal matrimonio, il valore più basso – molto distanziato da quello degli altri paesi europei occidentali – si ha proprio in Italia con meno del 10%.
Dinamiche familiari e nuovi trend in Italia.
Dal confronto dei dati dal 1997 al 2002 emerge nel nostro Paese un aumento in valore assoluto del numero delle famiglie di 1.000 migliaia circa (passando dalle 21.041.000 famiglie del 1997 alle 22.053.000 del 2002), che in termini percentuali si traduce in un aumento complessivo nel quinquennio del 4,8%. La tipologia familiare più diffusa è sempre quella delle coppie con figli, ma mentre nel 1997 rappresentava il 47,1% del totale, nel 2002 l’incidenza scende al 43,8%, con una diminuzione che non risparmia nessuna delle aree della penisola. Le coppie senza figli sono diminuite, sebbene in misura più contenuta rispetto alle coppie con figli, passando dal 20,9% al 20%; il dato percentuale decresce in tutte le aree tranne che nel Nord-Ovest, dove la percentuale rimane stabile al 23%. Il numero delle persone sole è in continuo aumento: infatti mentre nel 1997 questa tipologia costituiva il 20,8% del totale delle famiglie, rappresentando la terza “forma” familiare più diffusa, nel 2002 essa raggiunge il 24,8% assestandosi al secondo posto; l’aumento più consistente si registra nel Nord-Est, con una crescita nei cinque anni considerati quasi del 5%. Per quanto riguarda il numero delle famiglie monogenitoriali assistiamo ad una leggera crescita del dato, dall’8,2% all’8,3%. L’aumento più vistoso è registrato al Sud e nelle Isole, che passano dal 7,7% all’8,2%. La percentuale delle altre famiglie senza nuclei rimane invariata nel periodo considerato con un’incidenza sul totale dell’1,9%, mentre le famiglie con due o più nuclei costituiscono l’1,2% delle tipologie familiari nel 2002.
Il matrimonio: l’unico modo per costituire una famiglia? Negli ultimi anni la nostra società ha conosciuto molteplici cambiamenti sia a livello sociale che economico, che hanno fatto sì che l’istituzione matrimoniale non fosse più considerata l’unica soluzione per un progetto di vita duraturo. Innanzitutto, si assiste ad una maggiore diffusione delle convivenze tra uomo e donna che sono dettate da motivazioni sia economiche sia affettive: in alcuni casi la convivenza stessa rappresenta il banco di prova per un futuro matrimonio, in altri è la soluzione più comoda per individui ancora giovani e/o poco stabili economicamente. L’evoluzione del numero di matrimoni negli ultimi anni non lascia spazio a molti dubbi, infatti prendendo in esame i dati dal 1986 al 2002 è chiaramente visibile il vistoso calo che si è registrato in questi anni nel nostro Paese: dai 297.540 matrimoni del 1986 si è scesi ai 265.365 del 2002, con una diminuzione in termini percentuali del 10,8%. In questo lasso di tempo emergono delle tendenze di periodo abbastanza chiare, con una crescita fino al 1989 (anno in cui si registra il picco massimo con 321.272 matrimoni), quindi una progressiva diminuzione fino al 1999 e infine, negli ultimi anni, un andamento altalenante (che tocca il suo punto più basso nel 2001 con 260.904). Il numero dei matrimoni religiosi è da sempre stato in netto vantaggio spetto al numero dei matrimoni civili, segno distintivo di una religiosità molto radicata nel nostro Paese. Negli ultimi anni, tuttavia, emerge una tendenza molto forte che porta ad una riduzione dei primi in favore dei secondi: mentre nel 1986 i matrimoni celebrati con rito religioso rappresentavano quasi l’86% del totale contro il 14% di quelli con rito civile, nel 2002 la percentuale dei matrimoni religiosi scende a meno del 72% e quella dei matrimoni civili sale a più del 28%. L’età media delle prime nozze per le donne italiane si è mantenuta per circa 30 anni, dal 1960 al 1990, su valori compresi tra i 24 e i 25 anni: nei 10 anni successivi si è innalzata notevolmente fino ai 28,5 anni del 2001. In questo senso, è interessante evidenziare l’incremento dell’età media delle donne al primo matrimonio registrata tra il 2000 e il 2001: da 26,5 a 28,5.
Separazioni e divorzi. Nell’arco di poco più di una decina di anni il numero di separazioni in Italia è cresciuto sensibilmente; mentre nel 1990 il numero di separazioni nel nostro Paese ammontava a 44.018, nel 2003 il dato si è attestato sulle 81.744 separazioni, riportando quindi complessivamente nel periodo una crescita complessiva di circa l’86%; confrontando i dati relativi agli ultimi due anni (2002-2003) la crescita è stata del 2,6%. Anche per i divorzi si presenta un trend evolutivo simile a quello delle separazioni: nel 1990 si registravano 27.682 divorzi, cifra cresciuta negli anni fino ad arrivare ai 43.856 divorzi del 2003, con un incremento complessivo del 58% e con una crescita nell’ultimo anno del 4,8%.
Divise tra casa e lavoro. Per far fronte a questo duplice impegno la donna ricorre molto spesso all’occupazione part-time. Dall’“Indagine sulle Forze di lavoro” (Istat 2003) emerge come la percentuale di donne che usufruisce di questa tipologia di lavoro è più alta rispetto a quella maschile per tutte le classi d’età prese in considerazione. Nelle coppie senza figli su 100 occupati dipendenti con le stesse caratteristiche soltanto 2,4 uomini lavorano part-time, mentre per le donne il dato sale a 14,1; fra i lavoratori autonomi si registrano 5,1 uomini e 14,4 donne. L’utilizzo del part-time risulta più frequente fra le coppie con figli: infatti mentre per gli uomini il dato è pressoché stabile (2,3 occupati per i lavoratori dipendenti e 2,1 per gli autonomi) per le donne si ha un netto balzo con 23,1 lavoratrici dipendenti part-time e 17,4 lavoratrici autonome. Per le coppie con figli il ricorso a questa forma di lavoro da parte della donna diventa quasi una scelta obbligata per garantire l’equilibrio familiare; quanto detto emerge in maniera marcata osservando il dato relativo alle occupate dipendenti tra i 25-34 anni e 35-44 anni: rappresentano le fasce d’età in cui si ha la nascita del primo figlio ed eventualmente anche dei successivi e presentano le percentuali più elevate di lavoratrici dipendenti part-time (rispettivamente il 29,1% ed il 26,7%).
Infine, più del 40% delle donne in coppia senza figli lavora part-time perché tale tipologia è stata imposta dall’azienda in cui lavora; quasi il 30% non desidera un lavoro a tempo pieno.
Un modello familiare in crescita: la famiglia allargata.
L’aumento di rotture familiari determina anche l’aumento, in seguito alle nuove unioni degli ex coniugi, delle famiglie “ricostituite”, dette anche “ricomposte” o “allargate”. Questa tipologia familiare era presente anche nel passato ma mentre ai nostri giorni è determinata principalmente da separazioni e divorzi, in passato aveva come causa principale l’elevato numero di morti precoci di uno dei due coniugi. In queste famiglie, in cui le interrelazioni diventano complicate, rischiano di risultare penalizzati proprio i figli, che trovano difficoltà ad individuare punti fermi nella nuova struttura familiare. D’altra parte, nella maggior parte dei casi questo periodo iniziale di adattamento viene superato con successo, anche se con fatica, e può rappresentare un punto di partenza positivo per costituire nuove relazioni anche con gli altri nuovi componenti acquisiti (come nel caso di figli della precedente unione del nuovo genitore).