Il tabù della buona educazione sociale ha imposto per decenni di non parlare della morte e del morire. Si possono citare il progressivo celare i segni esteriori del lutto e la sconfessione dei rituali formali che accompagnavano la morte delle persone, fattori che contribuivano, tutti insieme, alla elaborazione del lutto e al recupero, in forme sociali, delle tensioni e delle emozioni della perdita di una persona cara. Ma c’è un altro fattore che ha contribuito in maniera determinante ad espellere la morte e il morire dalla coscienza della società, ossia la “medicalizzazione” dei due eventi naturali per eccellenza: la nascita e la morte, sottratti all’ambito della famiglia e assegnati, come luogo d’elezione, all’ospedale. Di qui la delega delle famiglie e della società all’istituzione sanitaria. Con la conseguenza che è sotto gli occhi di tutti: che in ospedale si muore male, si muore in solitudine.
“Residenze per cure palliative-hospice”. Il Sistema sanitario nazionale non ha trascurato il problema dell’assistenza ai malati terminali, ma, al contrario, a livello di consapevolezza ha raggiunto punte ragguardevoli di comprensione del fenomeno e delle risposte possibili. Da questa consapevolezza sono derivate tre precise linee d’intervento: il finanziamento della realizzazione di strutture specifiche, le “Residenze per le cure palliative-hospice”; il potenziamento a rete dei servizi territoriali per l’assistenza dei malati terminali che affrontano il periodo finale della propria vita nell’ambito familiare e per il sostegno delle persone che a loro sopravvivono, includendo nel concetto di rete anche l’apporto insostituibile e prezioso del volontariato e della solidarietà sociale; la formazione e l’aggiornamento professionale delle persone (medici, psicologi, infermieri, operatori tecnici, volontari) che si dedicano, per propria scelta o per finalità istituzionali, al meritorio e delicatissimo impegno dell’assistenza ai malati terminali. Il Ssn ha destinato risorse notevoli – 206 milioni di euro (oltre 400 miliardi di vecchie lire) – per la attivazione, da parte delle Asl e di organizzazioni non profit, di 201 Residenze per le cure palliative: ad oggi risultano attivate solo 61 strutture, di cui 30 con finanziamenti privati. E anche dove le strutture residenziali sono già attive, non sempre gli standard qualitativi e quantitativi (con riferimento soprattutto al personale) risultano adeguati ed omogenei. La realizzazione delle Residenze non è, comunque, risolutiva del problema. La dimensione del fenomeno (tra 210.000 e 280.000 nuovi casi l’anno) e la propensione marcata dei pazienti terminali a restare nell’ambito della famiglia (85%) fanno della rete dei servizi territoriali e, in particolare, dell’assistenza domiciliare integrata, la soluzione migliore per consentire ai malati terminali una “buona morte”. Per quanto concerne la realizzazione delle strutture residenziali per le cure palliative, la situazione vede al primo posto nei finanziamenti accordati la Lombardia (34.244.898 euro e 38 strutture previste), seguita dal Piemonte (18.464.816 euro e 20 strutture), dal Lazio (17.465.833 euro e 8 strutture), dall’Emilia Romagna (17.191.415 euro e 21 strutture), dal Veneto (16.421.994 euro e 15 strutture) e dalla Campania (15.947.834 euro e 9 strutture).
Una nuova consapevolezza. Nell’ambito del programma straordinario di investimenti per la sanità, con la legge 39/99 è stato messo a punto un programma specifico per la realizzazione di strutture destinate alle cure palliative. Con il Dpcm del 20 gennaio 2000 sono stati definiti gli standard strutturali, tecnologici e organizzativi delle residenze per cure palliative e con Dm del 5 settembre 2001 sono stati ripartiti, tra le Regioni, i finanziamenti per la loro realizzazione. Un rilievo particolare riveste, in questo processo di maturazione, l’Accordo raggiunto tra il Ministero della Sanità, le Regioni e gli Enti locali il 19 aprile 2001, con il quale sono stati definiti, con formulazione condivisa da tutti i livelli istituzionali, gli elementi caratterizzanti le cure palliative, il campo di applicazione delle stesse e gli obiettivi da perseguire con l’apporto anche dei servizi socio-assistenziali, del volontariato e delle organizzazioni non profit. Come corollario dell’accordo raggiunto, le cure palliative sono entrate ufficialmente tra i “Livelli essenziali di assistenza” fissati con il Dpcm del 29 novembre 2001. Tra i livelli di assistenza distrettuale, al punto G (Assistenza territoriale ambulatoriale e domiciliare) e al punto H (Assistenza territoriale residenziale e semiresidenziale) è stata indicata «l’attività sanitaria e socio-sanitaria rivolta ai pazienti nella fase terminale». Nulla di specifico per le cure palliative risulta previsto, invece, nei livelli di assistenza ospedaliera e di ospedalizzazione domiciliare, ma è implicito che i livelli di trattamento da assicurare in corso di ricovero ospedaliero o di ospedalizzazione domiciliare si riferiscono anche ai pazienti terminali spedalizzati. Si tratta ancora di indicazioni molto generiche, tanto è vero che il “Rapporto nazionale di monitoraggio dell’assistenza sanitaria per l’anno 2001”, pur essendo stato completato nel maggio del 2004, non reca alcuna indicazione relativa alle cure palliative e/o alla terapia del dolore, né prevede indicatori per la rilevazione del fenomeno. Alla carenza di indicatori specifici è stato provveduto successivamente con l’“Atto di accordo tra Governo e Regioni” in data 13 marzo 2003.
Il Comitato nazionale sulle cure palliative. Nel 2002 il Ministro della Salute ha istituito con proprio decreto, presso il Ministero, un “Comitato nazionale sulle cure palliative”, con il compito di promuovere la realizzazione di questo tipo di assistenza in ospedale e a domicilio, secondo le linee d’indirizzo contenute nell’allora emanando Piano sanitario nazionale 2002-2004. Nel mese di settembre del 2003, il Comitato sulle cure palliative ha presentato il documento conclusivo dei propri lavori. Nel documento è delineato e descritto il modello organizzativo per la realizzazione della rete delle cure palliative. Il documento costituisce, ad oggi, il punto più alto di consapevolezza e di compiutezza modellistica riguardante l’assistenza ai malati terminali, raggiunto dal SSN e vanta la partecipazione (con riflessioni e proposte) di esponenti delle istituzioni sanitarie centrale, regionali e locali, del mondo scientifico e professionale, nonché del volontariato e delle organizzazioni Onlus già operative nel settore degli “hospice”. Il documento è stato sottoposto in seguito al parere del Consiglio Superiore di Sanità che, con alcune modifiche e puntualizzazioni, lo ha approvato in data 16 dicembre 2003. Portato all’approvazione finale della “Conferenza Stato-Regioni”, il documento è stato, però, bocciato ad iniziativa di alcune Regioni maggiormente attive in materia, le quali, avvalendosi delle modifiche apportate al Titolo V della Costituzione, hanno eccepito l’invadenza statale in materie riservate alla competenza regionale.

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