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[ ANNO I – OTTOBRE 2005 – NUMERO 50 ] LA SITUAZIONE DELLA GESTIONE DEI RIFIUTI IN ITALIA

I rifiuti in Italia. Solo riferendosi alla situazione italiana, dal 2000 al 2003 la produzione di rifiuti è cresciuta del 3,8% (con incrementi medi annui dell’1,3%), di contro ad un aumento percentuale del Pil e dei consumi delle famiglie rispettivamente del 2,4% e dell’1,8% circa, (0,8% e 0,6% all’anno). La produzione di rifiuti in Italia, dunque, negli ultimi 3 anni, pur mostrando un trend di crescita progressivamente più rallentato rispetto agli anni precedenti (26.605 tonnellate nel 1997, pari ad un quantitativo pro capite di 462,2 kg/abitante/anno, 28.959 t nel 2000, pari ad 501 kg/ab/a, 30.038 t nel 2003, pari a 524 kg/ab/a) è aumentata più rapidamente dei consumi e del Pil: l’Italia, dunque, sembra gettare nella spazzatura più di quanto riesca ad acquistare e/o a produrre. La quantità di rifiuti generata da un paese non costituisce solo una misura della sua crescita economica, un’esternalità negativa sviluppata dalle sue attività produttive, ma rappresenta un indicatore del ritmo di sfruttamento ed impoverimento delle sue risorse: produrre rifiuti significa utilizzare risorse potenziali, sia materiali sia energetiche, che, se non recuperate, vanno a sovraccaricare l’ambiente, incidendo sulla sua capacità di assorbimento e rigenerazione. I rifiuti, quindi, rappresentano un problema ambientale, igienico-sanitario, sociale, prima che strettamente economico-gestionale. In questo senso, il recepimento delle norme comunitarie ha comportato anche per l’Italia la necessità di raggiungere una serie di obiettivi in materia di tutela dell’ambiente, di risparmio energetico e di smaltimento/recupero di rifiuti.
Attualmente i risultati raggiunti nella gestione dei rifiuti sono: 3.708.000 tonnellate di raccolta differenziata nel 1999, pari al 13,1%; 5.115.000 t nel 2001 (17,4%); 6.450.000 t nel 2003 (21,5%). Il 36% della popolazione, i residenti al Sud, produce il 32% circa dei rifiuti urbani totali e l’11% della raccolta differenziata nazionale. Non a caso quasi tutte le maggiori regioni meridionali, Campania, Sicilia, Puglia, Calabria e Molise, sono in emergenza rifiuti. Per quanto riguarda poi la destinazione finale dei rifiuti le regioni meridionali contribuiscono al valore totale dei rifiuti mandati in discarica pari al 42% al 2003, di fronte al 36% della popolazione e al 32% della produzione totale. Prendendo in considerazione i dati relativi al 2000 e al 2003, si è evidenziata una forte riduzione dello smaltimento in discarica, passato dal 72,4% al 53,5%. Parallelamente, è possibile registrare l’aumento del trattamento meccanico biologico dei rifiuti indifferenziati che dal 10,3% passa al 22,2% e del compostaggio da matrici selezionate che nel 2003 raggiunge l’8,1% del totale gestito rispetto all’4,1% del 2000. La quota di rifiuti avviati ad incenerimento si mostra lievemente in crescita (dal 8,5% del 2000 al 9,40 del 2003), pur non raggiungendo ancora i livelli europei.
Discariche autorizzate. Nel nostro Paese, il numero di discariche autorizzate per rifiuti urbani ha subìto una flessione, passando da un totale di 552 impianti nel 2002 a 487 nel 2003, determinata dalla chiusura di molti impianti, soprattutto nel Sud. Tale andamento può essere correlato al recente recepimento delle direttive europee che rendono più rigide le regole tecniche di costruzione e gestione degli impianti di discarica esistenti. Il quadro impiantistico italiano, quindi, si è venuto complessivamente riorganizzando al Sud del Paese, dove si è passati da 368 impianti del 2002 a 308 del 2003 con una quantità smaltita di rifiuti diminuita da 7.701.000 Kg a 7.591.000 Kg. Mentre, sempre per gli anni di riferimento, la situazione è rimasta sostanzialmente inalterata al Nord (da 123 a 122 impianti; da 6.466.000 a 5.865.000 Kg di riufiti smaltiti) e Centro Italia (da 61 a 57 impianti a 4.681.000 a 4.541.000 Kg di rifiuti smaltiti). I rifiuti urbani smaltiti in discarica si riducono di circa 0,9 milioni di tonnellate dal 2002 al 2003, per effetto, in parte, dell’aumento della raccolta differenziata (passata dal 19,2% nel 2002 al 21,5% nel 2003), in parte, dell’aumento delle quote di rifiuti urbani avviate agli impianti di trattamento meccanico biologico. La riduzione maggiore di rifiuto avviato in discarica si è registrata al Nord, dove la percentuale di raccolta differenziata ha subìto il maggiore incremento, mentre nel Centro e Sud Italia la diminuzione appare più contenuta. Il Lazio, anche per il 2003, si conferma la regione con la maggiore incidenza di rifiuti smaltiti in discarica (2,7 milioni di tonnellate circa, pari ad oltre il 90% dei rifiuti prodotti nella Regione), seguita da Sicilia e Puglia che si attestano sulle analoghe percentuali.
Discariche abusive. Resta comunque aperta la questione delle discariche abusive sul territorio nazionale il cui totale, per il 2002, ammonterebbe a 4.866 unità, per una superficie di 19.017.157 mq, con 1.765 discariche di recente formazione. Se si considera poi che, nel 1996, il numero delle discariche abusive si attestava a 5.422 unità per una superficie di 17.594.397 mq appare evidente un trend che contrappone ad una diminuzione in numero assoluto delle discariche abusive un preoccupante aumento della loro superficie. Questo dato non può che evidenziare la trasformazione del problema da fenomeno occasionale in realtà effettiva, gestita e controllata sul territorio da organizzazioni illecite. In riferimento al 2002, la regione che risulta avere il maggior numero di discariche abusive è la Puglia, con quasi 600 discariche, seguita dalla Lombardia dove se ne contano oltre 500. Per quanto riguarda la superficie totale occupata dalle discariche incontrollate sono ai primi posti il Veneto (5.482.527 mq) e la Puglia (3.861.622 mq). Risultano, inoltre, ancora attive 1.654 discariche abusive, mentre 3.212 discariche non risultano più utilizzate. Dal punto di vista della distribuzione geografico-territoriale, tre sono le zone di particolare concentrazione delle discariche: la Puglia, la zona compresa tra Emilia Romagna, Liguria e Toscana e quella costituita dal Piemonte e dalla Lombardia. In quasi tutte le regioni le discariche inattive superano quelle attive, tranne che nella Puglia, che vanta anche un secondo primato: la regione con il maggior numero in assoluto di discariche ancora utilizzate (440). Risultano essere state bonificate 1.030 discariche abusive, mentre delle 3.836 o non risultano bonificate oppure sono state oggetto di interventi che non possono essere considerati risolutivi rispetto ai rischi di potenziali danni ambientali. La distribuzione degli interventi di bonifica ha interessato soprattutto le regioni del Nord Italia. In conclusione, nel nostro Paese si registra la presenza di oltre 6.697.066 mq di discariche incontrollate, contenenti materiali pericolosi di varia natura. La distribuzione geografico-territoriale delle discariche con presenza di rifiuti pericolosi denota la maggiore concentrazione nel Salento, nell’area circostante la città di Bari, nella zona centro-occidentale dell’Abruzzo, in una ristretta area a Nord delle Marche a confine con la Repubblica di S. Marino e l’Emilia Romagna, in Liguria e in Veneto.
Gli inceneritori. L’attuale situazione impiantistica in Italia si sta andando progressivamente modificando, da un lato grazie ai processi di ammodernamento e ristrutturazione degli impianti esistenti, dall’altro attraverso la costruzione e progettazione di nuovi impianti. Attualmente in Italia risultano attivi circa 50 impianti, 31 sono localizzati nel Nord, 13 nel Centro e 6 nel Sud. Nel 2003 vi sono ancora due regioni del Nord (Val d’Aosta e Liguria) e ben quattro del Sud (Abruzzo, Molise, Campania e Calabria) a non avere alcun impianto di incenerimento. Per il 2007 si prevede la realizzazione di un quadro impiantistico articolato in 57 impianti: 32 nel Nord Italia, 12 al Centro e ben 13 nel Sud. Solo nella regione Sicilia, infatti, è prevista la realizzazione di 4 impianti, entro il 2006. Nonostante gli impianti di termovalorizzazione siano al centro di molteplici iniziative da parte delle autorità istituzionali finalizzate a rassicurare l’opinione pubblica sugli eventuali rischi ambientali e igienico-sanitari prodotti, la situazione italiana attuale vede alcuni degli impianti ad oggi attivi sprovvisti di uno studio di Valutazione di Impatto Ambientale, obbligatorio per legge: l’inceneritore Asm di Brescia, ad esempio, presentato al pubblico come l’impianto italiano ed europeo tecnologicamente all’avanguardia, è tutt’oggi oggetto di un procedimento di infrazione da parte della Comunità Europea, a causa proprio della mancata valutazione ambientale.
La situazione in Campania. Il 2004 è stato l’anno in cui l’emergenza rifiuti in Campania è tornata sotto i riflettori. Già 10 anni fa, a causa la disastrosa situazione in cui versava il territorio campano, veniva dichiarato lo stato di emergenza della regione per il settore rifiuti. La situazione sul territorio, all’epoca come oggi, era drammatica: le ecomafie gestivano i traffici illeciti dei rifiuti, come le indagini giudiziarie successivamente acclareranno; la Campania, le province di Napoli e Caserta, rappresentavano il territorio ideale per lo smaltimento illegale e selvaggio di imponenti quantitativi di rifiuti di ogni genere. Nonostante nel corso degli anni siano state chiuse molte delle discariche abusive e sia incrementata la raccolta differenziata, in Campania si producono 7.500 tonnellate di rifiuti al giorno, 2.000 le ecoballe.
«Ogni abitante della Campania spende oltre 40 euro all’anno per pagare il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti. Per portare i rifiuti fuori regione solo nell’ultima settimana di marzo sono stati spesi 500mila euro al giorno. Gli impianti di Cdr (Combustibili da rifiuti), oltre a balle di combustibile da bruciare, producono anche frazione organica e sovvalli, per i quali c’è bisogno di discariche. In Campania si producono 3.200 tonnellate al giorno di Fos (Frazione organica stabilizzata), un quantitativo equivalente a quello del resto d’Italia. Da qui a dieci anni, l’emergenza rifiuti in Campania sarà un affare da 350 milioni di euro: 85 milioni di euro per reperire 4 milioni e mezzo di mq di superficie dove stoccare le ecoballe, altri 55 milioni di euro per trovare 11,5 milioni di metri cubi di discariche dove smaltire sovvalli e Fos; 210 milioni di euro per trasportare ecoballe e Fos dagli impianti alle aree prescelte. Tanto denaro non può non alimentare le mire di chi in questi anni ha fatto affari sui rifiuti» (Legambiente, Rapporto Ecomafia, 2004).