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[ ANNO I – SETTEMBRE 2005 – NUMERO 44 ] UNO STUDIO SUI PICCOLI INVESTITORI

L’identikit della componente retail. Eurispes-GSC Proxitalia hanno realizzato una indagine su un campione di 1.000 piccoli investitori di Borsa che hanno effettuato investimenti azionari nel corso dei 5 anni precedenti la rilevazione.
L’indagine, condotta nel 2004, ha fatto emergere una componente retail prudente, quasi mai estremamente speculativa, con strategie di investimento non aggressive. La maggioranza degli intervistati possiede titoli azionari di società italiane (il 65,1% e solo il 15,2% estere); allo stesso tempo essi hanno investito in titoli di Stato (44,1%) e obbligazioni (il 42,3% italiane e il 15,4% estere). Molto elevate anche le percentuali di coloro che hanno scelto strumenti finanziari a breve termine (35,8%), fondi comuni di investimento (33,1%) e strumenti finanziari assicurativi (18,7%). Più limitati i casi degli investitori che si sono orientati verso gestioni patrimoniali (9,6%) o strumenti derivati (5,4%).
Questi ultimi sono potenzialmente più redditizi ma anche molto più volatili, il che comporta rischi di salvaguardia del capitale molto elevati. Rispetto alle diverse tipologie azionarie detenute, si evidenzia un orientamento prevalente verso le azioni ordinarie (77,9%), che consentono al detentore di votare in tutte le assemblee degli azionisti, ma non conferiscono alcun privilegio in merito alla assegnazione dei dividendi. Una elevata percentuale di risparmiatori possiede azioni di risparmio (36,3%), mentre una componente residuale (15,2%) ha inserito nel proprio portafoglio finanziario azioni privilegiate. Tra i principali indici del mercato azionario prevale un orientamento verso il Mib30: il 69,3% degli investitori ha indirizzato gli investimenti proprio verso i 30 titoli del mercato italiano che hanno la maggiore capitalizzazione. Segue il Mib (35,2%), il Numtel con il 18,9% e il Midex con il 10,6%. Circa un intervistato su tre prevede di conseguire una redditività nel lungo termine, ossia per un periodo superiore ai cinque anni, durante il quale è molto probabile che anche un investimento rischioso generi rendimenti superiori a quelli, attualmente molto bassi, offerti dai titoli di Stato. Il 25,4% degli investitori manterrà invece le attività finanziarie in possesso per un arco temporale che va dai tre ai cinque anni e il 22,3% per uno o due anni. Una componente minima, solo il 15,1% del campione, smobiliterà i capitali investiti entro un anno. I piccoli investitori di Borsa si aspettano prevalentemente di proteggere il valore del capitale investito (il 44,4% degli intervistati); il 13,4% del campione vuole incrementare il valore del capitale investito in una percentuale superiore al 10% e soltanto l’11,6% per un valore compreso tra il 6 e il 10%. Componenti minori (3%) si aspettano dai loro investimenti una remunerazione periodica, oppure una certa liquidità al patrimonio (2,8%).
Piccoli investitori: poco fiduciosi e demotivati. Nel 70% dei casi le fibrillazioni dei mercati borsistici e i dissesti finanziari di diverse società quotate ha scoraggiato, molto o abbastanza, la propensione degli intervistati a investire in Borsa. Dal confronto tra le quote di azioni e obbligazioni possedute e quelle che si ha intenzione di acquistare, correlate con la percentuale di investimenti in Borsa emerge il netto scetticismo degli investitori nei confronti di strumenti finanziari che oggi possiedono, soprattutto tra coloro che hanno quote elevate di risparmio in Borsa. Si registra quindi un decremento del 10,7% per le obbligazioni italiane e una complessiva perdita di consensi per quanto riguarda le obbligazioni estere che nel rapporto presente/futuro passano dal 15,4% al 10,5%. La situazione sembra poi precipitare tra coloro che hanno investito in Borsa più del 50% del risparmio totale, si prevede che la quota del 23,9% scenderà al 3,5%. In altri casi, invece, si prospetta un andamento inverso che bilancia la curva negativa: coloro che hanno investito in Borsa meno del 5% oppure tra il 31% e il 50% nel futuro sono propensi ad incrementare l’acquisto di obbligazioni estere. Secondo questi dati, il mercato azionario italiano subirà le perdite più gravi: passando dall’attuale 65,1% al 44%. Risulta evidente e diffuso tra tutte le categorie di risparmiatori lo scetticismo nei confronti di titoli azionari emessi da società italiane, si conferma il maggiore pessimismo tra coloro che hanno collocato in Borsa oltre la metà del loro risparmio (attualmente l’86,7% degli intervistati e solo il 34,5% nelle intenzioni future). I titoli azionari esteri presentano un trend omogeneo che vede un decremento contenuto in tutte le tipologie di investitori e conferma la disillusione tra i maggiori azionisti (con uno scarto presente/futuro del -20%). Altro dato interessante riguarda coloro che hanno collocato sul mercato azionario estero meno del 5% del capitale, tra cui la scarsa propensione a questo genere di investimenti si trasformerà in un totale disinteresse.
L’importanza di essere informati. L’andamento altalenante delle Borse, ed in particolare la forte recessione iniziata nel 2001, hanno determinato negli azionisti una maggiore ricerca di informazioni, che permettano loro di operare scelte strategiche più consapevoli. La larga maggioranza (61,1%) considera utile essere informato sui fatti e sui dati attinenti alla società in cui ha investito; per il 14,7% esse sono indispensabili, per l’11,7% poco utili, per il 9,3% inutili.
Per tenersi aggiornati sull’andamento dei propri investimenti in titoli il 69,9% degli investitori utilizza la televisione, il televideo e/o la radio; il 55,6% utilizza i quotidiani e/o le riviste finanziarie specializzate. La metà del campione (49,9%) si rivolge ai consulenti bancari. Internet viene utilizzato dal 31,4% degli intervistati, i quotidiani non specializzati dal 24,7%, il sito della società dal 23%, gli amici ed i parenti dal 22,6%, il consulente d’investimento dal 17,5% e i promotori/consulenti finanziari dal 12,4%.
Bisogno di trasparenza. I giudizi dei piccoli investitori intervistati sui consulenti bancari non è del tutto positivo. In particolare, il 46,3% degli intervistati giudica per niente (8,9%) o poco (37,4%) trasparente il proprio operatore bancario, mentre il 45,7% è dell’avviso contrario. Il 56,5% ritiene che l’operatore bancario sia interessato unicamente alla vendita dei prodotti finanziari; diversamente, il 35% degli intervistati condivide poco (25,2%) o per niente (9,9%) questa opinione. Il giudizio complessivo sugli operatori finanziari è molto più critico rispetto a quello bancario, i giudizi negativi superano quelli positivi in quasi tutti gli items: dalla chiarezza alla tempestività, dalla trasparenza all’esaustività.
Gli intervistati riconoscono, invece, una buona disponibilità degli operatori finanziari/assicurativi: per il 9,8% sono molto disponibili e per il 29,3% abbastanza. Anche in questo caso risulta molto diffusa la convinzione che l’unico interesse degli operatori finanziari/assicurativi sia la vendita dei prodotti finanziari, ma in toni più moderati rispetto a quelli degli investitori che si rivolgono al canale bancario. Coloro che hanno acquistato prodotti finanziari tramite canale bancario o assicurativo hanno espresso prevalentemente un grado di soddisfazione intermedio per il servizio ricevuto (45,9%), mentre quasi due investitori su dieci si collocano su un basso livello di soddisfazione e il 7,6% molto basso. Sommando i casi di risposte positive otteniamo il 17,2% di intervistati che si ritiene complessivamente soddisfatto: nello specifico, il 15,4% per il grado di positività elevato e l’1,8% si esprime per il livello massimo di soddisfazione. In relazione al rapporto investitore/società emittente, l’indagine ha rilevato come solo un terzo degli investitori legga con assiduità i documenti forniti dalla società emittente. La maggioranza non ha l’abitudine di leggere regolarmente i prospetti informativi e/o la documentazione ufficiale riguardanti la società di cui ha acquistato le azioni: il 36,5% afferma infatti di leggerli solo raramente, il 28,4% addirittura mai, il 24% spesso, l’8,3% sempre.
Il retail italiano rivendica una maggiore trasparenza e qualità dell’informazione finanziaria. La maggior parte del campione, infatti, ritiene che la documentazione informativa ufficiale della società emittente non consenta di operare scelte d’investimento consapevoli. In particolare, il 44,4% è dell’opinione che lo consentano solo in parte, mentre il 36,3% ritiene che non lo consentano affatto. Oltre il 55% del campione non ritiene esaustivi, concisi e facilmente reperibili i prospetti informativi e la documentazione ufficiale delle società quotate in Borsa. Diversamente, la maggioranza degli intervistati (il 58,7%) ritiene utile (48,1%) o addirittura indispensabile (10,6%) il contatto diretto con le società che emettono le azioni e le obbligazioni. Un altro 18,2% esprime un giudizio più contenuto, ritenendo che il contatto diretto società-investitore sia di poca utilità, mentre meno di un investitore su cinque (19,6%) lo considera del tutto inutile.
Tuttavia, la partecipazione degli investitori alle assemblee societarie è decisamente scarsa. La stragrande maggioranza del campione infatti, l’83,7%, non vi ha mai partecipato. Tra gli investitori che hanno risposto in maniera affermativa, complessivamente l’11,2%, la maggior parte (9,1%) ha preso parte solo qualche volta alle assemblee, solo l’1,3% ha partecipato spesso e appena lo 0,8% sistematicamente.
Solo il 18,6% degli investitori ritiene che lo strumento dell’assemblea rappresenti ancora un momento di incontro e di confronto tra azionisti e direzione aziendale. Il 36,2% pensa che il momento assembleare sia un’occasione di confronto solo per alcune categorie di investitori, come gli azionisti di controllo o gli investitori istituzionali, ed il 42,3% boccia del tutto lo strumento dell’assemblea.
L’85% degli intervistati ritengono in fine che le società quotate tengono in scarsa o nulla considerazione gli interessi dei piccoli azionisti. Nello specifico, il 50,6% degli investitori ritiene che le società quotate tengano poco in considerazione gli interessi dei piccoli azionisti ed il 35,1% pensa che questi non vengano per niente considerati. Di parere contrario appena il 10,7% del campione, secondo cui gli interessi dei piccoli azionisti vengono abbastanza (9,6%) o molto (1,1%) considerati dalle società quotate.