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[ ANNO I – AGOSTO 2005 – NUMERO 36 ] LA POLITICA ZAPPING DEL CAVALIERE DANDY

L’analisi degli eventi e delle iniziative dei leader di partito più significativi nel 2004 conferma che la tendenza alla spettacolarizzazione della politica si è, negli ultimi anni, ulteriormente accentuata. L’agenda politica ormai non conosce pause: soprattutto nell’area governativa, si assiste a modificazioni repentine dei temi, dei contenuti e del linguaggio politico secondo ritmi che ricordano la costruzione dei palinsesti della programmazione televisiva.
L’opposizione del centro-sinistra non sembra in grado di misurarsi con la capacità di selezione dei temi e con la disinvoltura nella scelta dei tempi con cui i registi della Casa delle Libertà impostano la propria strategia politica e comunicativa.
È vero che l’agenda politica è strettamente connessa al verificarsi di eventi imprevisti e di emergenze quotidiane (disastri ambientali, minacce terroristiche, ecc.) così come temi di grande rilievo politico impongono scelte difficilmente eludibili da parte di entrambi gli schieramenti.
Ma è nella costruzione del calendario politico e nella continua proposta di argomenti inediti che il centro-destra mostra una particolare abilità, soprattutto quando il centro-sinistra cade nella rete delle provocazioni e si confronta su argomenti futili, che non portano un elettore in più allo schieramento e che anzi riflettono l’immagine di un’opposizione pettegola e invischiata in chiacchiere da salon de beauté.
Emblematici, da questo punto di vista, gli episodi del lifting del Premier e della bandana sfoggiata lo scorso agosto: non è stato Berlusconi a lanciare il suo nuovo look nell’agone politico; gli è bastato esibirlo, sicuro che i dandy dell’opposizione lo avrebbero captato e trasformato in un argomento politicamente fertile. Per farne scaturire l’evento, Berlusconi aveva bisogno della collaborazione involontaria del centro-sinistra. Solo rimbalzando sui canoni estetici dell’opposizione, episodi come quello della bandana, che in altri tempi non varcherebbero le notazioni sul cattivo gusto dei vip nei settimanali femminili, hanno potuto assumere una dignità politica. Questo è uno dei casi emblematici in cui l’opposizione si comporta come il miglior press agent di Berlusconi.
Il risultato, paradossale, di tanto agitarsi della stampa di opposizione intorno alla bandana presidenziale è stato che il centro-sinistra, più di Berlusconi, è apparso distratto da questioni di look anziché sembrare alle prese con le urgenze della politica nazionale.
Non appena l’audience cala, ecco che gli strateghi della comunicazione del centro-destra selezionano nuovi temi e organizzano nuovi colpi di scena, come è accaduto alla fine del 2004, quando Berlusconi, per galvanizzare i suoi ha previsto di assumere due giovani per ogni collegio elettorale al fine di rilanciare l’attività periferica del suo partito. Peraltro, la Casa delle Libertà gode di un altro vantaggio: infatti, in relazione al metro dialettico, allo stile di confronto e ai codici linguistici da adottare di volta in volta nel confronto politico-mediatico con l’avversario (conciliante, moderato, aggressivo, demonizzante, ecc.), il centro-destra è in grado di mobilitare leader politici con caratteristiche diverse (Follini e D’Urso quando si tratta di restituire all’elettorato un’immagine moderata e riflessiva della coalizione; La Russa e Gasparri quando c’é da usare una maggiore vis polemica; Schifani e Vito quando si devono portare attacchi ai magistrati e si devono trattare i temi della giustizia in maniera aggressiva; Tabacci quando c’é da muovere critiche alla coalizione dall’interno della stessa).
È questa la politica zapping, in cui i contenuti si avvicendano a ritmo serrato per ridestare o deviare l’attenzione del pubblico da questioni autenticamente politiche. Il segreto sta nell’evitare tempi morti che potrebbero indurre sonnolenza e disaffezione: in questo, per affinità elettive e passato imprenditoriale, il Cavaliere non ha rivali, perché conosce meglio di tutti un pubblico che lui stesso ha allevato fin dai tempi pioneristici della Tv commerciale. Al berlusconiano attivismo dell’apparire, l’opposizione non ha saputo controbattere con l’attivismo del fare o l’alacrità del pensare. Il suo vero limite non risiede tanto nella mancanza di appeal mediatico (un terreno su cui sarebbe sempre in ritardo e sempre perdente rispetto a Berlusconi) quanto nell’incapacità di contrapporre all’iperattività estetizzante di Berlusconi un dinamismo autenticamente politico e capace di dedizione all’essenza delle cose.
L’area del non voto in Italia. Il 26,9% degli elettori non è andato a votare alle ultime elezioni europee, un dato piuttosto elevato anche se in controtendenza rispetto alla precedente competizione elettorale continentale, quando non si era recato alle urne il 31,2% degli aventi diritto al voto. Inoltre, 1.587.548 elettori hanno votato scheda bianca (il totale delle schede non valide ammonta a 3.137.414, essendo le nulle 1.549.866). L’ampiezza del bacino dell’astensionismo e dei voti non validi, in primo luogo, potrebbe rappresentare un dato fisiologico nei modelli elettorali delle democrazie moderne così come potrebbe invece essere espressione di un moderatismo frustrato dal bipolarismo e, in particolare, dalla insufficiente visibilità del centro in entrambi gli schieramenti. Da un recente sondaggio emerge che, rispetto alle politiche del 2001, ben 3.390.000 elettori del centro-destra alle europee del 2004 sono defluiti nell’area dell’astensionismo (mentre solo 560.000 elettori hanno fatto il percorso contrario, dall’area dell’astensione alla Cdl); anche il centro-sinistra, che pure ha un appeal lievemente maggiore nei confronti degli astenuti (ne ha captati 680.000 alle ultime europee), pure ne ha visti scivolare ben 2.740.000 nel non voto. Per quanto concerne il centro-sinistra, questi voti mancati sono probabilmente l’espressione di un’istanza moderata, altrimenti avrebbero avuto modo di polarizzarsi nella sinistra massimalista ed esterna alla Lista Prodi: quest’ultima, invece, pur perdendo 780.000 voti a vantaggio di Rifondazione Comunista, Verdi e Comunisti italiani, è riuscita a strappare a questi partiti 950.000 voti, circa il 22% in più di quelli ceduti.
Se è vero che le elezioni si vincono al centro, valorizzando le componenti moderate, da più parti viene sottolineata la necessità primaria, per i partiti che si confrontano nel mercato politico-elettorale, di attingere al bacino dell’astensionismo piuttosto che puntare a strappare voti agli avversari. Tuttavia, la possibilità di intercettare il voto moderato si scontra spesso con l’applicazione di un modello bipolare basato sul maggioritario-uninominale che obbliga gli elettori a stare da una parte o dall’altra dell’agone politico.
Alcuni rinvengono la spiegazione del fenomeno dell’astensione dal voto (e anche quello delle schede bianche) nel processo di convergenza ideologica e di intersezione di categorie e valori, un’evoluzione che ha prodotto una sorta di scambio di caratteristiche “progressiste” e “conservatrici” tra i due poli ideologici.
È possibile tuttavia interpretare, almeno in parte, il fenomeno dell’astensionismo non come una risposta ad una con-fusione ideologica tra i due schieramenti, ma, al contrario, proprio come una reazione alla mancanza di un efficace luogo di sintesi programmatica tra alcune istanze liberali espresse, con diverse accentuazioni, dai due schieramenti. In sostanza, ognuno dei due schieramenti esprime un proprio modo di intendere la libertà del singolo dallo Stato: per il centro-sinistra, come salvaguardia degli spazi critici e di dissenso e come rivendicazione di autonomia nelle scelte affettivo-riproduttive, mentre per il centro-destra, come una istanza di produttività svincolata da interferenze burocratiche e sindacali. Nessuno dei due schieramenti, dunque, è portatore di ideologie illiberali in senso assoluto (nonostante le accuse reciproche in tal senso), poiché, superata la polarizzazione ideologico-lessicale dell’epoca della guerra fredda (capitalismo vs comunismo, democrazia vs totalitarismo), centro-sinistra e centro-destra hanno cominciato a dotarsi di un vocabolario comune, seppure utilizzato con accezioni, tonalità e sfumature diverse. Questo potrebbe indurre erroneamente a pensare che si sia effettivamente realizzata, in entrambe le coalizioni, l’applicazione di schemi, norme e contenuti programmatici effettivamente liberali. Tuttavia, il processo di maturazione di queste istanze richiederebbe un ulteriore sviluppo qualitativo. In una società aperta, in cui non esistono variabili indipendenti e la parte cresce se cresce il tutto nel suo insieme, potrebbe risultare vincente quello schieramento che riesca ad esprimere una visione organicistica della società, ad esempio attraverso una politica economica che riconosca esplicitamente la libertà d’impresa come diritto e manifestazione della creatività soggettiva (alla stessa stregua degli altri diritti civili e di altre forme di espressione individuale, come ad esempio i differenti percorsi affettivo-riproduttivi), ma che allo stesso tempo ribadisca l’interdipendenza di capitale e lavoro. Nell’immediato, chi, tra le opposte coalizioni elettorali, riuscirà a produrre modelli e momenti di vera sintesi teorica e di contenuti programmatici, avrà ottime chance di intercettare una quota degli outsider moderati che, al momento, si sentono parimenti distanti sia dall’uno che dall’altro schieramento.