Albino Pierro nasce a Tursi nel 1916. La sua infanzia è segnata dalla scomparsa della madre, morta poco dopo la sua nascita. Due zie cercano di guidare il fanciullo nel processo di crescita garantendogli amore, affetto, stabilità, sicurezza, ma la salute malferma inchioda il poeta alla sofferenza. Un grave problema agli occhi lo rende cieco e nel buio delle giornate dà sfogo su carta a pensieri, riflessioni, meditazioni. Cosa può nutrire un?anima desiderosa di serenità e di immaginare spazi, volti, luoghi, sensazioni, emozioni? La lettura dà vita ad intere giornate consentendogli di creare e ricreare mondi ideali. A dare voce ad essi c?è la spontaneità ed originalità del linguaggio popolare, il dialetto.
Esemplare lo scritto ?Curtelle a lu sòue? (1973).
Nell?immaginario di Pierro domina la scheggia (scarde).
?e mò pure nd?u sonne
mi mpaurère di carè dasupre
a cuzzurone e scarde nda na drupe?
(CS;25)
?e adesso anche nel sogno/ avrei paura di caderci sopra/ a vasi rotti e a schegge in un dirupo?.
?mi ùera tirè duce duce da u core
na scarde? (CS; 51)
?mi vorrei tirare pian piano dal cuore / una scheggia?.
Il paesaggio dominante nella lirica pierriana è costituito da erbe inaridite, sterpi, ruderi, animali lugubri (vermi, pipistrelli), ma non mancano frescure, fragranze, profumi. Alla durezza delle pietre e delle schegge si contrappongono la leggerezza e la morbidezza di profumati fiori. Dalla ?pietrosa? realtà si passa ad un mondo ?scheggiato?, frammentato, imperscrutabile, indefinito e indefinibile; tutto appare indistinto e sembra polverizzarsi.
La solitudine solca e segna la vita quotidiana senza alcuna possibilità di non rimanervi invischiati:
?Si ni stène scranne tutte quante,
st?amice mèje;
e mò, sti iurne scianghète,
pisante com?a ll? àcine di chiumme
di na ngannacche,
nd?u core ci s?affunnene cchiù musce
d?u trène-merce
ca ll?è nd?i ròte à raggia d?i zannète.?
?Stanno sparendo tutti, /questi miei amici; / ed ora
questi giorni sciancati, /pesanti come chicchi di piombo/
di una collana, / nel cuore ci affondano più lenti/ di un treno merci / che ha nelle ruote la rabbia delle zannate?.
Se non è l?uomo-poeta a cogliere l?essenza propria delle cose tutto sembra insignificante ed irrilevante, vuoto, privo di senso, riaffiorano quadri desolanti.
?Pure u cèhe, mannagghie, è scure scurre,
e nda stu fridde di chène,
ti facèrese ?uce e t?i scalfèrese
i mène cchi nu tizzone,
come nd? u verne, a notte, si ic pàssese
nda nu strittuuicchie di paise,
zampijànne ndu?u zanghe e acciampicànne
nda pètre e piscone.?
?Pure il cielo , mannaggia, è scuro scuro, /
e, in questo freddo da cani, / ti faresti luce e scalderesti
le mani con un tizzone, / come nell?inverno, se ci passi di notte,/
in un violetto di paese, / zampettando nel fango e inciampando / fra pietre e macigni.)
Queste le considerazioni di A. Granese in merito alla poesia di Albino Pierro:
?In questo universo sfaldato dalla visione allegorica,
il cui principio è essenzialmente frammentatore e dissociante,
anche il linguaggio viene da Pierro frantumato per innestare nelle sue schegge disgregate e diversamente concatenate una tensione espressiva più intensa e lacerante, sprigionandone dissonanze implicite e profonde.
Scosso con violenza dalle pulsioni ribelli delle sue unità elementari, questo linguaggio libera sillabe e suoni, lemmi e sintagmi dai loro sensi usuali e tradizionali, che vengono ridotti in macerie, depurati e trasformati in significanti,introdotti in una nuova struttura più fluida, complessa e policentrica?.