L’Italia si distingue rispetto ad altri paesi per l’organizzazione dei distretti industriali, la disponibilità di componenti e macchinari, l’articolazione e la qualità dell’offerta locale, la capacità di essere presente sui mercati internazionali, la catena del valore dei prodotti esportati e le politiche di branding. Un’altra delle caratteristiche più rilevanti di questo modello di industrializzazione è la sua notevole vitalità in termini di capacità di far nascere nuove iniziative e creare nuove imprese, ambito in cui l’Italia si colloca ai primi posti nel mondo. È inoltre importante ricordare che, negli ultimi anni, la struttura industriale italiana ha mostrato, più di quella francese e tedesca, capacità di adattamento e flessibilità nei periodi di difficile congiuntura internazionale. Per quanto riguarda i settori produttivi di punta del nostro Paese, si rileva che essi si caratterizzano per un contenuto di media tecnologia e di elevata innovazione. Sono settori che non richiedono necessariamente la presenza di grandi aziende, risultando anzi più adatte le Pmi, ossia le piccole e medie imprese, che costituiscono, come è noto, la tipologia di impresa prevalente in Italia. Il successo di queste aziende non può essere spiegato in modo univoco, anche se a detta di molti studiosi giocano un ruolo importante la spinta individuale al miglioramento ed una notevole capacità di innovazione ed adattamento ai mercati esteri, sebbene il desiderio di mantenere il controllo dell’impresa e la scarsa capacità organizzativa impediscano poi la continuazione di un processo di crescita. Il Ministero delle Attività Produttive segnala ulteriori punti di forza quali la propensione al risparmio e la produttività del lavoro.
Innovazione di prodotto e di processo: casi aziendali di successo. Sono diversi i settori produttivi dell’economia italiana che continuano a distinguersi per innovazione di prodotto e di processo, nonostante il declino produttivo che ha investito il nostro Paese negli ultimi anni. Basti pensare all’industria manifatturiera, a quella della gomma e della plastica, al settore della moda (tessile, abbigliamento, cuoio), della chimica, dell’industria farmaceutica. L’innovazione costituisce, parallelamente alla ricerca, uno tra i principali fattori che favoriscono lo sviluppo e la crescita delle aziende. L’innovazione permette infatti di migliorare i processi di produzione e la produttività ma soprattutto coadiuva alla competitività tramite l’immissione sul mercato di prodotti nuovi e autentici. L’Eurispes, si è proposto di passare in rassegna quelle aziende che si sono distinte per innovazione di prodotto e di processo e che quindi hanno fatto della ricerca un fattore di successo.
Sono 60 le imprese più dinamiche che hanno incrementato almeno del 5% medio annuo il loro fatturato. Il giro d’affari di queste aziende, compreso tra i 300 e i 500 milioni di euro, supera di poco la soglia di quello relativo alle classiche medie imprese.
Invece sono 27 le aziende che appartengono, alla categoria delle medie imprese che presentano un fatturato annuo compreso tra 50 e 300 milioni di euro. Si tratta di imprese dinamiche che, con una crescita annuale superiore al 20%, si distinguono per buona redditività.
Le caratteristiche che gli stessi industriali ritengono essenziali ai fini del successo aziendale sono la vision, l’integrità intesa come qualità personale che accresce la fiducia del cliente, il ruolo dei collaboratori e l’innovazione. I casi di eccellenza raccolti dall’Eurispes stimolano inoltre una riflessione su quei punti deboli che limitano ed ostacolano il successo di molte piccole e medie imprese, imponendo un’analisi delle linee di intervento più urgenti.
Da dove ripartire? Le imprese, vista la congiuntura negativa, hanno, salvo in alcuni casi, ben poche risorse da destinare agli investimenti.Al fine di incentivare la produttività aziendale occorre, in primo luogo, investire in ricerca e innovazione, rafforzando anche la cultura della collaborazione tra il mondo della ricerca e il mondo delle imprese, ancora molto debole nel nostro Paese. Altri fattori di sistema in grado di incidere sulla struttura e sulla capacità competitiva delle imprese sono l’ambiente normativo e l’inefficienza della Pa, le infrastrutture, la formazione di capitale umano, il processo di liberalizzazione, il mercato del credito, la collaborazione tra imprese e università nella ricerca, l’efficienza del sistema ricerca (es. trasferimento), l’incremento del numero di laureati tecnici, il miglioramento delle modalità di insegnamento, in particolare universitario, anche impostando le docenze in funzione degli interessi delle imprese. In definitiva, pur tenendo conto del fatto che i risultati in nessun campo sono automatici e che richiedono comunque tempo, le priorità potrebbero essere le seguenti:
Investimento in ricerca: la spesa totale per R&S dell’Italia infatti è solo l’1% del Pil (il 50% della spesa è effettuata dalle imprese), contro una media del 2-2,5% degli altri paesi sviluppati. Questa circostanza deriva sia dallo scarso impegno pubblico, sia dalla ridotta dimensione e specializzazione produttiva delle imprese italiane.
Investimenti in alcune tecnologie destinate ad avere grande impatto nel futuro: si fa riferimento, ad esempio, alle tecnologie dell’idrogeno che influenzeranno molti settori economici (trasporto, energia, chimica), alle biotecnologie (farmaceutica e sanità), alle tecnologie spaziali (che possono avere un forte impatto economico per l’utilizzo commerciale dello spazio), ed energetiche. L’Italia non manca di cervelli, ma non si fa nulla per promuovere la loro attività (vedi anche le recenti riforme dell’università e dei centri di ricerca pubblici).
Sviluppo delle risorse umane: l’Italia ha un tasso di laureati molto basso rispetto agli altri paesi (10% della popolazione attiva, invece di una media del 20% degli altri paesi sviluppati) e la cultura costituisce un valore socialmente sottostimato. Un maggior spazio nei programmi di studio per le materie economiche e scientifiche potrebbe dunque aiutare la crescita del sistema Paese.

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