Ogni creazione umana rispecchia sempre il suo autore, soprattutto quando dice ciò che di lui non appare.
Nella poesia, nella musica, nell?arte, generalmente, l?uomo si ritrae riflesso nello specchio dei suoi desideri, dei suoi sogni o dei suoi rimpianti. La sublimazione di cui Freud parlava.
Una palingenesi personale, che in qualche caso diventa epocale.
Lo scritto come forma di liberazione.

Il libro appena uscito di Gerardo Melchionda, dal titolo ?Al di là del sole?, rispecchia questo principio: in esso e attraverso di esso l?autore ha provato e, forse, trovato una libertà, difficilmente esperibile altrimenti. Chi un po? lo conosce, si aspettava che sviluppasse una simile tematica, quella del difficile, per lui impossibile e irrazionale, rapporto tra Ragione e Fede, con la vittoria scontata della prima sulla seconda.
Frutto di una mentalità scientifica, si direbbe con faciloneria. Ma non faremmo di certo giustizia all?autore se imboccassimo questa scorciatoia.
Gerardo Melchionda è un uomo pacato, tollerante, che stabilisce con gli altri relazioni rispettose ed equilibrate. Così appare nelle sue vesti di docente, di politico, di persona impegnata su temi di carattere sociale e culturale. Cresciuto, come ci dice nelle sue poche trasgressioni autobiografiche, nell?ambiente angusto di un piccolo paese, educato nel rigore e nel ?timore di Dio? alla sottomissione e all?abnegazione, fino alla sua adolescenza gli è sembrato di essere, in questo modo, ?al sicuro dal mondo?, al riparo come nell?alveo materno. Ma, non appena gli anni gli hanno consentito la maturità e l?autonomia del pensiero, è stato costretto a condurre una vita scissa tra le sue aspirazioni naturali e il senso del dovere, nel desiderio di ?meritare? gli affetti, i risultati negli studi, il lavoro, la famiglia. Sono apparsi in queste circostanze i dubbi, le domande radicali e le convinzioni più inattaccabili.
Ha iniziato a scriverne, dapprima in segreto, non senza aver vagliato, misurato ciò che cercava e ciò che invece trovava. Con parsimonia ne ha più tardi parlato a persone amiche, che lo hanno indotto a proseguire, avendo come fine la pubblicazione dei suoi appunti. Acquistata la fiducia necessaria, alla fine ha osato dimostrare, prima di tutti a se stesso, il risultato della sua indagine razionale: Dio non esiste.
Lo dice con la semplicità e la castità di un bambino, che non teme il giudizio degli altri.
Perché sono note la sua onestà umana, la serietà, la sobrietà del suo agire, la dedizione alle sue idee. Sistematicamente, oserei dire, con metodo socratico, Gerardo Melchionda ha scardinato da un piedistallo millenario le tesi che andava confutando, per giungere all?unica, logica conclusione, cioè, che il mondo è sdivinizzato.

Il suo libro non ha le pretese di fare esegesi biblica. Vi è però un?accurata conoscenza dei testi sacri delle diverse religioni, in particolare, della Bibbia. Presenti anche spunti filosofici, materia, la filosofia, in cui si addentra con rispetto e timore. Qualche racconto di vita vissuta e, infine, l?utopia. Una scrittura fluida, godibile, in cui perdersi o scoprirsi.
In ogni caso, avrà aperto uno squarcio nel pensiero supino, nelle credenze comode. Avendo obbligato alla riflessione e alla domanda conseguente.

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