Dall’analisi delle retribuzioni complessive dei primi otto mesi del 2004 si ricava una chiara inversione di tendenza rispetto agli anni 2001-2003. Iniziando dal settore impiegatizio che pur registrando ancora un volta la crescita più bassa (+0,5%) interrompe tuttavia un calo che durava dal 2001; la miglior performance spetta ai quadri, +5,3% rispetto al 2003, +8,8 rispetto al 2001. Certamente comparabili le performance di operai (+3,5%) e dirigenti (+3,4%) anche se questi ultimi mantengono un miglior trend rispetto al 2001. Per valutare la perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni suddivise in categorie si confronta il trend di queste ultime nel quadriennio 2001-2004 con il tasso d’inflazione medio nello stesso periodo; a questo dato poi si aggiunge il valore medio del fiscal drag che tiene conto dell’aumento della tassazione dovuta all’aumento nominale delle retribuzioni. La situazione dei lavoratori italiani non solo è più negativa di quella di tutti i cittadini europei (ad eccezione dei greci) ma è anche peggiorata negli ultimi anni a causa della perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni. In base ai dati Istat l’inflazione nel quadriennio 2001-2004 è cresciuta del 9,8%, mentre secondo i dati Eurispes è cresciuta del 22,2% nello stesso periodo di tempo. Integrando quindi con i due dati menzionati si ottiene il potere di acquisto dovuto alla sola inflazione, come riportato nella tabella seguente.
Gli aumenti sono più che compensati dall’incremento dell’inflazione portando ad una perdita rilevante del potere d’acquisto di tutte le categorie, in particolar modo degli impiegati che risultano essere i più colpiti vedendo diminuito il proprio potere d’acquisto di una percentuale superiore al 13% secondo l’Istat e addirittura superiore al 25% se si assume il calcolo dell’inflazione dell’Eurispes. Il potere d’acquisto è ulteriormente diminuito, se si tiene conto, come è doveroso, del fiscal drag. Se la retribuzione nominale si accresce aumenta proporzionalmente il carico fiscale che è valutato sulla retribuzione nominale e non sul potere d’acquisto. La dimensione del fiscal drag varia al variare del reddito di partenza: ad esempio se il reddito imponibile passa da 15.000 a 25.000 euro annui, l’incremento dell’Irpef è di 1.300 euro; se si passa da 25.000 a 35.000 euro è di 3.300 euro. Per procedere ad una valutazione complessiva, l’Eurispes ha calcolato un valore medio del fiscal drag (prendendo come pesi le retribuzioni del pubblico impiego) ed ha ottenuto un coefficiente lineare di 0,525 che va a moltiplicare la percentuale d’incremento della retribuzione. La percentuale risultante dà il valore dell’incremento al netto del fiscal drag.
Un costo della vita ancora troppo alto. Numerose indagini mostrano come il potere d’acquisto dei consumatori italiani si sia ridotto sensibilmente nell’ultimo periodo. Nel 2003, per la prima volta dopo vent’anni, le retribuzioni sono aumentate meno dell’inflazione: i salari dei lavoratori italiani si collocano agli ultimi posti della graduatoria europea, vicino a quelli dei greci, degli spagnoli e dei portoghesi.
Secondo uno studio dell’UBS (Unione Banche Svizzere) un cittadino di Milano percepisce 7,20 euro netti all’ora (10,60 lordi), uno di Roma 6 euro (8,90 lordi): ben poco in confronto non tanto con i 18 netti di un cittadino svizzero, ma con gli 11,50 di un londinese, i 9,40 di un parigino o i 9,80 di un berlinese. Cioè, ponendo a 100 il salario netto di un lavoratore di Zurigo, un romano percepisce circa un terzo, un milanese il 40%, un cittadino di Copenhagen circa i tre quarti, un francese poco più della metà. A metà strada tra Roma e Milano si collocano sia Atene (37,3 su 100), che Madrid (39,2 su 100), mentre un lavoratore di Lisbona percepisce circa un quarto dello stipendio di uno svizzero. A fronte di tale inconfutabile differenza, si può pensare che un minore costo della vita funga da utile cuscinetto dei minori salari, garantendo – pur con entrate inferiori – un livello economico non troppo dissimile. Purtroppo, i dati tendono a smentire anche tale ipotesi: è vero che si osservano – nelle capitali europee – prezzi medi piuttosto diversificati, così che il costo della vita risulta piuttosto diverso tra Roma e Londra, Lisbona e Zurigo, ma tali differenze non colmano il gap osservato. Insomma, siamo più poveri e non è detto che spendiamo meno. Comparando i prezzi medi di alcune capitali europee, ponendo anche in questo caso pari a 100 i prezzi medi registrati a Zurigo, a Roma si rileva un punteggio pari a 73,4, a Milano 74,4: si tratta di prezzi medi certamente inferiori a quanto osservato in alcune capitali europee (Oslo, la più cara, riporta un tasso pari a 117,8; Copenhagen e Londra un punteggio appena un poco inferiore a quello svizzero, Vienna registra un valore pari a 84,2), ma quasi equivalente a quanto osservato in Germania (Berlino=75,4), in Olanda (77,3), in Grecia (73,8) e decisamente superiore ai valori di Madrid (68,4), e Lisbona (65,1).
Le città italiane non si caratterizzano dunque per un costo della vita contenuto, anzi. Se si esaminano in modo specifico alcuni prodotti, è possibile articolare meglio tali osservazioni.
Prodotti di elettronica. Si immagini un paniere di prodotti di elettronica composto da un frigorifero, un televisore a colori, un Pc, una macchina fotografica, un ferro da stiro, un aspirapolvere, una stufa elettrica e un asciugacapelli: complessivamente, si spende di più a Vienna (2.820 euro), ma segue subito Milano (2.800), insieme a Parigi. Meno costosa Roma (i medesimi prodotti costano 2.510 euro), che tuttavia appare sempre più cara di altre capitali europee come Berlino (2.360), Dublino (2.370) o Lisbona (2.310).
Affitti. È ben noto quanto la casa incida sul bilancio familiare: purtroppo, anche sul fronte degli affitti non giungono buone notizie. Sempre secondo le stime sui prezzi medi calcolati in alcune grandi città del mondo, i cittadini italiani non risparmiano rispetto ai concittadini francesi, svizzeri o spagnoli. A livello europeo, Milano è meno cara soltanto di Londra (rispettivamente: 1.550 e 1.790 euro); più contenuti i costi degli affitti romani (1.130 euro in media), del tutto simili a quanto registrato a Parigi (1.190) e Dublino (1.230). Decisamente meno costoso del dato romano, tuttavia, appare l’affitto di una casa non soltanto a Atene, Madrid o Lisbona (rispettivamente 580, 690 e 750 euro), ma addirittura a Vienna (950 euro), a Oslo (939), a Stoccolma (700).
Trasporti pubblici. Per quanto riguarda i trasporti pubblici cittadini, il discorso muta lievemente, e le città italiane segnano un costo minore di altre città europee. Così, i prezzi registrati a Roma e Milano (0,77 e 1 euro) non differiscono di molto da quanto osservato ad Atene (0,57), Madrid (1,1) e Parigi (1,3), mentre si distanziano notevolmente dal dato di Oslo (3,45), Stoccolma (2,72) e Zurigo (2,46).
Capitali a confronto. È chiaro dunque come, alla luce di quanto osservato, il potere d’acquisto degli italiani sia seccamente inferiore di quello di altri concittadini europei, soprattutto per quanto osservato nella capitale. Se per un abitante di Zurigo si calcola un potere d’acquisto pari a 100, per un milanese si scende a 63 e per un romano a 44,3. Singolarmente, il dato di Milano è comparabile a quello di Londra e quello di Roma a quanto registrato a Parigi: il dato romano è inferiore a quello di Atene e Madrid, e superiore, in Europa, soltanto a quanto rilevato a Lisbona (37,7 euro).
Tempi e costi. Così, calcolando quanto tempo di lavoro occorra per acquistare alcuni prodotti di larghissimo consumo, come un chilo di pane o un panino “Big-Mac”, si osserva che un milanese dovrà faticare, rispettivamente, per 24 e 21 minuti; un romano per 26 minuti in entrambi i casi. Diversamente, a un londinese, per acquistare gli stessi prodotti, sarà sufficiente meno di un quarto di tempo di lavoro, a un berlinese solo 10 minuti, a un parigino 17 e 19 minuti. In questa classifica, siamo i meno fortunati d’Europa.
Categorie professionali davanti al carrello. Il potere d’acquisto dei cittadini italiani è tra i più bassi d’Europa, e per alcune categorie professionali il quadro è decisamente allarmante. Un recente studio di Eurostat ha preso in considerazione le entrate medie di alcune categorie professionali, e ha calcolato per ciascuna di esse la capacità di acquisto, misurata in carrelli della spesa acquistabili in un anno. Il nostro Paese si posiziona agli ultimi posti di una così concepita classifica europea, seguito soltanto dal Portogallo. Ad esempio, un nostro insegnante di scuola primaria – inserito nella scuola pubblica da dieci anni, sposato, con due figli – percepisce mediamente, ogni anno, 14.070 euro, contro gli oltre 16mila di un collega francese o i quasi 27mila di un pari grado tedesco. In termini di carrelli della spesa acquistabili, si arriva nel caso italiano a 10, appena un poco al di sopra del collega francese, ma decisamente al di sotto non solo di altri insegnanti dell’Europa centrale o nordica, ma anche di colleghi spagnoli o greci. Un simile discorso può essere proposto per un autista di autobus di Roma, che potrà permettersi l’acquisto di 9,7 carrelli della spesa ogni anno, appena un poco al di sopra di un collega di Parigi, ma sensibilmente meno di quanto non faccia un autista di Berlino (13 carrelli) o anche di Madrid (10,4). Anche un metalmeccanico italiano riesce ad avere un potere d’acquisto superiore soltanto a quello di un portoghese di pari livello professionale, registra una capacità inferiore della metà rispetto a un collega olandese ed è in grado di acquistare quasi tre carrelli in meno di un operaio spagnolo. Le medesime considerazioni possono essere estese a una assistente segretaria o a un impiegato di banca (soltanto greci e portoghesi, in questi casi, registrano un potere d’acquisto inferiore), che acquisteranno in un anno rispettivamente 7,9 e 12,9 carrelli di spesa. Per un giovane ingegnere con poca esperienza, sposato con due figli, il discorso non migliora molto: sono dieci i carrelli della spesa alla sua portata, contro i 13 di un collega di Atene, i 15 di un pari livello di Parigi o, si noti bene, i 21 di un ingegnere madrileno.

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