Logorati dall’inflazione, i consumatori tagliano i beni voluttuari. Quasi la totalità degli intervistati ha avvertito un aumento dei prezzi sia nel corso del 2004 (96,7%) che nel corso del 2005 (85,6%). Fortunatamente, il confronto dei due anni evidenzia una maggiore stabilità nell’ultimo anno: nell’11% dei casi i prezzi sono rimasti invariati (il 2,8% nell’anno precedente) e nel 2,6% c’è stata addirittura una diminuzione (lo 0,2% in passato). Tra il 2004 e il 2005, è aumentato il numero di coloro che hanno avvertito un leggero aumento dei prezzi (dal 7,9% al 14,2%), mentre è diminuita sia la quota di chi ha percepito un elevato aumento (il 29,4% contro il 31,7% dello scorso anno) sia di chi dichiara un eccessivo aumento dei prezzi (il 43,8% contro il 59,1%). Gli italiani, pur avvertendo le pesanti difficoltà del fenomeno inflattivo (da non sottovalutare il 43,8% che tuttora denuncia un eccessivo aumento), sembrano risolvere con minore disagio il problema dell’aumento dei prezzi. In particolare, tra gli studenti, casalinghe e operai è leggermente più diffusa la convinzione che i prezzi siano aumentati (rispettivamente 93,8%, 91,9% e 91,8%). Si uniscono al coro di coloro che appartengono alle categorie più svantaggiate anche imprenditori e dirigenti per denunciare il rincaro dei prezzi (91,3%). A sorpresa, l’aumento dei prezzi è sentito solo dall’82,3% dei pensionati cui seguono soltanto i liberi professionisti, i commercianti e gli autonomi (75,4%). Il peso della dinamica inflattiva è poi avvertito in maniera eccessiva nelle Isole, dove la percentuale arriva al 63,2% (il 43,8% la media nazionale), nella stessa area geografica si registra la percentuale più contenuta (4,7%) di consumatori che hanno percepito un leggero aumento dei prezzi. I residenti nel Sud (36,9%) avvertono una inflazione di tipo elevato (tra il 3% e l’8%). Nel Settentrione e nel Centro i consumatori percepiscono una inflazione più contenuta: infatti, sono i più numerosi ad affermare che c’è stato un leggero aumento (il 16,2% nel Nord-Ovest e il 17,2% nel Nord-Est e il 15,1% nel Centro), mentre è leggermente più bassa rispetto alla media la percentuale di coloro che ritengono che l’aumento sia stato eccessivo.
Le cause degli aumenti. La maggioranza degli intervistati (45,2%) attribuisce l’aumento dei prezzi al changeover, mentre circa un italiano su quattro identifica nell’abuso da parte dei commercianti la causa di questo fenomeno. Il 16,8% afferma che i rincari eccessivi sono stati causati dai mancati controlli da parte delle Polizia annonaria e della Guardia di Finanza, mentre il 12,9% degli italiani non esprime una opinione in merito. Sono prevalentemente i cittadini del Sud (55,8%) ad attribuire all’introduzione dell’euro la colpa dell’aumento dei prezzi, la stessa convinzione risulta molto diffusa anche nel Nord-Ovest (48,5%) e meno avvertita nel Centro Italia (34,1%). Circa un intervistato su tre delle Isole e del Nord-Ovest accusa i commercianti di aver abusato con gli arrotondamenti e di aver causato, di conseguenza, l’aumento dei prezzi. I residenti nell’Italia centrale sostengono con maggiore convincimento (26,3%) la tesi che l’aumento dei prezzi sia dipeso da mancati controlli da parte delle Forze di Polizia deputate al controllo, molto simile la percentuale registrata nelle Isole (23,6%). La quota più elevata di persone che non hanno risposto a questa domanda si è rilevata nel Centro (19%).
Riguardo le aspettative per il futuro, la speranza che i prezzi non avrebbero subìto oscillazioni prevale in tutti gli anni rilevati, ma con un tendenziale decremento: nel 2003 si registra il 53,9%, nel 2004 il 47% e nel 2005 il 45,3%. La percentuale di coloro che prevedevano incrementi dei prezzi aumenta nel 2004 (il 38,3% contro il 33,8% dell’anno precedente) e scende nel 2005 (36,8%). Nell’ultimo anno rilevato, il 5,3% degli intervistati prevede un decremennto dei prezzi, questa percentuale corrispondeva al 6,8% nel 2004 e al 4,1% nel 2003. Altro dato interessante riguarda l’elevato tasso di non risposte registrato (12,6%) che evidenzia il disorientamento dei consumatori italiani.
I beni più cari. Agli intervistati è stato chiesto se, nel corso del 2004, avessero incontrato difficoltà nel sostenere le spese di determinate categorie di consumo. Dalle risposte emerge una costante difficoltà nell’acquisto dei beni indispensabili e di uso quotidiano; gli italiani “spesso” hanno avuto problemi nel sostenere le spese per i generi alimentari, il vestiario e calzature (rispettivamente il 27,2%, il 24,5%); e “sempre” per l’acquisto di benzina e carburante (25,5%). L’assenza di impedimenti per l’acquisto di beni voluttuari potrebbe indurre a pensare che gli italiani spendano con facilità per gli articoli di lusso e incontrino difficoltà nella spesa di tutti giorni, ma, in realtà, gli intervistati hanno rinunciato a beni non indispensabili. Infatti, per quanto riguarda il tempo libero, i viaggi, la cura della persona si registrano elevate percentuali di non risposta e quote consistenti di persone che rispondono di non aver incontrato mai difficoltà, proprio perché hanno tagliato definitivamente questo tipo di spese. Le famiglie, a causa della riduzione del potere d’acquisto dei salari, incontrano sempre maggiori difficoltà nella gestione della spesa quotidiana e nell’acquisto di beni imprescindibili dal vivere quotidiano e sono state costrette a tagliare i beni supeflui.
Le difficoltà maggiori nell’acquisto dei generi alimentari si registrano nel Meridione: sia nel Sud che nelle Isole i consumatori denunciano notevoli difficoltà nel sostenere le spese per il comparto alimentare (rispettivamente il 32,6% e il 34%). Anche i residenti nell’Italia centrale si sono trovati sempre o spesso in questa situazione di precarietà (il 27,4% e il 39,1%). Più fortunati i cittadini settentrionali: nel Nord-Ovest quasi la metà del campione (48,1%) non ha mai avuto alcun tipo di difficoltà e nel Nord-Est la stessa percentuale scende al 32,8%. In queste aree geografiche si è registrata una discreta diffusione di casi in cui le difficoltà economiche sono state poco sentite. In relazione alla professione svolta dall’intervistato, si evidenzia un elevato tasso di difficoltà nell’acquisto dei generi alimentari registrato tra le casalinghe, che incontrano questo problema sempre nel 30,1% dei casi e spesso nel 36%. Anche una elevata quota di pensionati (27,4%) afferma di dover sempre risolvere difficoltà di questo tipo. Gli ostacoli nel sostenere le spese alimentari sono molto frequenti anche tra altre categorie di lavoratori più deboli: il 32,9% degli operai e il 31,3% dei non occupati hanno spesso questo problema. Al contrario, godono di una situazone privilegiata i dirigenti, quadri e imprenditori che non hanno mai conosciuto difficoltà di questo tipo nel 73,9% dei casi; a seguire, con una percentuale più contenuta, i liberi professionisti (36,2%).
Italiani: formiche o cicale? Nel 2005, si intravede la ripresa di una propensione al risparmio: l’11,1% degli intervistati afferma che nel corso dell’anno riuscirà certamente a risparmiare qualcosa. La percentuale è esigua se confrontata con le altre previsioni di risparmio, ma comunque molto più elevata rispetto a quella dell’anno precedente (5,5%). Molto consistenti le quote di coloro che presagiscono andamenti pessimistici: il 23,7% è sicuro che non riuscirà a risparmiare, il 23,9% è piuttosto scettico e il 33,5%, pur nutrendo l’intenzione di risparmiare, non è sicuro di riuscirci. Per contrastare il caro-prezzi, e mantenere il proprio tenore di vita, gli italiani fanno sempre più spesso ricorso all’acquisto a rate. Quale andamento si registra nelle intenzioni di spesa dei consumatori italiani? Un dato inequivocabile è evidente nell’indecisione di molti consumatori (27,4%), che ancora non sanno quanto spenderanno nel corso del prossimo anno per l’acquisto di beni durevoli. Per alcuni sembra che il peggio sia passato: infatti aumentano progressivamente le persone che intendono spendere di più in rapporto all’anno precedente (dal 5,5% del 2003 al 14,1% del 2005). Sono in decremento sia le persone che intendono destinare una quota minore delle proprie risorse all’acquisto di beni durevoli (il 38,38% nel 2003 e il 23,4% nel 2005), sia gli intervistati che spenderanno in misura uguale allo scorso anno, passando dal 44,2% al 35,1%. In particolare, i consumatori che prevedono di spendere di meno nel corso del prossimo anno risultano i non occupati (28,1%), seguiti a breve distanza da casalinghe (27,2%), insegnanti/impiegati (22,4%) ed operai (18,8%). Spenderanno la stessa quota dell’anno precedente, soprattutto: operai (50,6%) e pensionati (48%); hanno in previsione di spendere somme più consistenti dell’anno passato i dirigenti, quadri e imprenditori (47,8%), i liberi professionisti/commercianti/lavoratori autonomi e gli studenti (18,8%). Questi ultimi registrano una quota molto elevata (43,8%) tra coloro che hanno intenzione di mantenere un livello di spesa simile a quello dell’anno precedente.
In riferimento agli investimenti delle famiglie italiane, si registra un crescente tasso d’incertezza sulle intenzioni future (dal 14,4% del 2003 al 23,4% del 2005). Nelle preferenze degli italiani, il mattone rimane la forma privilegiata d’investimento: l’orientamento degli intervistati nei confronti degli immobili si conferma, infatti, al 46,9%. Tiene anche la scelta di collocare i soldi in un conto corrente (il 20,2% nel 2005 e il 19,5% nell’anno precedente). Subiscono una ulteriore gelata i titoli di Stato (dall’8,2% al 5,4%) e gli investimenti nel mercato azionario (dall’8,1% al 4,1%). A proposito dei beni durevoli, è sembrato interessante verificare se l’acquisto di un’automobile rientrasse nelle intenzioni di spesa delle famiglie italiane. Nel corso degli ultimi tre anni, il mercato automobilistico ha suscitato un interesse sempre minore tra gli italiani: aumentano considerevolemente le persone che non prevedono di fare acquisti (nel 2003 erano il 37,8% degli intervistati, oggi il 71,3%), diminuisce la percentuale di coloro che probabilmente affronteranno la spesa (si passa dal 22,9% all’11,7%) e aumentano di poco gli intervistati che certamente compreranno un’automobile (dal 4,3% al 6,4%). La componente di intervistati che invece ha in programma di acquistare una casa nel corso dei prossimi due anni rimane sostanzialmente stabile nel tempo (nel 2003, il 10,6% e nel 2005, l’11%), ma aumenta la percentuale di chi sicuramente non affronterà questa spesa (dal 64,7% all’82,5%).

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